Ordine Equestre del  Santo Sepolcro di Gerusalemme

 

LUOGOTENENZA PER L'ITALIA MERIDIONALE TIRRENICA


  CULTURA E SPIRITUALITA' : Il Cavaliere del Santo Sepolcro di Gerusalemme testimone di Cristo Risorto, speranza del mondo , di Mons. Vincenzo Taiani

prima pagina  

 

 

IL CAVALIERE DEL SANTO SEPOLCRO DI GERUSALEMME

TESTIMONE di CRISTO RISORTO ,

SPERANZA DEL MONDO

relazione del

Comm. Mons. Prof. Vincenzo Taiani

 

Cavaliere del Santo Sepolcro di Gerusalemme  ( Knight  of the Holy Sepulchre of Jerusalem  )

 

Luogotenenza Italia Meridionale Tirrenica - Sezione de' Principati

Delegazione O.E.S.S.G. Cava de' Tirreni - Amalfi

 

Incontro spirituale di preghiera, di ascolto della Parola e di meditazione

 

Cava de' Tirreni, Venerdi 13 Ottobre 2006

 

presieduto dal Delegato Gr. Uff. Dir.Gen. Giuseppe Raimondi e dal Priore Gr. Uff. Arciv. Orazio Soricelli,

relatore il Cav. Sac. Prof. Vincenzo Taiani,

con la partecipazione del Delegato di Nocera-Sarno Gr. Uff. Dott. Catello Celentano.

 

 

 

Nella foto da sinistra: il Delegato di Cava-Amalfi Gr. Uff. Dir.Gen. Giuseppe Raimondi , il Priore di Cava-Amalfi Gr. Uff. Arciv. Orazio Soricelli, il relatore Comm. Mons. Prof. Vincenzo Taiani .

 

 

 

 

IL CAVALIERE DEL SANTO SEPOLCRO DI GERUSALEMME

TESTIMONE DI CRISTO RISORTO,

SPERANZA DEL MONDO

 

Relatore:  Comm. Mons. Prof. Vincenzo Taiani

 

 

 

 

1. - Preghiera introduttiva.

 

Sac.:    Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Tutti:             AMEN!

Sac.:    Il Signore sia con voi.

Tutti:   E con il tuo spirito.

 

Sac.: Preghiamo:

Onnipotente, eterno, giusto e misericordioso Iddio, concedi a noi miseri di fare, per Tua grazia, ciò che sappiamo che Tu vuoi, e di volere sempre ciò che a Te piace, affinché purificati nell’anima, interiormente illuminati ed accesi dal fuoco dello Spirito Santo, possiamo seguire le orme del Figlio Tuo, il Signore nostro Gesù Cristo, e a Te, o Altissimo, giungere con l’aiuto della Tua sola grazia. Tu che vivi e regni glorioso nella Trinità perfetta e nella semplice unità, Dio onnipotente per tutti i secoli dei secoli. Tutti: Amen!.

 

Invocazione allo Spirito (Tutti)

Vieni, o Spirito creatore, visita le nostre menti,

riempi della tua grazia i cuori che hai creato.

O dolce consolatore, dono del Padre altissimo,

acqua viva, fuoco, amore, santo crisma dell’anima.

Dito della mano di Dio, promesso dal Salvatore,

irradia i tuoi sette doni, suscita in noi la parola.

Sii luce all’intelletto, fiamma ardente nel cuore;

sana le nostre ferite col balsamo del tuo amore.

Difendici dal nemico, reca in dono la pace,

la tua guida invincibile ci preservi dal male.

Luce d’eterna sapienza, svelaci il grande mistero

di Dio Padre e del Figlio uniti in un solo Amore. Amen!

 

LETTURA DALLA SACRA SCRITTURA

1° Lettore:  DAGLI ATTI DEGLI APOSTOLI (1,1-11)

Nel mio primo libro ho già trattato, o Teòfilo, di tutto quello che Gesù fece e insegnò dal principio fino al giorno in cui, dopo aver dato istruzioni agli apostoli che si era scelti nello Spirito Santo, egli fu assunto in cielo. Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per quaranta giorni e parlando del regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere che si adempisse la promessa del Padre “quella, disse, che voi avete udito da me: Giovanni ha battezzato con acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo, fra non molti giorni”. Così venutisi a trovare insieme gli domandarono: “Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele?”. Ma egli rispose: “Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta, ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra”. Detto questo, fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo. E poiché essi stavano fissando il cielo mentre egli se n’andava, ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che è stato di tra voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo”.

