Ordine Equestre del  Santo Sepolcro di Gerusalemme

 

LUOGOTENENZA PER L'ITALIA MERIDIONALE TIRRENICA


  CULTURA E SPIRITUALITA' : Il Cavaliere del Santo Sepolcro di Gerusalemme creato, come tutti, dal Signore della vita per essere santo e immacolato , di Mons. Vincenzo Taiani

prima pagina  

 

 

IL CAVALIERE DEL SANTO SEPOLCRO DI GERUSALEMME

CREATO, COME TUTTI,

DAL SIGNORE DELLA VITA PER ESSERE SANTO ED IMMACOLATO

relazione del

Comm. Mons. Prof. Vincenzo Taiani

 

 

Cavaliere del Santo Sepolcro di Gerusalemme  ( Knight  of the Holy Sepulchre of Jerusalem  )

 

Luogotenenza Italia Meridionale

Sezione de' Principati

 

Incontro spirituale di preghiera, di ascolto della Parola e di meditazione

 

Cava de' Tirreni, Lunedi 25 Maggio 2009

 

presieduto da S.E. Luogotenente Cav. Gr. Croce Gen. Prof. Avv. Giovanni Napolitano,

e dal Delegato Gr. Uff. Dir.Gen. Giuseppe Raimondi di Cava de' Tirreni - Amalfi

 

 

 

relatore il Comm. Mons. Prof. Vincenzo Taiani

 

IL CAVALIERE DEL SANTO SEPOLCRO DI GERUSALEMME

CREATO, COME TUTTI, DAL SIGNORE DELLA VITA PER ESSERE SANTO E IMMACOLATO

 

 

 

INTRODUZIONE

 

 

Il tema del presente incontro spirituale è: la CREAZIONE. Tema affascinante, ma soprattutto attuale, sempre attuale, come attuale è ogni uomo che viene sulla terra e svolge e consuma la sua vita sulla ribalta del teatro del mondo. Tutti i temi della fede cattolica sono importanti, ma il tema della CREAZIONE , diversamente dagli altri, tocca la sua identità, il suo ‘esserci’, il suo presente e il suo futuro, il perché profondo della sua esistenza, la domanda primordiale del suo essere.

Il Catechismo della Chiesa cattolica nel paragrafo 4 dell’articolo 1, che così recita: Io credo in  Dio, Padre Onnipotente, creatore del cielo e della terra, che fa parte della Seconda Sezione (La professione della Fede Cristiana), che si trova nella Parte Prima, che ha a titolo: La professione della fede, parla, appunto della Creazione.

 

Ecco i numeri:

 

279 «In principio Dio creò il cielo e la terra» (Gn 1,1). Con queste solenni parole incomincia la Sacra Scrittura. Il Simbolo della fede le riprende confessando Dio Padre onnipotente come «Creatore del cielo e della terra», «di tutte le cose visibili e invisibili».

280 La creazione è il fondamento di «tutti i progetti salvifici di Dio», «l'inizio della storia della salvezza», che culmina in Cristo. Inversamente, il mistero di Cristo è la luce decisiva sul mistero della creazione: rivela il fine in vista del quale, «in principio, Dio creò il cielo e la terra» (Gn 1,1): dalle origini, Dio pensava alla gloria della nuova creazione in Cristo.

281 Per questo le letture della Veglia pasquale, celebrazione della nuova creazione in Cristo, iniziano con il racconto della creazione; parimenti, nella liturgia bizantina, il racconto della creazione è sempre la prima lettura delle vigilie delle grandi feste del Signore. Secondo la testimonianza degli antichi, l'istruzione dei catecumeni per il Battesimo segue lo stesso itinerario.

 

I. La catechesi sulla creazione

 

282 La catechesi sulla creazione è di capitale importanza. Concerne i fondamenti stessi della vita umana e cristiana: infatti esplicita la risposta della fede cristiana agli interrogativi fondamentali che gli uomini di ogni tempo si sono posti: «Da dove veniamo?», «Dove andiamo?», «Qual è la nostra origine?», «Quale il nostro fine?», «Da dove viene e dove va tutto ciò che esiste? ». Le due questioni, quella dell'origine e quella del fine, sono inseparabili. Sono decisive per il senso e l'orientamento della nostra vita e del nostro agire.

283 La questione delle origini del mondo e dell'uomo è oggetto di numerose ricerche scientifiche, che hanno straordinariamente arricchito le nostre conoscenze sull'età e le dimensioni del cosmo, sul divenire delle forme viventi, sull'apparizione dell'uomo. Tali scoperte ci invitano ad una sempre maggiore ammirazione per la grandezza del Creatore, e a ringraziarlo per tutte le sue opere e per l'intelligenza e la sapienza di cui fa dono agli studiosi e ai ricercatori. Con Salomone costoro possono dire: «Egli mi ha concesso la conoscenza infallibile delle cose, per comprendere la struttura del mondo e la forza degli elementi [...]; perché mi ha istruito la Sapienza, artefice di tutte le cose » (Sap 7,17-21).

284 Il grande interesse di cui sono oggetto queste ricerche è fortemente stimolato da una questione di altro ordine, che oltrepassa il campo proprio delle scienze naturali. Non si tratta soltanto di sapere quando e come sia sorto materialmente il cosmo, né quando sia apparso l'uomo, quanto piuttosto di scoprire quale sia il senso di tale origine: se cioè sia governata dal caso, da un destino cieco, da una necessità anonima, oppure da un Essere trascendente, intelligente e buono, chiamato Dio. E se il mondo proviene dalla sapienza e dalla bontà di Dio, perché il male? Da dove viene? Chi ne è responsabile? C'è una liberazione da esso?

285 Fin dagli inizi, la fede cristiana è stata messa a confronto con risposte diverse dalla sua circa la questione delle origini. Infatti, nelle religioni e nelle culture antiche si trovano numerosi miti riguardanti le origini. Certi filosofi hanno affermato che tutto è Dio, che il mondo è Dio, o che il divenire del mondo è il divenire di Dio (panteismo); altri hanno detto che il mondo è una emanazione necessaria di Dio, scaturisce da questa sorgente e ad essa ritorna; altri ancora hanno sostenuto l'esistenza di due princìpi eterni, il Bene e il Male, la Luce e le Tenebre, in continuo conflitto (dualismo, manicheismo); secondo alcune di queste concezioni, il mondo (almeno il mondo materiale) sarebbe cattivo, prodotto di un decadimento, e quindi da respingere o oltrepassare (gnosi); altri ammettono che il mondo sia stato fatto da Dio, ma alla maniera di un orologiaio che, una volta fatto, l'avrebbe abbandonato a se stesso (deismo); altri infine non ammettono alcuna origine trascendente del mondo, ma vedono in esso il puro gioco di una materia che sarebbe sempre esistita (materialismo). Tutti questi tentativi di spiegazione stanno a testimoniare la persistenza e l'universalità del problema delle origini. Questa ricerca è propria dell'uomo.

286 Indubbiamente, l'intelligenza umana può già trovare una risposta al problema delle origini. Infatti, è possibile conoscere con certezza l'esistenza di Dio Creatore attraverso le sue opere, grazie alla luce della ragione umana, anche se questa conoscenza spesso è offuscata e sfigurata dall'errore. Per questo la fede viene a confermare e a far luce alla ragione nella retta intelligenza di queste verità: «Per fede sappiamo che i mondi furono formati dalla Parola di Dio, sì che da cose non visibili ha preso origine ciò che si vede» (Eb 11,3).

287 La verità della creazione è tanto importante per l'intera vita umana che Dio, nella sua tenerezza, ha voluto rivelare al suo popolo tutto ciò che è necessario conoscere al riguardo. Al di là della conoscenza naturale che ogni uomo può avere del Creatore,  Dio ha progressivamente rivelato a Israele il mistero della creazione. Egli, che ha scelto i patriarchi, che ha fatto uscire Israele dall'Egitto, e che, eleggendo Israele, l'ha creato e formato,  si rivela come colui al quale appartengono tutti i popoli della terra e l'intera terra, come colui che, solo, «ha fatto cielo e terra» (Sal 115,15; 124,8; 134,3).

288 La rivelazione della creazione è, così, inseparabile dalla rivelazione e dalla realizzazione dell'Alleanza dell'unico Dio con il suo popolo. La creazione è rivelata come il primo passo verso tale Alleanza, come la prima e universale testimonianza dell'amore onnipotente di Dio.  E poi la verità della creazione si esprime con una forza crescente nel messaggio dei profeti, nella preghiera dei Salmi  e della liturgia, nella riflessione della sapienza del popolo eletto.

289 Tra tutte le parole della Sacra Scrittura sulla creazione, occupano un posto singolarissimo i primi tre capitoli della Genesi. Dal punto di vista letterario questi testi possono avere fonti diverse. Gli autori ispirati li hanno collocati all'inizio della Scrittura in modo che esprimano, con il loro linguaggio solenne, le verità della creazione, della sua origine e del suo fine in Dio, del suo ordine e della sua bontà, della vocazione dell'uomo, infine del dramma del peccato e della speranza della salvezza. Lette alla luce di Cristo, nell'unità della Sacra Scrittura e della Tradizione vivente della Chiesa, queste parole restano la fonte principale per la catechesi dei misteri delle «origini»: creazione, caduta, promessa della salvezza.

 

II. La creazione

 

Opera della Santissima Trinità

 

290 «In principio, Dio creò il cielo e la terra» (Gn 1,1). Queste prime parole della Scrittura contengono tre affermazioni: il Dio eterno ha dato un inizio a tutto ciò che esiste fuori di lui. Egli solo è Creatore (il verbo «creare» – in ebraico bara – ha sempre come soggetto Dio). La totalità di ciò che esiste (espressa nella formula «il cielo e la terra») dipende da colui che le dà l'essere.

291 «In principio era il Verbo [...] e il Verbo era Dio. [...] Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui niente è stato fatto» (Gv 1,1-3). Il Nuovo Testamento rivela che Dio ha creato tutto per mezzo del Verbo eterno, il Figlio suo diletto. «Per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra [...]. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono» (Col 1,16-17). La fede della Chiesa afferma pure l'azione creatrice dello Spirito Santo: egli è colui che «dà la vita», lo «Spirito Creatore» («Veni, Creator Spiritus»), la «sorgente di ogni bene».

292 Lasciata intravvedere nell'Antico Testamento, rivelata nella Nuova Alleanza, l'azione creatrice del Figlio e dello Spirito, inseparabilmente una con quella del Padre, è chiaramente affermata dalla regola di fede della Chiesa: « Non esiste che un solo Dio [...]: egli è il Padre, è Dio, il Creatore, l'Autore, l'Ordinatore. Egli ha fatto ogni cosa da se stesso, cioè con il suo Verbo e la sua Sapienza »; «il Figlio e lo Spirito» sono come «le sue mani». La creazione è opera comune della Santissima Trinità.

 

III. «Il mondo è stato creato per la gloria di Dio»

 

293 È una verità fondamentale che la Scrittura e la Tradizione costantemente insegnano e celebrano: «Il mondo è stato creato per la gloria di Dio»… E il Concilio Vaticano I spiega: «Nella sua bontà e con la sua onnipotente virtù, non per aumentare la sua beatitudine, né per acquistare perfezione, ma per manifestarla attraverso i beni che concede alle sue creature, questo solo vero Dio ha, con la più libera delle decisioni, dall'inizio dei tempi, creato insieme dal nulla l'una e l'altra creatura, la spirituale e la corporale»

294 La gloria di Dio è che si realizzi la manifestazione e la comunicazione della sua bontà, in vista delle quali il mondo è stato creato. Ci ha predestinati «a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà. E questo a lode e gloria della sua grazia» (Ef 1,5-6). « Infatti la gloria di Dio è l'uomo vivente e la vita dell'uomo è la visione di Dio: se già la rivelazione di Dio attraverso la creazione procurò la vita a tutti gli esseri che vivono sulla terra, quanto più la manifestazione del Padre per mezzo del Verbo dà la vita a coloro che vedono Dio». Il fine ultimo della creazione è che Dio, «che di tutti è il Creatore, possa anche essere "tutto in tutti" (1 Cor 15,28), procurando ad un tempo la sua gloria e la nostra felicità ».

 

IV. Il mistero della creazione

 

Dio crea con sapienza e amore

 

295 Noi crediamo che il mondo è stato creato da Dio secondo la sua sapienza. Non è il prodotto di una qualsivoglia necessità, di un destino cieco o del caso. Noi crediamo che il mondo trae origine dalla libera volontà di Dio, il quale ha voluto far partecipare le creature al suo essere, alla sua saggezza e alla sua bontà: «Tu hai creato tutte le cose, e per la tua volontà furono create e sussistono» (Ap 4,11). «Quanto sono grandi, Signore, le tue opere! Tutto hai fatto con saggezza» (Sal 104,24). «Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature» (Sal 145,9).

 

Dio crea «dal nulla»

 

296 Noi crediamo che Dio, per creare, non ha bisogno di nulla di preesistente né di alcun aiuto. La creazione non è neppure una emanazione necessaria della sostanza divina. Dio crea liberamente «dal nulla»: «Che vi sarebbe di straordinario se Dio avesse tratto il mondo da una materia preesistente? Un artigiano umano, quando gli si dà un materiale, ne fa tutto ciò che vuole. Invece la potenza di Dio si manifesta precisamente in questo, che egli parte dal nulla per fare tutto ciò che vuole».

297 La fede nella creazione «dal nulla» è attestata nella Scrittura come una verità piena di promessa e di speranza. Così la madre dei sette figli li incoraggia al martirio: «Non so come siate apparsi nel mio seno; non io vi ho dato lo spirito e la vita, né io ho dato forma alle membra di ciascuno di voi. Senza dubbio il Creatore del mondo, che ha plasmato all'origine l'uomo e ha provveduto alla generazione di tutti, per la sua misericordia vi restituirà di nuovo lo spirito e la vita, come voi ora per le sue leggi non vi curate di voi stessi. [...] Ti scongiuro, figlio, contempla il cielo e la terra, osserva quanto vi è in essi e sappi che Dio li ha fatti non da cose preesistenti; tale è anche l'origine del genere umano» (2 Mac 7,22-23.28).

298 Dio, poiché può creare dal nulla, può anche, per opera dello Spirito Santo, donare ai peccatori la vita dell'anima, creando in essi un cuore puro, e ai defunti, con la risurrezione, la vita del corpo, egli «che dà vita ai morti e chiama all'esistenza le cose che ancora non esistono» (Rm 4,17). E, dal momento che, con la sua Parola, ha potuto far risplendere la luce dalle tenebre, può anche donare la luce della fede a coloro che non lo conoscono.

 

Dio crea un mondo ordinato e buono

 

299 Per il fatto che Dio crea con sapienza, la creazione ha un ordine: «Tu hai disposto tutto con misura, calcolo e peso» (Sap 11,20). Creata nel Verbo eterno e per mezzo del Verbo eterno, «immagine del Dio invisibile» (Col 1,15), la creazione è destinata, indirizzata all'uomo, immagine di Dio, chiamato a una relazione personale con Dio. La nostra intelligenza, poiché partecipa alla luce dell'Intelletto divino, può comprendere ciò che Dio ci dice attraverso la creazione, certo non senza grande sforzo e in spirito di umiltà e di rispetto davanti al Creatore e alla sua opera.  Scaturita dalla bontà divina, la creazione partecipa di questa bontà («E Dio vide che era cosa buona [...] cosa molto buona»: Gn 1,4.10.12.18.21.31). La creazione, infatti, è voluta da Dio come un dono fatto all'uomo, come un'eredità a lui destinata e affidata. La Chiesa, a più riprese, ha dovuto difendere la bontà della creazione, compresa quella del mondo materiale.

 

Dio trascende la creazione ed è ad essa presente

 

300 Dio è infinitamente più grande di tutte le sue opere: «Sopra i cieli si innalza» la sua «magnificenza» (Sal 8,2), «la sua grandezza non si può misurare» (Sal 145,3). Ma poiché egli è il Creatore sovrano e libero, causa prima di tutto ciò che esiste, egli è presente nell'intimo più profondo delle sue creature: «In lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» (At 17,28). Secondo le parole di sant'Agostino, egli è «interior intimo meo et superior summo meo – più intimo della mia parte più intima, più alto della mia parte più alta».

 

Dio conserva e regge la creazione

 

301 Dopo averla creata, Dio non abbandona a se stessa la sua creatura. Non le dona soltanto di essere e di esistere: la conserva in ogni istante nell'«essere», le dà la facoltà di agire e la conduce al suo termine. Riconoscere questa completa dipendenza in rapporto al Creatore è fonte di sapienza e di libertà, di gioia, di fiducia: «Tu ami tutte le cose esistenti, e nulla disprezzi di quanto hai creato; se tu avessi odiato qualcosa, non l'avresti neppure creata. Come potrebbe sussistere una cosa se tu non vuoi? O conservarsi se tu non l'avessi chiamata all'esistenza? Tu risparmi tutte le cose, perché tutte sono tue, Signore, amante della vita» (Sap 11,24-26).

 

V. Dio realizza il suo disegno: la provvidenza divina

 

302 La creazione ha la sua propria bontà e perfezione, ma non è uscita dalle mani del Creatore interamente compiuta. È creata «in stato di via» («in statu viae») verso una perfezione ultima alla quale Dio l'ha destinata, ma che ancora deve essere raggiunta. Chiamiamo divina provvidenza le disposizioni per mezzo delle quali Dio conduce la creazione verso questa perfezione.

«Dio conserva e governa con la sua provvidenza tutto ciò che ha creato, "essa si estende da un confine all'altro con forza, governa con bontà eccellente ogni cosa" (Sap 8,1). Infatti "tutto è nudo e scoperto agli occhi suoi" (Eb 4,13), anche quello che sarà fatto dalla libera azione delle creature».

 

 

 

 A.  L’ESPERIENZA VETEROTESTAMENTARIA DEL POPOLO DI ISRAELE

 

Per capire più facilmente l’originalità dell’interpretazione dell’esserci dell’uomo e dell’universo sviluppata dall’AT, occorre enunciare immediatamente i passaggi chiave delle conclusioni più specifiche di quello che comunemente viene detto ‘il popolo eletto’.

Come è noto, la peculiarità del ‘CREDO’ di Israele, rispetto alle concezioni delle altre religioni consiste, soprattutto, nel fatto che la sua fede riveste un carattere interamente storico; ossia, che per Israele Dio è essenzialmente la potenza, che fa storia, realizzando un programma di interventi salvifici in favore dell’uomo.

 In questa prospettiva si inserisce anche la dottrina della CREAZIONE, che, infatti, conosce due versioni, l’una conforme alla persuasione comune dei popoli dell’antichità, e l’altra distinta tra tutte e specificamente ebraica:

1.- la prima fa leva sul dato universalmente ammesso che Dio [un Dio o gli dei] ha fatto o creato il mondo con gli uomini, che lo abitano, e considera la creazione in sé, come una realtà che gode di una relativa autonomia nei confronti dell’agire storico salvifico di Jahvè a favore di Israele;

2.- la seconda integra la convinzione diffusa della creazione nello iahvismo monoteistico proprio dell’ebraismo e soprattutto nella sua concezione del rapporto storico di Dio con il popolo eletto, e vede la creazione in stretta unità con l’alleanza. Perciò rappresenta la visione propria e l’apporto specifico del genio religioso di Israele sul tema della creazione.

Se si guarda al processo di integrazione della coscienza della CREAZIONE in quella della ALLEANZA, si constata che l’AT ha seguito un iter scandito da tre certezze successive:

1.- Israele ha, anzitutto, capito di essere il popolo di Dio plasmato allo scopo preciso della stipulazione dell’alleanza e, quindi, messo all’esistenza a partire non da una iniziativa propria e per scopi autonomi, ma da una progettazione speciale di Jahvè per fini particolari voluti da Lui;

2.- in secondo luogo ha scoperto di aver ricevuto una missione originale rispetto alle genti e al mondo intero, consistente nell’essere l’emblema del loro destino e la rivelazione di quanto Dio si attende dal creato;

3.- infine ne ha tratto la duplice conclusione che l’umanità ed il mondo sono davvero, nella sua falsa riga, opera di Dio e ,soprattutto, che Dio li ha messi all’esistenza in vista ed a motivo dell’alleanza.