Parola di Dio.

 

RIFLESSIONE SPIRITUALE SULLA PAROLA

2° Lettore: DALLA LETTERA A DIOGNETO

Il mistero cristiano

I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri uomini. Infatti, non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono un genere di vita speciale. La loro dottrina non è nella scoperta del pensiero di uomini multiformi, né essi aderiscono ad una corrente filosofica umana, come fanno gli altri. Vivendo in città greche e barbare, come a ciascuno è capitato, e adeguandosi ai costumi del luogo nel vestito, nel cibo e nel resto, testimoniano un metodo di vita sociale mirabile e indubbiamente paradossale. Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera. Si sposano come tutti e generano figli, ma non gettano i neonati. Mettono in comune la mensa, ma non il letto. Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. Dimorano nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati. Non sono conosciuti, e vengono condannati. Sono uccisi, e riprendono a vivere. Sono poveri, e fanno ricchi molti; mancano di tutto, e di tutto abbondano. Sono disprezzati, e nei disprezzi hanno gloria. Sono oltraggiati e proclamati giusti. Sono ingiuriati e benedicono; sono maltrattati ed onorano. Facendo del bene vengono puniti come malfattori; condannati gioiscono come se ricevessero la vita. Dai giudei sono combattuti come stranieri, e dai greci perseguitati, e coloro che li odiano non saprebbero dire il motivo dell'odio.

L'anima del mondo

A dirla in breve, come è l'anima nel corpo, così nel mondo sono i cristiani. L'anima è diffusa in tutte le parti del corpo e i cristiani nelle città della terra. L'anima abita nel corpo, ma non è del corpo; i cristiani abitano nel mondo, ma non sono del mondo. L'anima invisibile è racchiusa in un corpo visibile; i cristiani si vedono nel mondo, ma la loro religione è invisibile. La carne odia l'anima e la combatte pur non avendo ricevuto ingiuria, perché impedisce di prendersi dei piaceri; il mondo che pur non ha avuto ingiustizia dai cristiani li odia perché si oppongono ai piaceri. L'anima ama la carne che la odia e le membra; anche i cristiani amano coloro che li odiano. L'anima è racchiusa nel corpo, ma essa sostiene il corpo; anche i cristiani sono nel mondo come in una prigione, ma essi sostengono il mondo. L'anima immortale abita in una dimora mortale; anche i cristiani vivono come stranieri tra le cose che si corrompono, aspettando l'incorruttibilità nei cieli. Maltrattata nei cibi e nelle bevande l'anima si raffina; anche i cristiani maltrattati, ogni giorno più si moltiplicano. Dio li ha messi in un posto tale che ad essi non è lecito abbandonare.

 

Sac: Preghiamo: Innestati alla Risurrezione di Cristo, invitati dalla Parola a cercare le cose di lassù, e a pensate alle cose di lassù (Col 3,1-17), convinti che non è possibile dirsi “risorti” se non si sente il fascino di una dimensione nuova della vita e non si percepisce, contemporaneamente, il disagio di una lettura materialistica della nostra esperienza terrena, preghiamo e diciamo insieme: ASCOLTACI, O SIGNORE

1° Lettore: Per la Chiesa, perché continui a nutrire i figli che ha generato nel Battesimo con la Parola ed il Pane della vita eterna, segni di Cristo vivente. Preghiamo.

2° Lettore: Per il mondo che ci circonda, perché apra gli occhi alla speranza, che viene dalla tomba vuota del Signore, e si ritrovi nella gioia della resurrezione di Cristo, capace di sconfiggere ogni umana delusione. Preghiamo.

3° Lettore: Per tutti noi, perché sperimentiamo che nella resurrezione di Cristo Signore ci è stata offerta la possibilità di un’autentica testimonianza di speranza e di comunione tra noi e con tutti i fratelli.

Preghiamo.