Così il dato cosmologico [il fatto della creazione] è stato valorizzato a partire dal dato storico [il fatto dell’alleanza]

 

 

A.1. - ISRAELE HA COSCIENZA DI UN RAPPORTO SPECIALE CON JAHVÈ

 

 Le professioni di fede del popolo eletto attestano concordemente che Israele è nato, vive ed opera in grazia di una scelta che Dio ha compiuto in suo favore. Il rituale delle primizie, registrato da Dt XXVI,1-11, include una antichissima confessione di fede, che si concentra sull’iniziativa divina intesa a fare uscire gli ebrei dall’Egitto per condurli in una terra di benedizione. Particolarmente indicative si mostrano le formule di appartenenza del popolo a Dio raccolte dai cc. XIX-XXIV dell’Esodo, dedicati al racconto della stipulazione dell’alleanza. Esodo XX,2-3 fa luce tanto sulla realtà della iniziativa di Dio quanto sulla conseguente necessità di non negargli nulla, riferendo la asserzione di Jahvè: IO SONO IL SIGNORE TUO DIO, CHE TI HA FATTO USCIRE DAL PAESE DI EGITTO, DALLA CONDIZIONE DI SCHIAVITÙ: NON AVRAI ALTRI DEI DI FRONTE A ME. Esodo XIX,5 trasmette l’ammonizione di Dio: “VOI SARETE PER ME LA PROPRIETÀ TRA TUTTI I POPOLI, VOI SARETE PER ME UN REGNO DI SACERDOTI E UNA NAZIONE SANTA”. Alle radici di Israele opera una iniziativa gratuita di Dio: TE HA SCELTO JAHVÈ TUO DIO (Dt VII,6), e non Israele ha scelto Dio. Lo ha fatto per costituirsi un popolo santo (Lv XI,44; XIX,2) e consacrato , che faccia rifulgere tra le genti, grazie alla vicinanza con il suo mistero, che gli viene garantita dall’osservanza della legge (Dt VII,1-6), la grandezza e la munificenza della sua gloria. Ma la spiegazione di una grazia così singolare si trova unicamente nell’amore; nessun merito e nessun valore la giustifica, essa proviene solo dal fatto che JAHVÈ VI HA AMATI (Dt VII,7 sg.). Bisogna, quindi, che il popolo ami Dio CON TUTTO IL CUORE, CON TUTTA L’ANIMA E CON TUTTE LE FORZE (Dt VI,4-6). Il popolo eletto è una nazione, che sussiste in forza dell’onnipotenza di Dio, nutrendosi della memoria delle grandi imprese, che Egli ha compiuto a suo vantaggio. I veri figli di Abramo lo testificano ripetendo: DIO, CON I NOSTRI ORECCHI ABBIAMO UDITO, I NOSTRI PADRI CI HANNO RACCONTATO L’OPERA CHE HAI COMPIUTO AI LORO GIORNI, NEI TEMPI ANTICHI. TU PER PIANTARLI CON LA TUA MANO HAI SRADICATO LE GENTI, PER FARE LORO POSTO HAI DISTRUTTO I POPOLI. POICHÉ NON CON LA SPADA CONQUISTARONO LA TERRA, NÉ FU IL LORO BRACCIO A SALVARLI, MA IL TUO BRACCIO E LA TUA DESTRA E LA LUCE DEL TUO VOLTO, COSICCHÉ TU LI AMAVI (SAL XLIV,2-4).

Il popolo eletto è proprietà di Dio, che Egli ha acquistato per sé (Es XV,16; Dt XXXII,6; Sal LXXIV,2; LXXVIII,54), ha ‘preso per mano’ (Ger XXXI,32), ha ‘riscattato’ (Dt VII,8; XIII,6; XXIV,18), ha ‘liberato’ (Es Vi,6; XV,13; Sal LXXIV,2; CVI,10), ha ‘santificato’ (Lv XXII,32). In Israele Dio vede il suo prezioso ‘possesso personale’, il ‘tesoro della corona’ (Es XIX,5; Dt VII,6; XIV,2; XXVI,18; Ml III,17; Sal CXXXV,4), la sua ‘porzione’ (Dt XXXII,9; Zc II,16), la sua ‘eredità’ (Sal XXVIII,9; LXXIV,2; LXXVIII,62,71). Esso è per Lui la ‘vigna amata’ (Is V,1-7), la ‘vite prediletta’ (Gr II,21; Sal LXXX,9), il ‘popolo del suo pascolo’ ed ‘il gregge guidato dalla sua mano’ (Sal XCV,7), il ‘servo’ (Is XLI,8; XLIV,1), il ‘figlio diletto’ (Os XI,1; Es IV,22), la ‘sposa’ o consorte bramata’ (Os II,17; Ger II,2). Veramente beato è ‘il popolo il cui Dio è Jahvè, la nazione che egli si è scelta come eredità (Sal XXXIII,12).

Israele, perciò, è chiamato ‘popolo di Dio’ [laos theou]; formula da intendere come espressione di una totale consegna di sé a Dio, cosicché l’originale ebraico [‘am jhwh] accomuna l’idea di una stretta parentela a quella di una comunanza di vita e di destino. E Dio è giustamente presentato come il CREATORE di Israele (Is XLIII,1.7), colui che lo ha ‘fatto’ (Is XLIV,2), ‘formato’ e ‘plasmato’ (Is XLIII,1.7.21): tre termini, che appertengono al linguaggio specifico della CREAZIONE.

 

 

A.2. - ISRAELE HA COSCIENZA DI UNA MISSIONE DA SVOLGERE TRA LE GENTI

 

A causa della incomparabilità del rapporto, che lo lega a Jahvè, Israele deve vivere tra le genti come popolo di Dio [‘am Jhwh], attuando uno stile di vita, che lo diversifica da tutti gli altri popoli, i cosiddetti ‘gojim’ [ethne]. La singolarità del suo essere deve riflettersi nella peculiarità delle sue scelte esistenziali. Bisogna che gli Ebrei vivano separati dai popoli, occorre che essi agiscano ‘non al modo degli Egiziani’ e ‘non al modo dei Cananei’ (Lv XVIII,3; Es XXIII,24; Ger X,1 sg.). Si arriva a dire che il peccato del popolo e dei suoi re consiste nel fare ‘ciò che facevano i popoli pagani, che Jahvè ha scacciato di fronte agli Israeliti’ (Lv XX,23; Dt XII,29 sg.; 1 Re XIV,24; 2 Re XVI,3; XVII,7 sg.; Sal CVI,35).

La relazione tra Israele e le nazioni, però, non si esaurisce affatto nella gelosa conservazione di questa incontestabile singolarità del popolo eletto, cosicché l’elezione divina, che lo privilegia, si rivela, ben presto, portatrice di funzioni e di compiti destinati a recare beneficio a tutti. Le scelte di Dio, in effetti, e con esse la preferenza e la gloria, che ne conseguono, implicano, sempre, l’assunzione di una responsabilità e la sottomissione ad un giudizio (Am III,2).

Il popolo di Dio gode del privilegio di una benevolenza speciale di Dio, ma ha il compito di diffonderla nel mondo intero, cosicché diventi una sorgente di benedizione e di luce per tutti. Dio, dunque, non opera la salvezza soltanto in Israele od unicamente in suo favore, ma raggiunge, tramite gli Ebrei, la totalità dell’umanità. Ed Israele si riconosce responsabile di una missione di rivelazione efficace a vantaggio dell’intera umanità.

 Una ulteriore testificazione proviene dalla attribuzione ad Israele delle tre funzioni, che sono proprie dei mediatori di salvezza, e cioè il compito regale, profetico, sacerdotale.

 

 

A.3 - ISRAELE HA COSCIENZA DI ESSERE STATO ‘CREATO' PER L’ALLEANZA

 

Israele ha coscienza di essere stato ‘CREATO’ da Dio. Ma l’AT presenta un modo tutto specifico della creazione, che lo contraddistingue dalle culture ad esso contemporanee. Infatti l’AT presenta la creazione nella prospettiva storico-salvifica dell’alleanza, quale sua componente essenziale. Jahvè ha generato, creato, gratuitamente Israele in ordine all’alleanza. Assieme gli ha conferito il ruolo di ‘vessillo per i popoli (Is LXII,10) o di rivelazione del significato dell’intera creazione. Il che induce a concludere che Dio ha posto all’esistenza il mondo, traendolo dal nulla, cosicché lo ha voluto quale destinatario dell’alleanza del suo amore. 

 È noto che in Genesi I-II vengono accostate, redazionalmente, due differenti presentazioni della CREAZIONE:

1.- la prima [Gn I,1 - II,4] appartiene al codice sacerdotale, messo per iscritto tardivamente nel sec. VI,

2.- e la seconda [Gn II,4-25], interna alla narrazione del iahvista, che risale al sec. X, e che è, pertanto , la più antica.

 

Gn II, 4-25 è un testo redatto al tempo del Re Salomone, in risposta ad alcune questioni nate dalla storia di Israele, come quella, ad esempio, del rapporto di Israele, popolo dell’alleanza, con i pagani, sollevata dalle imprese vittoriose del re David, che culminarono con l’inserimento dei popoli limitrofi [Moabiti, Edomiti, Amminiti, Filistei].

Nei circoli sapienziali della corte di Salomone il particolarismo ebraico suscitava interrogativi sul significato della politica aperturistica del grande re David. Il JAHVISTA entra nella problematica e con grande intuito teologico elabora una risposta originale, che apre la coscienza degli ebrei all’universalismo. Eccone la sostanza. Il segno ultimo della strategia davidica sta nel servire il disegno di Dio sul mondo, cosicché Israele ha il compito di mediare storicamente il suo progetto di salvezza. Lo dimostra il fatto che , risalendo all’indietro nel tempo, sino a ricostruire, a partire dalla situazione presente [eziologia], la preistoria di Israele e poi, sulla sua falsariga, quella dell’umanità, si conclude nella constatazione che Dio vuole la comunione di tutti gli uomini con Lui; che Egli, cioè, ha creato l’uomo allo scopo di metterlo nel gan, nel giardino, simbolo della intimità serena e costruttiva della creatura con il Creatore. Attualmente l’umanità si trova in una penosa condizione di lontananza da Dio e di divisione in se stessa, e la responsabilità di questo stato disastroso grava non su Dio bensì sull’uomo, che ha rigettato la fonte divina della benedizione [peccato di Adamo e progressione della colpa umana sino alla dispersione della torre di Babele], chiudendosi in un cerchio infernale di malizia e di morte [racconto del diluvio]. Ma Dio resta fedele al suo disegno di vicinanza e di sollecitudine per l’umanità (Gn III,15.21). E la verità di questa fedeltà di Jahvè, che alimenta la speranza dell’uomo di riuscire a trovare se stesso, si esprime precisamente nella politica universalistica del re Davide, grazia alla quale la benedizione divina ricevuta da Abramo comincia finalmente ad estendersi a tutte le tribù della terra (Gn XII,3).

Alla luce di queste precisazioni, non è difficile cogliere la portata storico-salvifica dei passi più rilevanti del testo.

Genesi II,4-25 non può essere propriamente qualificato una pagina creazionistica in senso pieno, cosicché si sofferma a parlare solo della creazione dell’uomo e della sua collocazione nel giardino [gan], dove riceve in dono da Dio l’integrazione della donna, sua indispensabile compagna di vita. Ricorrendo all’immagine del vasaio nell’atto di plasmare la creta, il testo insegna che l’uomo proviene dalle mani di Dio e che egli si trova nel giardino per una libera scelta di Dio.

Molto differente dal racconto sacerdotale, quanto a stile ed organizzazione del materiale, il brano descrive la creazione antropomorficamente e simbolicamente come il gesto di Dio, che fa sorgere un’oasi in un deserto arido e secco. Centro del suo interesse è l’uomo, creatura chiave , attorno alla quale si organizza tutto il resto. La narrazione, infatti, imposta una concezione antropocentrica di tipo circolare, che dal centro [creazione dell’uomo] passa alla periferia [creazione del giardino edenico e poi degli animali domestici] per poi ritornare al centro [creazione della donna].

La collocazione immediata dell’uomo nel ‘gan’, oltre a contrapporre la felice situazione previa al peccato a quella, che gli fa seguito, serve a mostrare che l’uomo è perennemente avvolto dalla sollecitudine e dalla benedizione di Dio. Fa comprendere, cioè, che il disegno di Dio sull’umanità ha per causa l’amore, e che la CREAZIONE costituisce il PRIMO ANELLO DELLA CATENA DI GRAZIE DELLA STORIA DELLA SALVEZZA. È la vera differenza di questo testo [e degli altri passi biblici] dai miti creazionisti della Mesopotamia [per esempio, dal poema di Gilgamesh], secondo i quali l’uomo è forgiato dagli dei, certo, ma non per la vita, bensì per la sofferenza e la morte, cosicché gli dei sono esseri orribilmente gelosi della loro vitalità

La produzione dell’uomo delineata come opera di un vasaio

- da una parte ricorda la solidarietà profonda dell’adam [uomo, preceduto dall’articolo, che l’ebraico premette ai nomi comuni] con il suolo [‘adamah] , sottolineando l’insopprimibile dimensione materiale di fragilità, precarietà e limitatezza, che lo connota;

- dall’altra ribadisce la dipendenza da Dio e l’esigenza di comunione con lui, ulteriormente evidenziate dal dono della ‘ruah’ divina.

Nella creazione della donna viene evidenziata una stupenda eziologia [o spiegazione a ritroso] dell’amore e dell’attrazione reciproca dei due sessi, come pure nella sottolineatura dell’insopprimibile bisogno umano di fare comunione con i suoi simili; ‘NON È BENE CHE L’UOMO SIA SOLO’ (Gn II,18). In essa la sessualità umana arriva a trascendere la semplice determinazione genitale per diventare un segno efficace, particolarmente immediato e suggestivo, della vocazione all’amore dei fratelli, ed, ultimamente, di Dio.

La sensibilità psicologica del jahvista spiega, infine, il risalto, che egli conferisce all’importanza della libertà di fronte a Dio. La illustra in modo eccellente il comando di Gn II,17, nel quale si capisce che l’uomo opta per la riuscita od il fallimento della propria vita [il vivere od il morire], a seconda che accetta o rifiuta il progetto di Dio su di lui. Ne consegue la certezza che la CREAZIONE SCATURISCE VERAMENTE DALLA VOLONTÀ SALVIFICA DI DIO.

 

Genesi I,1 - II,4 apre la tradizione sacerdotale, messa per iscritto dopo la tragedia dell’esilio [che a molti era apparsa come un verdetto inappellabile di morte pronunciato sul destino del popolo eletto]. Per dissipare il pessimismo dell’esilio e del primo postesilio, bisognava ripensare a fondo l’opera di Dio nella storia della salvezza, e trarne motivi di speranza. È ciò che fanno i circoli sacerdotali, che si impegnano a raccontare il passato del popolo eletto per mettere sotto i suoi occhi la fedeltà senza pentimenti dell’amore di Jahvè, e convincerlo che le sue prove non sono la sua fine e neppure l’ultima parola di Dio a suo riguardo, ma solo un castigo medicinale.

In consonanza con la speciale sensibilità, che contrassegna questi circoli, la TRADIZIONE SACERDOTALE mette al centro della propria ordinazione il Sinai ed i suoi ordinamenti cultuali, legati alla alleanza. Poi procede a ritroso, al fine di ricostruire il retroterra storico del patto sinaitico: richiama le vicende dei patriarchi, traccia alcune linee di quelle dell’umanità primitiva, ed arriva, per l’appunto, sino all’elaborazione di un racconto formale della CREAZIONE del cielo e della terra. Con ciò dimostra che, a cominciare precisamente dalla creazione, tutto si fonda sull’alleanza stabilita sul Sinai, per cui, fino a quando esisteranno cielo e terra, l’impegno di Jahvè con Israele non verrà mai meno.

È la prova del suo assunto: dal momento che dalle origini del mondo a quelle di Israele non esiste soluzione di continuità, e che l’insieme costituisce un’unica grandiosa storia di grazia e salvezza, gli ebrei non possono abbandonarsi allo sconforto; al di là delle apparenze del tempo presente, li attende un futuro di vita e di resurrezione, garantito dal fatto che in loro favore agisce colui che ha creato il cielo e la terra.

Richiamato il contesto specifico del racconto, nel quale si percepiscono tanto l’unità della creazione con l’alleanza, quanto l’universalità del progetto di Dio sul mondo, pare sia opportuno aggiungere qualche precisazione di dettaglio.

Il verbo ‘creare’ [barà] designa caratteristicamente sia la formazione del creato (Gn I,1) sia l’intervento di Dio nella vita di Israele [per esempio nel Deutero Isaia], a comprova della valorizzazione della esperienza ebraica, quale chiave di lettura della storia. Questo ‘barà compare nel’AT ben 48 volte, soprattutto, e non a caso, in Gn I-VI e nel Deutero Isaia, ossia nel contesto della consolazione del popolo scoraggiato; quasi a dire che, quando Israele patisce una esperienza di annientamento, è in grado di capire meglio il senso ultimo del vocabolo, quello di produzione dal nulla.

Pure nella narrazione sacerdotale, l’UOMO si trova al VERTICE del creato. Non però come centro, ma come la punta di diamante di un insieme, che riceve il suo coronamento e la sua giustificazione finale proprio in lui. Qualche autore ha paragonato la formazione del mondo, che passa dal Caos al Cosmo, tracciata dal primo capitolo della Genesi, all’innalzamento di una piramide, che si conclude nell’uomo. Questa accorta disposizione a gradini dei momenti della creazione, nella quale le creature inferiori arrivano all’esistenza prima delle superiori, risponde ad un interesse rigorosamente teologico. Essa esprime la maggiore o minore lontananza e vicinanza delle creature rispetto a Dio. All’estremo della distanza, vi è il caos, completamente informe e disordinato; nella prossimanza più stretta vi è l’uomo, dichiarato immagine e somiglianza di Dio. Egli, dunque, è davvero CREATURA DI DIO, e non fatto in modo qualunque, ma precisamente a sua ‘immagine e somiglianza’ (Gn I,26.27), che comporta l’attribuzione all’uomo di una funzione di rappresentanza divina e di vicegerenza terrestre di Dio creatore.

I giorni della creazione sono delimitati liturgicamente, ossia non dal mattino alla sera, bensì dalla sera al mattino. Risulta dal ritornello: E FU SERA E FU MATTINA, la cui stilizzazione appare significativamente intenzionale. Ben prima della formazione del testo sacerdotale, il corso della giornata ebraica era caratterizzato da una offerta quotidiana , il cosiddetto ‘tamid’, che alla sera evocava il fatto salvifico dell’esodo dall’Egitto (Dt XVI,6) ed al mattino il susseguente patto di alleanza sul Sinai; presentando l’evento della creazione in questo intreccio, che conclude nella memoria dell’alleanza, il testo ripete che la CREAZIONE FA UN TUTT’UNO CON L’OPERA STORICO- SALVIFICA DI DIO.

Il racconto insiste molto sul valore delle creature, ripetendo a più riprese: DIO VIDE CHE ERA COSA BUONA e, dopo la creazione dell’uomo: DIO VIDE CHE ERA UNA COSA MOLTO BUONA, e conclude con la menzione del riposo di Dio. Con ciò insegna che la realtà creaturale corrisponde al disegno di Dio, e, soprattutto, che il mondo voluto da Dio per i suoi intenti di amore è questo, e non un altro, per cui deve essere accettato senza riserve. Se Dio si riposa, è perche la creazione, nella sua struttura nativa, è ormai compiuta.

Si osservi, infine, che la creazione avviene mediante la parola. Non si ammette la più piccola forma di EMANAZIONISMO o di PANTEISMO. La sovranità di Dio conserva tutta la sua trascendenza, e la realtà creaturale si mostra dipendente da Dio in tutto, tanto nel suo apparire quanto, come testifica il proseguimento della parola di Dio nella storia, nella continuazione del suo esserci. Fondandosi entrambe su di questa medesima parola, CREAZIONE ed ALLEANZA appaiono congiunte da un indissolubile unità.

 

 

A.4. - Altri riferimenti biblici veterotestamentari

 

1. ISAIA

Ecco qualche testo. Il profeta esalta la potenza straordinaria di Dio creatore esclamando: CHI HA MISURATO CON IL CAVO DELLA MANO LE ACQUE DEL MARE ED HA CALCOLATO L’ESTENSIONE DEI CIELI CON IL PALMO? CHI HA MISURATO CON IL MOGGIO LA POLVERE DELLA TERRA, HA PESATO CON LA STADERA LE MONTAGNE E I COLLI CON LA BILANCIA? (Is XL,12). Poi invita a guardare il cielo (Is XL,26), e continua facendo appello alla unità della costituzione del popolo eletto con la creazione: DICE IL SIGNORE CHE TI HA RISCATTATO, CHE TI HA FORMATO FIN DAL SENO MATERNO: SONO IO IL SIGNORE, CHE HO FATTO TUTTO, CHE HO SPIEGATO I CIELI DA SOLO, ED HO DISTESO LA TERRA. CHI ERA CON ME? (Is XLIV,24). In seguito afferma che Israele ha paura e si scoraggia, cosicché ha dimenticato queste meravigliose realtà (Is LI,12), e proclama che non è possibile dubitare di Jahvè (Is, L,2-3). Infine rivela che l’intenzione dell’alleanza era già attivamente presente nell’atto della creazione: IO HO POSTO LE MIE PAROLE SULLA TUA BOCCA, TI HO NASCOSTO SOTTO L’OMBRA DELLA MIA MANO, QUANDO HO DISTESO I CIELI E FONDATO LA TERRA, ED HO DETTO A SION: TU SEI IL MIO POPOLO (Is LI,16).

 

2. SALMI

Passando ora alla lode dei SALMI, si ravvisano, senza difficoltà le due linee tracciate:

1.- una che fa oggetto di lode la creazione considerata in se stessa, quale espressione della potenza e della grandezza divina,

2.- ed un’altra, che esalta l’opera divina della creazione, in quanto si connette strettamente con le gesta di Dio compiute nella storia.