Sac.: Preghiamo tutti insieme così come il Signore ci ha insegnato: PADRE NOSTRO… (Tutti)

 

PREGHIERA DEI CAVALIERI  (Tutti)

Signore, per le tue cinque piaghe che portiamo sulle nostre insegne noi ti preghiamo. Donaci la forza di amare tutti gli esseri del mondo che il Padre tuo ha creato e, più degli altri, i nostri nemici. Libera la nostra mente ed il nostro cuore dal peccato, dalla parzialità, dall'egoismo e dalla viltà per essere degni del tuo sacrificio. Fa scendere su di noi, Cavalieri del Santo Sepolcro, il tuo Spirito affinché ci renda convinti e sinceri ambasciatori di Pace e di Amore fra i nostri fratelli e, particolarmente, fra coloro che pensano di non credere in Te. Donaci la Fede per affrontare tutti i dolori della vita quotidiana e per meritare un giorno di giungere umilmente, ma senza timore, al tuo cospetto. Amen.

 

 

 

SINTESI SCHEMATICA DELLA RELAZIONE

 

Siamo alla vigilia della celebrazione del IV Convegno Ecclesiale nazionale, che si svolgerà a Verona dal 16 al 20 ottobre 2006, che vuole porre al centro dell'attenzione delle nostre comunità cristiane la virtù teologale della speranza, fondata sulla risurrezione di Cristo. Ecco allora spiegato il perché del tema scelto per questo incontro, parafrasando, appunto, quello del Convegno e adattandolo ai membri dell’Ordine. 

I) IL CAVALIERE DEL S. SEPOLCRO E’ UN TESTIMONE.

Che cosa è la testimonianza?

1. la testimonianza nasce dall'aver "veduto" .

 I discepoli sono testimoni del Signore perché lo hanno visto, perché lo hanno ascoltato, perché lo hanno incontrato risorto. Il testimone infatti è uno che ha visto e che con la sua parola fa fede di ciò.

2. la testimonianza nasce dall'esigenza di “rendere noto” ciò che è stato visto.

La testimonianza cristiana è il martirio e la trasparenza del mistero del Signore, dell'incontro con Lui, in colui che annuncia. Una fede sarà tanto più viva quanto più si radica nella sorpresa dell’avvenimento di Cristo incontrato e riconosciuto. Don Giussani, in una della sue ultime lettere, afferma che: “la fede non ci è data per conservarla, ma per comunicarla; non la si conserva, se non si ha la passione di comunicarla”.

3. la testimonianza nasce da un incontro più profondo con il Signore.

Il testimone è colui che ha fatto in modo più intenso l'esperienza del Signore nel suo mistero.

4. la testimonianza genera opposizione.

Il discepolo del Signore sa che il far fede di ciò che il Signore ha compiuto nella sua vita non avviene in maniera indolore; non gli crea attorno né consenso né amici, ma sospetto, opposizione, fino alla persecuzione.

II) IL CAVALIERE DEL S. SEPOLCRO E’ UN TESTIMONE DI SPERANZA

Che cosa è la speranza?

1. La speranza si fonda sulla pazienza.

Il primo tratto è la “pazienza”, cioè la forza di rimanere fermi qualsiasi avversità. 

2. La speranza si fonda in Dio.

Il secondo tratto è che la speranza del cristiano trova il suo fondamento in Gesù Cristo e nel Dio di Gesù Cristo e non nell’uomo. Non semplicemente la speranza nel Signore Gesù, ma del Signore Gesù.

III) IL CAVALIERE DEL S. SEPOLCRO E’ CHIAMATO A DARE RAGIONE DELLA SPERANZA, IN PRIMO LUOGO, PERCHE’ E’ BATTEZZATO

 I battezzati hanno più che mai il dovere di «rispondere a chiunque domandi ragione della speranza che è in loro» (1 Pietro 3,15).

1.- La ragione della speranza.

Le ragioni della speranza sono le ragioni della fede, che ci dicono che Dio è bontà e benevolenza. 

2. – I semi della speranza nel battezzato.

I semi della ragione della speranza sono 1) la grazia della possibilità della percezione dei “segni dei tempi”, e 2) il servizio del discernimento.

3. – I semi della speranza nel mondo.

 I semi, i germogli, i segni della speranza sono presenti nel mondo di oggi. L’oggetto della speranza cristiana residente nel mondo è la scoperta e la crescita di un seme, che il Concilio ha chiamato “segni dei tempi” (GS 11). L’uomo di oggi, individuale, religioso, sociale e politico, si agita in un mare di ambivalenza. In questa ambivalenza umana si manifestino dei “segni dei tempi.