Si pongono sul primo fronte I SALMI VIII E CIV. Ambedue esprimono lo stupore dell’uomo di fronte al creato, che manifesta la magnificenza di Dio (sal VIII,2). ogni cosa proviene da Dio e spinge alla sua lode. Il SALMO VIII, però, concentra il suo sguardo sull’uomo, essere fragile e piccolo se messo a confronto con l’universo, ma grande se si considera che Dio lo ha reso di poco inferiore ad un dio, stabilendolo signore del mondo (Sal VIII,4-9). Il SALMO CIV, invece, fissa la sua attenzione sulla natura e sui suoi fenomeni, ripetendo che ogni vivente dipende per la propria esistenza da Dio (Sal CIV,27-30).

Si situano sul secondo fronte altri SALMI, che contemplano in un unico assieme le grandi gesta di Jahvè, attuate nel corso della storia:

1.- il SALMO XXXIII, che vede nella rettitudine, nella fedeltà, giustizia e bontà le caratteristiche costanti dell’azione divina, tanto creatrice quanto storico-salvifica;

2.- il SALMO LXXIV, che ridona fiducia alla comunità israelitica, appena rientrata dall’esilio, rievocando ‘i gesti di salvezza’ di Dio, creatore del cielo e della terra, e liberatore di Israele nel passaggio del Mar Rosso;

3.- il SALMO LXXXIX, che esprime l’amore di Jahvè manifestato nella creazione (vv. 10-14) e nella elezione di Davide (vv. 20-38), che, perciò, formano una sola cosa.

Il modello, più esplicito della proclamazione dell’UNITÀ DELLA CREAZIONE CON L’ALLEANZA si trova, tuttavia, nel grande Hallel, il SALMO CXXXIV, nel quale il ritornello ETERNA È LA SUA MISERICORDIA fonde in un unico insieme la proclamazione di un amore, che si fa palese nella CREAZIONE (vv. 4-9), nella storia passata di Israele (vv. 18-22), in quella presente (vv. 23-24), ed in quella del mondo (v. 25). Così, l’intero creato risulta coinvolto nel disegno di amore messo in luce dalla considerazione delle vicende del popolo di Dio.

 

3. LETTERATURA SAPIENZIALE

I testi della letteratura sapienziale comprendono i passi del libro dei Proverbi, di Giobbe, del Siracide e del libro della Sapienza, tutti scritti in epoca di molto posteriore all’esilio. La redazione del libro dei Proverbi pare sia stata completata, infatti, nel sec. V a. C.; Giobbe risale probabilmente alla prima metà dello stesso secolo; il Siracide al 180 a. C.; e la Sapienza va collocata tra il 100 ed il 50 a. C.  

 

 

A.5. - CONCLUSIONE

 

Per l’AT, in definitiva, l’UOMO, QUESTA REALTÀ, È CREATURA DI DIO, liberamente creato da Lui. Ciò significa che egli non è una emanazione necessaria, quindi involontaria, della divinità, come afferma il neoplatonismo; non è una manifestazione del divino, che diviene progressivamente nella storia fino a raggiungere nello spirito assoluto la sua perfezione, come afferma l’idealismo tedesco; non è una determinazione o un modo di essere necessario dell’unica sostanza divina, come vuole Spinoza e, in genere, vuole il panteismo nelle sue molteplici forme.

All’origine dell’uomo c’è l’atto creatore di Dio: un atto radicalmente libero, non essendo Dio in nessuna maniera necessitato a creare l’uomo o a porre l’atto creativo in generale. Né da una necessità interna alla sua natura, poiché Dio, per sua natura, è Libertà assoluta. che trova la sua norma solo nell’infinta Sapienza e Bontà di Lui [libertà assoluta non significa, perciò, arbitrarietà assoluta, quasi che Dio sia ’liberò di fare anche quello, che è contrario alla sua Sapienza e alla sua Bontà: la ‘libertà è sempre razionale e buona e, perciò, non è da confondersi con l’’arbitrio’, che può essere irrazionale e cattivo]. Né da una necessità esterna al suo essere, cosicché Dio è assolutamente perfetto e felice in se stesso e non c’è nulla al di fuori di lui, che possa accrescere la sua perfezione e la sua felicità. Dio, infatti, è perfezione infinita, è l’infinito ‘Oceano dell’essere’, e nessun essere finito può nulla aggiungere e nulla togliere all’infinità divina. Egli, perciò, non ha né può aver bisogno di nessun essere finito.

Se, dunque, Dio crea altri esseri, non lo fa cosicché ne ha bisogno o cosicché gli sono utili. In questo la rivelazione ebraico-cristiana si differenzia radicalmente dalle antiche religioni dell’area mesopotamica, secondo le quali l’uomo è ‘fabbricato’ dagli dei, cosicché costruisca per loro dei templi ed offra ogni giorno i cibi, le bevande e i profumi, di cui essi hanno bisogno. Così, infatti, si esprime la fede cristiana: QUESTO UNICO VERO DIO, NON PER AUMENTARE NÉ PER ACQUISTARE LA PROPRIA FELICITÀ, MA PER MANIFESTARE LA SUA PERFEZIONE PER MEZZO DEI BENI CHE COMUNICA ALLE CREATURE, IN VIRTÙ DELLA SUA BONTÀ ED ONNIPOTENZA, CON DECISIONE ASSOLUTAMENTE LIBERA HA EGUALMENTE CREATO DAL NULLA ALL’INIZIO DEL TEMPO I DUE MONDI, LO SPIRITUALE E IL CORPOREO (Concilio Vaticano I, Cost. Dei Filius, c. 1).

Dio, dunque, non ha creato l’uomo per necessità, ma liberamente; non lo ha creato per bisogno o per utilità propria, ma per bontà e per amore. È detto nel libro della SAPIENZA (XI,24-26): TU AMI TUTTE LE COSE ESISTENTI E NULLA DISPREZZI DI QUANTO HAI CREATO; SE AVESSI ODIATO QUALCOSA, NON L’AVRESTI NEPPURE CREATA. COME POTREBBE SUSSISTERE UNA COSA, SE TU NON VUOI? O CONSERVARSI, SE TU NON L’AVESSI CHIAMATA ALL’ESISTENZA? TU RISPARMI TUTTE LE COSE, COSICCHÉ TUTTE SON TUE, O SIGNORE, AMANTE DELLA VITA, POICHÉ IL TUO SPIRITO INCORRUTTIBILE È IN TUTTE LE COSE. Afferma S. Agostino nelle Confessioni (XIII,1): IO SONO PER LA TUA BONTÀ CHE PREVENNE, TUTTO CIÒ CHE MI HAI FATTO E CIÒ DONDE TU MI HAI TRATTO. TU NON AVEVI BISOGNO DI ME E IO NON SONO UN BENE TALE DA POTERTI ESSERE DI GIOVAMENTO, O MIO SIGNORE E MIO DIO.

In realtà, secondo la rivelazione cristiana (cfr. 1 Gv IV,16), DIO, nella sua essenza più profonda è AMORE e tutto quello, che egli compie, lo compie per amore. Così crea l’uomo cosicché lo ama prima che egli sia e perciò prima che egli possa avere qualcosa, per cui meriti di essere amato. A differenza dell’amore umano, che, pur essendo un riflesso dell’amore divino, è, tuttavia, finito, limitato ed imperfetto, non può amare se non ciò, che è amabile e perciò merita di essere amato, l’amore di Dio è creatore, crea, cioè, l’oggetto stesso del suo amore. Così l’uomo è creato per amore, non nel senso che aveva qualche cosa, per cui meritava di essere amato da Dio, ma nel senso che egli esiste, cosicché Dio lo ha amato e lo ama. Non vi è alcuna altra ragione, per cui egli esista, se non l’amore di Dio. E, poiché l’amore - e solo l’amore - è sovranamente libero, l’uomo esiste, cosicché Dio lo ha liberamente amato, e, dunque, liberamente creato.

Perciò, l’origine dell’uomo non va ricercata in una cieca necessità o in un oscuro destino, ma nel libero amore di Dio. Egli non è ‘gettato’ nell’esistenza da un’ignota ed oscura fatalità, ma è ‘postò nel mondo dall’amore libero e dalla sapienza infinita di Dio con un piano ed uno scopo degni dell’amore e della sapienza divina.

La risposta veterotestamentaria alla domanda profonda : L’UOMO, DONDE VIENE? è, dunque, il CREAZIONISMO, UN ATTO LIBERO E PIENO DI AMORE DA PARTE DI DIO.

 

 

 

B. – L’ESPERIENZA NEOTESTAMENTARIA CRISTO-TEOLOGICA

 

 

B.1. - INTRODUZIONE

 

È, ormai, un dato acquisito della riflessione teologica la considerazione dell’UOMO e del MONDO come CREATURE DI DIO NELLA PROSPETTIVA CRISTOCENTRICA. Questa visione è fondata sulla testimonianza del NT e si esplicita nella formula teologica che afferma che l’uomo è chiamato da Dio creatore in vista e per mezzo del CRISTO. Il destino di ogni uomo, che nasce in questo mondo, è agganciato all’evento Gesù Cristo, come garanzia di senso, di vita, di salvezza per la sua vita.

L’uomo che viene in quel mondo, che è il mondo di Cristo, non è solo ‘ordinato’ a Lui, ma è concretamente ‘destinato’ a Lui, ‘segnato’, quindi, da Lui e dal rapporto con Lui. La sua esistenza umana concreta come creatura è oggetto di benevolenza , condiscendenza di Dio in Cristo. Avvolto da essa, egli, quale creatura, si muove; segnato da essa, egli, quale creatura e secondo le sue potenzialità creaturali, si realizza.

Il recupero con l’autentica relazione della creazione dell’uomo con l’elezione si impone categoricamente a partire dall’indiscutibile attestazione neotestamentaria della CREAZIONE IN CRISTO, e la rilancia in modo decisivo.  

 

 

B.2. -  CRISTO È LA VERA E DEFINITIVA CREAZIONE

 

Ogni uomo è progettato su CRISTO, il Figlio trascendente del Padre.

Il rapporto della ‘elezione in Cristo’ con la ‘creazione’, in forza del quale l’UOMO si presenta essenzialmente come CREATURA DI DIO NEL CRISTO GESÙ, viene delineato dalle SCRITTURE., e, specialmente, da S. Paolo, in termini di CAUSALITÀ ESEMPLARE e FINALE, ma anche EFFICIENTE. Si proclama che GESÙ È IL MODELLO, L’IMMAGINE, LA FORMA SU CUI L’UOMO È PLASMATO e deve plasmarsi; e che tutto è destinato a far capo a Lui, per concludere a Dio in Lui. Ma si afferma anche che TUTTO È STATO CREATO PER MEZZO DI LUI (1 Cor VIII,6; Col I,15-20; Eb I,2-3). Il NT attesta che CRISTO È LA VERA E DEFINITIVA CREAZIONE, il principio, la meta, il modello di ogni realtà creata. E spiega che l’intenzione vera e definitiva, sottesa all’azione creatrice di Dio, si manifesta pienamente in Gesù Cristo; che è lui colui che il Padre progetta e vuole quando decide di creare; che ogni uomo creato da Dio fa parte del mistero del Cristo , trova in Gesù la propria ragion d’essere ed il paradigma insuperabile del proprio comportamento.

 Il NT eredita pacificamente dall’AT la certezza che il mondo e l’uomo esistono non già grazie ad una presunta autosufficienza, ma in forza della volontà creatrice, che li trae dal nulla. Come l’AT , inoltre, anche, e soprattutto, il NT vede nella creazione un elemento interno della storia della salvezza, interamente subordinato ad essa, ossia attesta che Dio ultimamente crea in vista dell’alleanza, sicché esiste la creazione perché esiste quest’ultima. Ma esso introduce nella realtà dell’alleanza la NOVITÀ DI GESÙ CRISTO. Perciò proclama che la creazione avviene in Gesù, mediante Gesù e per Gesù, rivelando che la predestinazione consiste nella destinazione previa ad incontrarsi col Padre il Lui.

 

 

B.3. - L’INVERAMENTO DELLA CREAZIONE IN CRISTO IN SAN GIOVANNI

 

Nell’ambito del Vangelo di Giovanni il testo più interessante è il prologo, una sorta di indice dell’intera narrazione, che segue, e di riassunto delle sue tesi dominanti. Il brano riconosce in Gesù l’inveramento di quanto l’AT ha scritto a proposito della Parola e della Sapienza di Dio.

A. - Anzitutto asserisce che il mondo dipende totalmente da Gesù LOGOS , o PAROLA, perché egli è il suo creatore ed il suo vivificatore:

1.- da una parte, infatti, afferma che TUTTO È STATO FATTO PER MEZZO DI LUI, E SENZA DI LUI NIENTE È STATO FATTO DI TUTTO CIÒ CHE ESISTE (Gv I,3), e che EGLI ERA NEL MONDO ED IL MONDO FU FATTO PER MEZZO DI LUI (Gv I,10),

2.- dall’altra dichiara che IN LUI ERA LA VITA, E LA VITA ERA LA LUCE DEGLI UOMINI (Gv I,4) e che A QUANTI L’HANNO ACCOLTO HA DATO IL POTERE DI DIVENTARE FIGLI DI DIO, A QUELLI CHE CREDONO NEL SUO NOME (GvI,12). L’unione della funzione creatrice con quella vivificatrice illustra la profonda unità della CREAZIONE con la SALVEZZA.

B.- In secondo luogo mette in evidenza la verità e l’assolutezza della finalizzazione del mondo a Gesù, affermando che l’accettare o meno la sua realtà divide il mondo in luce e tenebre. Egli, infatti, è la luce, che splende nelle tenebre, MA LE TENEBRE NON L’HANNO ACCOLTA (Gv I,5), ossia sono tenebre precisamente perché ed in quanto rifiutano la sua presenza ed il suo messaggio. EGLI ERA NEL MONDO, ED IL MONDO FU FATTO PER MEZZO DI LUI, EPPURE IL MONDO NON LO RICONOBBE (Gv I,10). Dato che l’UMANITÀ proviene dalla sua opera creatrice, essa costituisce la SUA GENTE (Gv I,11), e tuttavia  I SUOI NON L’HANNO ACCOLTO (Gv I,11). A QUANTI , PERÒ, L’HANNO ACCOLTO, HA DATO POTERE DI DIVENTARE FIGLI DI DIO (Gv I,12). Questo perché DALLA SUA PIENEZZA NOI TUTTI ABBIAMO RICEVUTO E GRAZIA SU GRAZIA (Gv I,16), ossia perché LA GRAZIA E LA VERITÀ VENNERO PER MEZZO DI GESÙ CRISTO (Gv I,17). IL MONDO È CREATO DA GESÙ PAROLA ED ESISTE IN RAPPORTO A LUI, a tal punto che la sua riuscita od il suo fallimento dipendono dalla crescita o dalla degradazione di tale rapporto.

 

 

B.4. - L’INVERAMENTO DELLA CREAZIONE IN CRISTO IN S. PAOLO

 

Accanto all’inno cristologico del prologo di Giovanni fanno spicco, distinguendosi per la profondità del pensiero e per la forza espressiva del linguaggio, I TESTI DI SAN PAOLO [suoi o della sua tradizione], che inneggiano alla

1) CREAZIONE IN CRISTO (1 Cor VIII,6; Col I,15-17 ed Eb I,1-3)  o sviluppano il tema della

2) PREDESTINAZIONE intesa come ‘MISTERO’ della Sapienza divina creatrice (Ef I,3-14; III,1-12; e Rm VIII,28-30).  

 

 

1) CREAZIONE IN CRISTO

 

            In 1 Cor VIII,6 è riportata una formula di fede bipolare, costruita attorno al Padre ed a Gesù, che, probabilmente, è stata elaborata da cristiani convertiti dal paganesimo, il cui cammino di adesione a Gesù [polo cristologico] aveva bisogno di passare attraverso l’accettazione del monoteismo [polo teologico]. Ecco il testo: PER NOI C’È UN SOLO DIO, IL PADRE, DAL QUALE [ex ou] TUTTO PROVIENE E NOI SIAMO PER LUI [eis auton]; ED UN SOLO SIGNORE, GESÙ CRISTO , IN VIRTÙ DEL QUALE [di ou] ESISTONO TUTTE LE COSE E NOI ESISTIAMO PER LUI [di auton]. Gli interlocutori sono, da una parte, DIO e Gesù, e dall’altra l’UNIVERSO [ta panta] e la comunità cristiana. Li lega una unità fondata su di un triplice rapporto: di origine [tutto ‘dal’ Padre], di mediazione [in virtù del Signore Gesù] e di finalità [‘per’ il Padre]. GESÙ esercita un essenziale ruolo di mediazione sia nella azione creatrice [IN VIRTÙ DEL QUALE ESISTONO TUTTE LE COSE] sia in quello storico salvifico [E NOI ESISTIAMO PER LUI, ossia attraverso di Lui]. Dunque, l’uomo deve vedere in Lui il cardine della propria situazione nativa [creazione primordiale] e della propria attuazione finale [creazione escatologica].

Si osservi che il testo non dice semplicemente che il mondo è stato creato per Gesù, ma aggiunge che è stato creato mediante Lui. Di questa partecipazione del Signore alla creazione, esso non dà alcuna spiegazione; ma l’affermazione è indiscutibile: GESÙ HA AVUTO A CHE FARE ANCHE CON L’ORIGINE DELL’UNIVERSO. Si può ragionevolmente supporre che la prima generazione cristiana, avendo compreso la centralità di Gesù nella salvezza e la continuità della SALVEZZA con la CREAZIONE, abbia, di conseguenza, intuito che Gesù non può risultare assente dall’opera della creazione in quanto tale.

 

Col I,15-17 è un brano particolarmente denso ed intensamente discusso. Molto probabilmente proviene dalla rifusione di un inno prepaolino a Cristo Creatore dei mondi e Salvatore scatologico, composto da una comunità ellenistico-cristiana. A riguardo di Gesù, dice: EGLI È L’IMMAGINE DEL DIO INVISIBILE, GENERATO PRIMA DI PGNI CREATURA, POICHÉ PER MEZZO DI LUI [en auto] SONO STATE CREATE TUTTE LE COSE, QUELLE NEI CIELI E QUELLE SULLA TERRA, QUELLE VISIBILI E QUELLE INVISIBILI: TRONI, DOMINAZIONI, PRINCIPATI E POTESTÀ. TUTTE LE COSE SONO STATE CREATE PER MEZZO DI LUI [di autou] ED IN VISTA DI LUI [eis auton]. EGLI È PRIMA DI TUTTE LE COSE, E TUTTE SUSSITONO [sunesteken] IN LUI [en auto]. L’asserzione cardine si impernia sul rapporto di Gesù con l’universo: tutto è stato creato in Lui, mediante Lui e per Lui. Stante però il senso teologico del passivo è stato creato, che sottintende l’azione divina del Padre, il principio supremo di ogni cosa, resta Dio. Ma il mondo esiste nella prospettiva di Gesù. Al di fuori di Lui, perciò, niente è pensabile, nulla potrebbe esistere.

Anche qui si sostiene la preesistenza di Gesù rispetto al creato, con i problemi, che l’asserzione comporta. Certo, il motivo creazionistico si prolunga in quello propriamente soteriologico (Col I,18-20) per dichiarare che tutto riceve da Gesù la propria consistenza; e confermare l’unità della CREAZIONE con la SALVEZZA. Ma, intanto, tale motivo esiste e non v’è dubbio che il soggetto in questione nella responsabilità della creazione sia Gesù di Nazaret, morto e risuscitato, per cui si appella alla distinzione tra Verbo incarnato e Verbo in quanto tale, per attribuire solo a quest’ultimo ciò che l’inno dice della funzione mediatrice di Gesù nella creazione del mondo, non fa giustizia al testo.

 

I versetti della Lettera agli Ebrei I,1-3 impressionano per la solennità dello stile, intonato alla sua natura di sermone liturgico, e verosimilmente provengono essi pure da frammenti di inni più antichi. Avvalendosi di una straordinaria capacità di sintesi, sintetizzano in poche battute il senso ultimo del mondo e della storia , identificandolo con la glorificazione di Gesù: DIO, CHE AVEVA GIÀ PARLATO NEI TEMPI ANTICHI MOLTE VOLTE ED IN DIVESRI MODI AI PADRI PER MEZZO DEI PROFETI, ULTIMAMENTE IN QUESTI GIORNI HA PARLATO A NOI PER MEZZO DEL FIGLIO, CHE HA COSTITUITO EREDE DI TUTTE LE COSE, PER MEZZO DEL QUALE [di ou] HA FATTO ANCHE IL MONDO. QUESTO FIGLIO, CHE È IRRADIAZIONE DELLA SUA GLORIA ED IMPRONTA DELLA SUA SOSTANZA, E SOSTIENE TUTTO CON LA POTENZA DELLA SUA PAROLA, DOPO AVER COMPIUTO LA PURIFICAZIONE DEI PECCATI SI È ASSISO ALLA DESTRA DELLA MAESTÀ NELL’ALTO DEI CIELI.