IV) IL CAVALIERE DEL S. SEPOLCRO E’ CHIAMATO A DARE RAGIONE DELLA SPERANZA, IN SECONDO LUOGO, PERCHE’ SI RICONOSCE ALL’INTERNO DELL’APPARTENENZA ALL’ORDINE

La testimonianza della speranza del cavaliere è lo ‘specifico’ della sua identità di membro dell’Ordine, insito nelle parole ‘Santo Sepolcro’: la centralità della Resurrezione. Gli esempi concreti da offrire, come ragione della nostra speranza, sono: riscoprire il battesimo, studiare il Catechismo della Chiesa Cattolica per un’approfondita conoscenza di Gesù Cristo e delle sua Chiesa, pellegrinaggio in Terra Santa, devozione alla Vergine Maria, interessamento e lotta coraggiosa per la pace, l’ecumenismo, la giustizia, tenendo presente il bene comune, la dottrina sociale cattolica, la persona umana e la sua dignità, zelo alla rinuncia in mezzo ad una società di abbondanza, generoso impegno verso i più deboli e gli indifesi, distinguersi per la pratica assidua della fede cristiana, per una esemplare condotta morale.

 

 

 

 

 

IL CAVALIERE DEL SANTO SEPOLCRO DI GERUSALEMME

TESTIMONE DI CRISTO RISORTO, SPERANZA DEL MONDO

 

Cava de' Tirreni, Venerdi 13 Ottobre 2006

 

Relatore: Cav. Sac. Prof. Vincenzo Taiani

 

 

 

Siamo alla vigilia della celebrazione del IV Convegno Ecclesiale nazionale, che si svolgerà a Verona dal 16 al 20 ottobre 2006. Nella traccia per il cammino preparatorio, è scritto che: “La scelta e la formulazione del tema “Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo” … dice la volontà di ribadire con forza la scelta già fatta nei precedenti Convegni Ecclesiali: quella di dedicare tali eventi alla considerazione del ruolo dei cristiani nel contesto della realtà storica in cui vivono e operano. Su questa confermata scelta metodologica il titolo del Convegno intende far convergere quattro fondamentali elementi: 1) la persona di Gesù, il Risorto che vive in mezzo a noi;  2) il mondo, nella concretezza della svolta sociale e culturale della quale noi stessi siamo destinatari e protagonisti; 3) le attese di questo mondo, che il Vangelo apre alla vera speranza che viene da Dio; 4) l’impegno dei fedeli cristiani, in particolare dei laici, per essere testimoni credibili del Risorto attraverso una vita rinnovata e capace di cambiare la storia”.

Il 4° Convegno della Chiesa italiana è un evento veramente significativo, che si inserisce nel cammino della Chiesa nel nostro Paese, scandito oggi dagli orientamenti pastorali “Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia”. Inserendosi nel cammino pastorale di questo decennio, dedicato alla comunicazione della fede in un contesto storico segnato da profondi mutamenti, il Convegno vuole porre al centro dell'attenzione delle nostre comunità cristiane la virtù teologale della speranza. Si è, infatti, consapevoli che «non è cosa facile, oggi, la speranza. Non ci aiuta il suo progressivo ridimensionamento: è offuscato se non addirittura scomparso nella nostra cultura l'orizzonte escatologico, l'idea che la storia abbia una direzione, che sia incamminata verso una pienezza che va al di là di essa» (Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, 2).

Obiettivo, pertanto, del Convegno Ecclesiale è chiamare i cattolici italiani a testimoniare, con uno stile credibile di vita, Cristo Risorto come la novità capace di rispondere alle attese e alle speranze più profonde degli uomini d'oggi. Cristo è Risorto. Questa è la fede della Chiesa. Questa è la speranza che illumina e sostiene la vita e la testimonianza dei cristiani. Il Convegno coglie il cuore della fede cattolica.