Il versetto 2 collega l’escatologia della pienezza dei tempi [ULTIMAMENTE, IN QUESTI GIORNI] con l’avvio del creato [PER MEZZO DEL QUALE HA FATTO ANCHE IL MONDO]; le due realtà, dunque, si corrispondono, ossia la fine richiama l’inizio. Esiste un’unica storia specificata dalla iniziativa di grazia di Dio e della mediazione del Figlio incarnato. Gesù entra direttamente nell’azione creatrice di Dio, sia all’inizio sia in seguito. EGLI è la PAROLA DECISIVA della CREAZIONE e della SALVEZZA, e queste non possono essere pensate se non congiunte. Egli è l’erede finale, che adempie le promesse finalizzandole a sé e caratterizzandole in rapporto al proprio mistero. Ancora una volta si comprende che se Gesù chiude la storia, non può essere stato assente alla sua apertura.

 

 

2) PREDESTINAZIONE

 

Ed ecco i passi, che illustrano il disegno salvifico di Dio sul mondo e sulla storia, ossia, la predestinazione o mistero [realtà salvifica], che rende ragione del senso e dell’orientamento ultimo di ogni realtà creata. Si tratta di pericopi, che rivelano l’unità del mondo in GESÙ CRISTO, presentandolo come la chiave di volta e la ragione ultima dell’esistenza e del valore del creato. Stante l’ampiezza del testo della lettera agli Efesini, che qui interessa, (Ef I,3- 14), vien citato per versetti inframmezzati da qualche parola di commento.

L’avvio è una dossologia: BENEDETTO SIA DIO, PADRE DEL SIGNORE NOSTRO GESÙ CRISTO, CHE CI HA BENEDETTI CON OGNI BENEDIZIONE SPIRITUALE NEI CIELI, IN CRISTO (v. 3). Il nome conferito a Dio, quello di PADRE DEL SIGNORE NOSTRO GESÙ CRISTO ed il suo collegamento con la BENEDIZIONE divina prestata agli uomini, fanno capire che tanto Dio in persona quanto il suo progetto sul mondo si definiscono in relazione a Gesù.

Segue l’annuncio della predestinazione: IN LUI CI HA SCELTI PRIMA DELLA CREAZIONE DEL MONDO PER ESSERE SANTI ED IMMACOLATI AL SUO COSPETTO, NELLA CARITÀ, PREDESTINANDOCI AD ESSERE SUOI FIGLI ADOTTIVI PER OPERA DI GESÙ CRISTO, SECONDO IL BENEPLACITO DELLA SUA VOLONTA’ (vv. 4-5). Il progetto di Dio, si dice, proviene veramente da Dio, ossia costituisce, rispetto all’uomo, una effettiva pre-destinazione. La scelta antecede la creazione e verte, per insindacabile decisione della volontà divina, su GESÙ. Perciò, l’intento della creazione consiste nel fare degli uomini i figli del Padre nel Figlio Incarnato. Ogni uomo viene al mondo per questo scopo.

Il testo continua dicendo: E QUESTO A LODE E GLORIA DELLA SUA GRAZIA, CHE CI HA DATO NEL SUO FILGIO DILETTO (v. 6). Con ciò spiega che la predestinazione rappresenta un progetto di immenso amore e di inaudita promozione umana, e che essa si incentra su Gesù non solo sul piano della finalità, ma anche su quello della strumentazione. Poi fa il punto sulla concreta situazione attuale dell’uomo, che è contaminato dal peccato e, perciò, ha bisogno di riscatto. Aggiunge infatti: NEL QUALE ABBIAMO LA REDENZIONE MEDIANTE IL SUO SANGUE, LA REMISISONE DEI PECCATI, SECONDO LA RICCHEZZA DELLA SUA GRAZIA (v. 7).

Compiuta questa essenziale precisazione, l’inno torna al tema centrale per esplicitarlo più diffusamente. L’intento del progetto di Dio sulla creazione, spiega, è PRESTABILITO, ossia nasce dalla sua volontà di amore, si avvera in Gesù , e consiste nel fare di Lui il cuore del mondo. La sua grazia EGLI L’HA ABBONDANTEMENTE RIVERSATA SU DI NOI CON OGNI SAPIENZA ED INTELLIGENZA, POICHÉ EGLI CI HA FATTO CONOSCERE IL MISTERO [mysterion] DELLA SUA VOLONTÀ, SECONDO QUANTO NELLA SUA BENEVOLENZA AVEVA IN LUI PRESTABILITO PER REALIZZARLO NELLA PIENEZZA DEI TEMPI: IL DISEGNO, CIOÈ, DI RICAPITOLARE IN CRISTO TUTTE LE COSE , QUELLE DEL CIELO E QUELLE DELLA TERRA (vv. 8- 10). Il vertice del piano di Dio, che implica elezione, filiazione e liberazione dal peccato, consiste nella costituzione di Gesù quale centro unificante del mondo e senso pieno della storia umana. Il testo greco adopera il termine ‘mysterion’, da tradursi per sé con progetto segreto. Ebbene, esso significa che la novità cristiana è la concentrazione dell’universo nella persona e nel ruolo storico salvifico di Gesù. Mistero - annota un esegeta - non è più una decisione divina segreta o riservata agli inizi, ma il pieno svelamento del progetto salvifico. La storia è immaginata come un susseguirsi di epoche e avvenimenti salvifici, che raggiungono la loro pienezza grazie al ruolo determinante della persona di Cristo, che riassume in se ogni frammento della storia salvifica presente e la unifica quale unico Signore e Capo di tutta la realtà. Al Cristo come Signore Risorto e’, d’ora in poi, intestata tutta la storia umana.

L’inno si chiude con un doppio riferimento escatologico, che sottolinea la continuità della prima creazione con la seconda: dapprima nomina l’eredità riservata a chi spera in Gesù (vv.11- 12), e poi menziona lo Spirito Santo, suggello del piano di Dio e caparra di tale eredità (vv. 13-14).

L’universalità della predestinazione torna alla ribalta in  Ef III,1-12, dove, infatti, si riparla del mistero. Il testo lo definisce vocazione di tutti, gentili e giudei, lo mette in stretta correlazione con la creazione e lo identifica con l’offerta della ricchezza di Cristo. A ME CHE SONO INFIMO FRA TUTTI I CREDENTI - scrive Paolo - È STATA CONCESSA QUESTA GRAZIA DI ANNUNCIARE AI GENTILI LE IMPRESCRUTABILI RICCHEZZE DI CRISTO E DI FAR RISPLENDERE AGLI OCCHI DI TUTTI QUALE È L’ADEMPIMENTO DEL MISTERO NASCOSTO DA SECOLI NELLA MENTE DI DIO, CREATORE DELL’UNIVERSO, PERCHÉ SIA MANIFESTATA ORA NEL CIELO, PER MEZZO DELLA CHIESA, AI PRINCIPATI ED ALLE POTESTÀ, LA MULTIFORME SAPIENZA DI DIO SECONDO IL DISEGNO ETERNO, CHE HA ATTUATO IL CRISTO GESÙ SIGNORE NOSTRO (Ef III,8-11).

Rm VIII,28-30, infine. descrive le varie tappe della predestinazione: DEL RESTO NOI SAPPIAMO CHE TUTTO CONCORRE AL BENE DI COLORO CHE AMANO DIO, CHE SONO STATI CHIAMATI SECONDO IL SUO DISEGNO. POICHÉ QUELLI. CHE DA SEMPRE HA CONOSCIUTI, LI HA ANCHE PREDESTINATI AD ESSERE CONFORMI ALLA IMMAGINE DEL FIGLIO SUO, PERCHÉ EGLI  SIA IL PRIMOGENITO TRA MOLTI FRATELLI; QUELLI, POI, CHE HA PREDESTINATI, LI HA AMCHE CHIAMATI, QUELLI, CHE HA CHIAMATI, LI HA ANCHE GIUSTIFICATI, QUELLI, CHE HA GIUSTIFICATI, LI HA ANCHE GLORIFICATI.

Esiste un disegno di Dio sul mondo, giacché questo è stato creato per rispondere all’amore di Dio. Gli uomini, conosciuti da sempre, ossia messi all’esistenza dalla libera elezione creatrice di Dio, sono destinati, antecedentemente ad ogni loro deliberazione, ad assumere i lineamenti del Figlio incarnato. Questa destinazione comporta un cammino costruttivo, che parte dalla chiamata di Dio [protologia], procede in e mediante la giustificazione [grazia] e si completa nella glorificazione [escatologia]. Poiché la creazione esiste grazie all’amore di Dio nel Cristo, non resta che glorificare questo inestimabile amore.  

 

 

C. - LA PROVVIDENZA

 

La creazione dell’uomo [e del mondo] porta con sé, come corollario conseguente e necessario, la permanenza in essa, che meglio viene chiamata PROVVIDENZA. Questa consiste nella conservazione del mondo mediante una cosiddetta CREAZIONE CONTINUA e nell’opera di Dio in mezzo ai popoli. Il mondo ha bisogno del sostegno di Dio in ogni momento della sua esistenza (Sal CIV), perché FA MORIRE E FA VIVERE (1 Sam II,6), ELARGISCE PIOGGIA, FRUTTI E CIBO A TEMPO DEBITO (Sal CXLV,15), PLASMA IL GIORNO E LA NOTTE E LE STAGIONI (Sal LXXIV,16). La stessa PAROLA, che fu mediatrice nella creazione è anche mediatrice e forza di conservazione del mondo (Sap XVI,26; Sal CXIX,51). S. Agostino, che più di ogni altro Padre della Chiesa ha sviluppato il concetto della conservazione del mondo, chiama DIO OMNICREANTEM ET OMNITENENTEM (Confessioni, 11, 13, 15).

 

 

 

D. - IL CAVALIERE DEL SANTO SEPOLCRO DI GERUSALEMME CREATO, COME TUTTI, DAL SIGNORE DELLA VITA PER ESSERE SANTO ED IMMACOLATO

 

Dal pieno riconoscimento del primato cosmico di Gesù consegue una serie di importanti riflessioni. Nell’attuale e concreto ordine storico di salvezza, così come Dio di fatto lo ha voluto, il rapporto con Cristo rappresenta un elemento costitutivo essenziale ed indispensabile dell’essere dell’uomo. E anzi il più costitutivo ed essenziale di tutti, perché tutti gli altri esistono in vista ed in funzione sua. Il mondo e l’uomo sono posti nell’essere in forza del Cristo, sicché, rigorosamente, senza di Lui nulla di creaturale avrebbe luogo. Dio non ha mai pensato al creato se non in relazione a Gesù, non ha mai ipotizzato il mondo se non in sovrapposizione del volto di Gesù e nell’incentramento su di lui. Perciò Gesù è veramente il Cristo, è la presenza fondante, che dà ragione di tutto e la chiave di volta della storia, il disegno originario ed unitario di quanto è esistito, esiste ed esisterà. Perciò, ancora, la comparsa di Gesù sulla scena del tempo causa il passaggio dalla preparazione della pienezza dei tempi alla sua effettiva inaugurazione.