 

Ecco allora spiegato il perché del tema scelto per questo incontro, parafrasando, appunto, quello del Convegno: IL CAVALIERE DEL SANTO SEPOLCRO DI GERUSALEMME, TESTIMONE DI CRISTO RISORTO, SPERANZA DEL MONDO. Il Cavaliere deve essere 1) un testimone, 2) un testimone di speranza, 3) perché è innanzitutto un cattolico battezzato nel Cristo morto e risorto, 4) e, infine, perché è un Cavaliere del S. Sepolcro di Cristo, vuoto, emblema della sua resurrezione, unica speranza del mondo e di tutti gli uomini.

In questo incontro si intende affrontare il tema proposto senza alcuna velleità e, ancor più, senza la pretesa di essere esaustivi a fronte di un problema duplice così profondo e così teologico quale è quello della testimonianza e quello della speranza. Ci si limiterà a offrire qualche annotazione, si tenterà di operare qualche discernimento possibile per applicarli, poi, all’identità del Cavaliere del S. Sepolcro.

           

I) IL CAVALIERE DEL S. SEPOLCRO E’ UN TESTIMONE.

Che cosa è la testimonianza?

Il Cristianesimo non è una ideologia, non è una filosofia, non è neanche, a stretto termine, una religione: è un Evento, quello dell’Incarnazione di Dio, di cui il credente fa personale esperienza e se ne costituisce testimone.

I primi passi compiuti dagli apostoli camminano, infatti, su questa traiettoria e sembrano dare l'immagine simbolica di che cosa sia testimonianza. Essi hanno visto il Signore risorto e non possono tacere questa esperienza. Dunque raccontano ciò di cui sono stati testimoni e annunciano che egli è il Signore. Nel nome di Gesù compiono i miracoli, che pongono in maniera evidente e forte il sigillo alla loro predicazione. La predicazione del nome di Gesù e della sua resurrezione genera la stessa opposizione che aveva prodotto la persona di Gesù e la sua predicazione.

Davanti a questi fatti, i responsabili della vita religiosa comprendono che non possono più tacere. Non osando condannarli, a motivo della crescente popolarità che essi avevano raggiunto, cercano di impedire loro di continuare a parlare, ma essi si appellano all'autorità di Dio superiore a quella degli uomini, dichiarando che ciò che hanno visto e udito non può essere taciuto. La grandezza del mistero entro cui sono stati coinvolti esige di essere resa pubblica. Da ciò appare chiaro che:

 

1. la testimonianza nasce dall'aver "veduto" .

S. Giovanni nella sua I Lettera dice: “Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita … quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi …  Questo è il messaggio che abbiamo udito da lui e che ora vi annunziamo: Dio è luce e in lui non ci sono tenebre (I Gv. 1,1-2)”.

 I discepoli sono testimoni del Signore perché lo hanno visto, perché lo hanno ascoltato, perché lo hanno incontrato risorto. Il testimone infatti è uno che ha visto e che con la sua parola fa fede di ciò che è accaduto. I discepoli non avrebbero nulla da dire se non avessero visto, ascoltato, incontrato il Signore. Tutti quelli che nella Scrittura sono testimoni lo fanno non per "sentito dire", ma perché hanno visto direttamente, sono stati coinvolti personalmente.

 

2. la testimonianza nasce dall'esigenza di “rendere noto” ciò che è stato visto.

La testimonianza cristiana è il martirio; il testimone garantisce la sua testimonianza in misura maggiore, anzi totale, se per questa dà la sua vita, impegna tutta la sua esistenza. I discepoli dovranno vivere la loro testimonianza, il martirio, attraverso tutta la vita: tutta la vita, cioè per tutti i giorni della vita; tutta la vita, non riservando più nulla a se stessi. Questo non riservare nulla a sé stessi si esprime nella forma eroica del martirio se giorno per giorno matura e si esprime nel non appartenersi più, nel non vivere più per se stessi ma per colui che ha cambiato la loro vita.

La vicenda degli apostoli narrata negli Atti, dopo la risurrezione di Gesù, dice che il discepolo vive per far presente il Risorto; perché gli uomini sappiano che Egli è risorto; perché tutti sappiano che c'è uno che può risanare gli storpi... I discepoli dovranno essere il segno della sua presenza, non soltanto con la parola, ma con tutta la vita.

La testimonianza non è soltanto il martirio, ma la trasparenza del mistero del Signore, dell'incontro con Lui, in colui che annuncia: cioè il non vivere più per se stessi; il vivere liberi da sé: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal. 2,20). Lo scopo della fede che ci è data è la missione: e la missione non è per l’Aldilà, ma è per l’aldiqua. Ed è questa la categoria del nostro rapporto con gli altri, il cui primo aspetto è in noi stessi. Parte dallo stupore di sentirci creati vivi.