Ogni uomo, che viene all’esistenza, e, quindi, anche il Cavaliere del S. S., è definito e definibile, come da un a priori trascendentale e prima di ogni sua presa di coscienza, dal rapporto con Gesù. In ogni uomo, che si affaccia alla ribalta della storia è presente ed opera questa relazione ontologica ben prima del suo pervenire alla soglia della coscienza. A prescindere dalle decisioni della sua libertà, L’UOMO, QUALUNQUE UOMO, È INSERITO NELLA SALVEZZA CRISTIANA GIÀ PER IL SEMPLICE FATTO DI ESISTERE. Né l’evangelizzazione né il battesimo creano il riferimento a Gesù. Essi lo trovano, lo esplicitano, e ne consentono l’appropriazione comunitaria e personale.

Data l’inclusione della CREAZIONE nell’ALLEANZA, la dimensione creaturale dell’uomo comporta una sua immediata e nativa inserzione nel mistero di Cristo ed una germinale apertura ai suoi benefici. Dunque, UN UOMO NATURALE, NEL SENSO DI NON CRISTICO, DI NON CORRELATO E RADICALMENTE VINCOLATO AL SIGNORE RISORTO, NON È MAI ESISTITO, NON ESISTE, NÉ MAI ESISTERÀ.  

Poiché l’ESSERE per, in e con GESÙ raggiunge l’uomo nella sua struttura più intima e profonda, esso costituisce il nucleo della sua personalità e la ragione ultima della sua immensa dignità. Dal momento che non si può toccare l’uomo. qualunque uomo, senza toccare, per ciò stesso, Gesù, e dal momento che Gesù è il Figlio di Dio in persona, ogni dono fatto all’uomo, a qualunque uomo, viene fatto a Dio; ed ogni offesa dell’uomo è già in se stessa offesa di Dio. Non è possibile separare l’uomo e Dio, perché in Gesù Cristo la causa dell’uomo e quella di Dio fanno una cosa sola. L’uomo, che alla luce della Rivelazione comprende questo inaudito valore degli altri uomini sa che, indipendentemente dal colore della loro pelle, dalla loro cultura, dalla loro età e dalla loro posizione sociale, egli dovrebbe mettersi in ginocchio davanti a ciascuno di essi. Giustamente è stato scritto: Credere alla singolarità del Nazareno significa credere alla dignità di ogni singolo uomo ed impegnarsi concretamente perché essa venga riconosciuta e promossa. Non basta confessare astrattamente l’universalità di Cristo: occorre affermarla lavorando per la liberazione di tutto l’uomo in ogni uomo, perché ognuno [singolo, popolo, razza, gruppo emarginato] prendendo coscienza di sé di fronte al proprio passo ed al proprio avvenire, decida nella libertà il suo presente ed edifichi il futuro in comunione responsabile con gli uomini, suoi compagni di strada.

Venire all’esistenza per il Cristo significa discendere in abbozzo da Lui, vuol dire appartenere alla ‘SERIE GESÙ CRISTO’, scoprire in Lui il proprio prototipo, incontrare in Lui l’insuperabile chiave di interpretazione dell’uomo. La vocazione ultima dell’uomo consiste nel pervenire ALLO STATO DI UOMO PERFETTO, NELLA MISURA CHE CONVIENE ALLA PIENA MATURITÀ DI CRISTO (Ef IV,13). Per comprendere se stesso l’uomo deve guardare a Gesù Cristo. Ogni rifiuto fatto a Gesù è fatto a se stessi e alla propria autenticità.

 

 

 

E. – COROLLARIO A MARGINE

 

Creazione ed evoluzione

 

1. I termini del dibattito. Il rapporto fra creazione ed evoluzione ha costituito uno dei maggiori terreni di confronto fra visione scientifica del mondo e Rivelazione biblica. Nell'epoca moderna il problema si affaccia inizialmente nella prima metà del XIX secolo con le ipotesi di J.B. Lamarck (1744-1829) sulle variazioni morfologiche che hanno caratterizzato i viventi nel corso del tempo (Filosofia zoologica, 1809), per proporsi poi con forza attraverso le opere di Darwin (1809-1882) sull'origine delle specie e la selezione naturale (L'origine delle specie, 1859; La discendenza dell'uomo, 1871).  

 A partire dalla fine dell'Ottocento cominciarono a cristallizzarsi, principalmente in ambiente anglosassone, due posizioni non prive di risonanze ideologiche, note come “creazionismo” ed “evoluzionismo”. La prima non intendeva distaccarsi dalla comprensione letterale del testo genesiaco, disinteressandosi quasi completamente della valenza dei risultati scientifici, mentre la seconda assumeva in pieno l'orizzonte storico-evolutivo offerto dalle scienze naturali, disinteressandosi di approfondire quegli elementi di compatibilità suggeriti da una corretta teologia della creazione. L'eco di queste posizioni permane oggi in alcuni strati dell'opinione pubblica, specie in quelli con scarso accesso ad una corretta documentazione teologica. Va in ogni caso precisato che il termine “evoluzionismo”, tuttora largamente utilizzato, non indica la teoria dell'evoluzione in senso stretto, ma quella visione filosofica del mondo che fa dell'intera natura un grande processo storico in continua mutazione, nel quale non sarebbe possibile riconoscere né la persistenza di un soggetto stabile, né l'esistenza di un fine. 

2. La presenza della dimensione storico-evolutiva nella comprensione teologica della creazione. Ancor prima di un confronto in termini di esegesi biblica, andrebbe osservato che l'assunzione di una prospettiva storica non entra in conflitto con una corretta teologia della creazione. Come già segnalato, solo in un universo che ha avuto un inizio del tempo e tende verso uno scopo, la storia acquista un vero significato. La relazione fra Creatore e creatura inaugurata dall'atto creativo, vista dalla parte del creato, si presenta come un'azione continua (creatio continua) e quindi immersa nella storia. Se al termine “evoluzione” si attribuisse in prima istanza il significato di crescita, sviluppo, distensione nel tempo di ciò che è implicato nelle premesse, non vi sarebbe difficoltà ad affermare che l'evoluzione è in certo modo il “metodo” con cui Dio crea: l'evoluzione cosmica, quella biologica e quella culturale sono, in ultima istanza, parti di un singolo processo creativo.

Con un linguaggio proprio della loro epoca, alcuni Padri della Chiesa come Atanasio, Basilio, Gregorio di Nissa, e soprattutto Agostino, parlarono della creazione come di un atto divino che si dispiega nel tempo, ma possiede in sé, ex parte Creatoris, tutto il progetto del mondo. Proprio in sede esegetica, s. Agostino suggerì l'esistenza di rationes seminales contenute nella creazione (cfr. ad es. De Genesi ad litteram, V, 4 e VI, 6; De Trinitate, III, 9, 16). 

3. Le necessarie coordinate teologiche del rapporto fra creazione ed evoluzione. La teologia cristiana della creazione non si oppone ad una visione evolutiva del mondo e della vita, purché vengano riconosciute alcune verità contenute nel messaggio biblico, determinanti anche ai fini della coerenza dell'intera dottrina filosofico-teologica sulla creazione, così come confessata fin dalle prime professioni di fede. Esse potrebbero riassumersi succintamente nelle seguenti. Dio è assolutamente distinto dal mondo e la sua vita personale non è oggetto di alcun processo evolutivo. La libertà di Dio e del suo progetto creatore sono l'origine e la causa dell'evoluzione dell'universo e lo dirigono verso il suo fine. Nulla di quanto accade nell'evoluzione del cosmo è estraneo o sconosciuto al disegno creatore di Dio o indipendente dalla sua volontà. La ragione fondante ed ultima dell'evoluzione non è la materialità dell'universo, le sue proprietà o potenzialità, ma ciò che le trascende, cioè l'azione creatrice di Dio, sebbene questa si realizzi nell'universo materiale e attraverso di esso. L'universo è voluto in funzione della vita e della vita intelligente: la sua comparsa è il frutto dell'esplicita e libera volontà divina e non è il risultato né di eventi casuali, né di una legge deterministicamente necessaria. Nella loro creazione, il primo uomo e la prima donna dipendono da Dio in modo diverso da come vi dipende il resto del creato: essi sono fatti a Sua immagine e somiglianza. Nella creazione della persona umana l'azione di Dio è immediata, cioè non mediata da altre cause secondarie. Ogni essere umano che viene all'esistenza, durante tutta la storia, è voluto in modo personale dal suo Creatore.  

Esiste dunque lo spazio per una riflessione teologica che tenga conto dei risultati delle scienze sull'evoluzione. Così lo segnalava Giovanni Paolo II: «Non creano ostacoli una fede rettamente compresa nella creazione o un insegnamento rettamente inteso dell'evoluzione: l'evoluzione infatti presuppone la creazione; la creazione si pone nella luce dell'evoluzione come un avvenimento che si estende nel tempo — come una creatio continua —, in cui Dio diventa visibile agli occhi del credente come “Creatore del Cielo e della terra”» (Discorso ai partecipanti al Congresso “Fede cristiana e teoria dell'evoluzione”, Roma, 26.4.1985, in Insegnamenti, VIII,1 (1985), p. 1132). Questa compatibilità sarebbe possibile — aggiungeva in un'altra occasione — ritenendo «che il corpo umano, seguendo l'ordine impresso dal Creatore nelle energie della vita, sia stato gradatamente preparato nelle forme di esseri viventi antecedenti. L'anima umana, però, da cui dipende in definitiva l'umanità dell'uomo, essendo spirituale, non può essere emersa dalla materia» (Giovanni Paolo II, Catechesi, 16.4.1986). In un'allocuzione alla Pontificia Accademia delle Scienze il 22 ottobre del 1996 lo stesso Pontefice ebbe infine a chiarire che non era necessario continuare a riferirsi all'evoluzione biologica in termini di una semplice ipotesi, ma la si poteva considerare una teoria interpretativa ormai impostasi all'attenzione dei ricercatori, «grazie alla convergenza di molti risultati indipendenti» (cfr. Messaggio alla Pontificia Accademia delle Scienze, 22.10.1996, EV 15, 1346-1354).

Come in altri contesti del dibattito fra lettura scientifica del mondo e Rivelazione cristiana, anche nel rapporto fra evoluzione e creazione molte delle supposte conflittualità dipendono da assunzioni a priori, di natura filosofica o talvolta perfino ideologica.  

 

 

 

 


 

Fonte :  testo cortesemente inviato alla redazione dal Relatore dell'incontro spirituale il Confratello Comm. Mons. Prof. Vincenzo Taiani  OESSG.

 

 

 

 

 

 


 

 

 

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