Una fede sarà tanto più viva quanto più si radica nella sorpresa dell’avvenimento di Cristo incontrato e riconosciuto e quanto più diventerà l’orizzonte totalizzante il pensiero e l’azione, l’autocoscienza di sé e l’appassionato amore al mistero e al destino dei fratelli uomini. Don Giussani, in una della sue ultime lettere, afferma che: “la fede non ci è data per conservarla, ma per comunicarla; non la si conserva, se non si ha la passione di comunicarla”.

 

3. la testimonianza nasce da un incontro più profondo con il Signore.

Il testimone è colui che ha fatto in modo più intenso l'esperienza del Signore nel suo mistero. Gli apostoli, dopo la persecuzione, possono dire di aver conosciuto con maggiore intensità che il Signore è colui che libera; il cieco nato, dopo che ha sperimentato il contrasto dei Farisei, può dire in modo più pieno: io credo, Signore! La fede è un rapporto più profondo con la persona del Signore. La testimonianza vera dunque non è uno sforzo di buona volontà o un semplice impegno di coerenza morale, ma è coinvolgersi in modo sempre più intenso e irreversibile dentro un'avventura di fede, nella quale si gioca principalmente il nostro legame con il Signore.

4. la testimonianza genera opposizione.

La testimonianza resa a Gesù genera opposizione, contrasto. Il discepolo del Signore sa che il far fede di ciò che il Signore ha compiuto nella sua vita non avviene in maniera indolore; non gli crea attorno né consenso né amici, ma sospetto, opposizione, fino alla persecuzione.

Il discepolo sa questo perché lo ha visto accadere innanzitutto nella vita del suo Signore e Maestro: che ha conosciuto amici, ma soprattutto nemici; che ha avuto dei discepoli, che lo hanno tradito e rinnegato; che si è trovato solo di fronte alla morte, per rendere testimonianza all'amore del Padre.

Tutti coloro che hanno scelto di obbedire a Dio piuttosto che agli uomini, come dichiarano gli apostoli davanti al Sinedrio, sanno che il testimone deve essere pronto alla persecuzione, certi che sono beati coloro che possono imitare il loro Signore anche in questa esperienza.

La testimonianza ci rende più vicini ai nostri fratelli; nel momento in cui diventiamo consapevoli del dono della fede, desideriamo condividerlo, e questo ci consente di approfondire il legame di fraternità, che ci unisce a ogni uomo. La testimonianza ci rende al tempo stesso più lontani dalla gente del nostro tempo: affidare la nostra vita al Vangelo ci fa sperimentare l'adesione ad una logica diversa da quella del mondo, e mentre aderiamo ad essa e con gioia sperimentiamo una rinnovata fraternità, comprendiamo però di appartenere ad un mondo diverso, alternativo per valori e per comportamenti, a quello della città terrena.

 

5. la testimonianza è supportata dalla comunità

Noi non portiamo un Vangelo nostro. Non siamo testimoni a titolo privato o personale. Siamo sempre anche voce della nostra comunità. Per quanto questo mandato risalga alla celebrazione dei sacramenti, tuttavia dovremmo rinnovare dentro di noi la memoria che siamo testimoni con la nostra comunità, in comunione con essa. La nostra testimonianza aiuta la nostra comunità a rendere presente il Vangelo oltre i confini usuali della parrocchia, delle iniziative, degli ambienti anche oltre i linguaggi che si usano al suo interno per trovarne altri.

La nostra competenza dovrebbe essere quella di chi fa la traduzione simultanea del vangelo e della cultura della comunità nel linguaggio e nella cultura della gente d'oggi. E il nostro compito è anche quello di aiutare la comunità a restare attenta a questi linguaggi, desiderosa di capirli, di parlarli, per meglio comunicare la gioia del Signore Risorto fino agli estremi confini della terra, cioè fino ad ogni uomo.

E’ in questa dimensione e con queste caratteristiche, con questa consapevolezza e con questa passione, che il Cavaliere del S. Sepolcro è un testimone.

 

 

II) IL CAVALIERE DEL S. SEPOLCRO E’ UN TESTIMONE DI SPERANZA

Che cosa è la speranza?

Nel greco elpis–elpizo (speranza-sperare) ha un significato debole, anche se vario: speranza, congettura, previsione. Il fondamento della speranza dell’uomo greco è tutta chiusa nella valutazione del soggetto che spera. Un fondamento debole. Non così la concezione cristiana della speranza. Nella sua prima lettera ai Tessalonicesi, Paolo dichiara di essere «continuamente memore davanti a Dio e Padre nostro del vostro impegno della fede, della vostra fatica della carità e della vostra costante speranza del Signore nostro Gesù Cristo» (1,3). Collocata dopo la fede e la carità, la speranza è da Paolo subito precisata con due tratti.

 

1. La speranza si fonda sulla pazienza.

Il primo tratto è la “pazienza” (upomoné), cioè la forza di rimanere fermi qualsiasi avversità si attraversi e di saper attendere, anche a lungo. Senza questa pazienza la speranza cristiana non regge. Cadrebbe nel rischio della rassegnazione, oppure nel rischio di rifugiarsi in Dio disimpegnandosi dal mondo.

2. La speranza si fonda in Dio.

Il secondo tratto è che la speranza del cristiano trova il suo fondamento in Gesù Cristo e nel Dio di Gesù Cristo e non nell’uomo. La speranza è una certezza che si fonda sulla promessa fatta da una Persona di cui ti fidi totalmente. Ma il legame con Gesù Cristo è detto al genitivo: non semplicemente la speranza nel Signore Gesù, ma del Signore Gesù. Si tratta dunque di un legame ancora più stretto. Non so se è corretto parlare teologicamente della speranza di Gesù. E’ certo però che la speranza cristiana trova la sua forma nell’abbandono fiducioso e costante di Gesù al Padre. Gesù è vissuto fidandosi del Padre. Per comprendere la speranza cristiana occorre dunque collocarsi nel centro stesso dell’evento di Gesù, scandalo della speranza e insieme fondamento che la sorregge.

Può sembrare un paradosso. Gesù non si presenta come un semplice profeta che annuncia il futuro avvento di Dio. Egli dichiara che il regno di Dio è già arrivato nella sua persona, nelle sue parole e nella sua attività. Con il suo arrivo iniziano i tempi nuovi. E tuttavia questa pretesa di Gesù sembra continuamente smentita: l’opposizione e il rifiuto si fanno sempre più chiari e l’avvento di Dio sembra annullato dalla Croce. Ma la fiducia di Gesù nel Padre non si è lasciata distrarre dall’abbandono delle folle, né dall’abbandono dei discepoli, né dall’apparente abbandono di Dio.

E’ rimasta solida perché fondata sulla certezza che – comunque sembrano andare le cose – la promessa di Dio è incrollabile. Non si può mantenere ferma la speranza senza una sicurezza, né si può restare fermi nella solitudine della speranza senza una compagnia. E Gesù lo ha detto con chiarezza nel vangelo di Giovanni: «Mi lascerete solo e ognuno tornerà ai suoi affari. Ma non sono solo, perché il Padre è con me (Gv. 16,32)». Dunque una speranza che – proprio perché ferma davanti a Dio e sempre più certa del suo amore – non teme il rischio di incarnarsi nella storia contraddittoria degli uomini.

E’ la pazienza della speranza di Cristo, che era già quella degli antichi profeti, uomini convinti che la speranza germoglia e ingigantisce soltanto dentro un cuore libero dagli idoli. In un mondo idolatra il profeta vive una speranza solitaria, che tuttavia – e questo è il miracolo – nulla riesce a smentire. La speranza è ostinata. E non si stanca di gridare, anche in un mondo sordo, che soltanto Dio è Dio, che l’uomo è fatto per Dio, che ogni uomo è amato da Dio, che la pace e il dialogo, la giustizia e la solidarietà sono possibili e non hanno alternative e che, soprattutto, la Risurrezione di Cristo, primogenito dei risorti, è resurrezione per gli uomini e le donne di tutti i tempi. Particolare, questo, che è la sostanza delle fede cattolica e che non si ritrova in nessun’altra fede. Una risurrezione futura, ma anche presente, perchè, anche se per definizione la speranza guarda al futuro, per la Bibbia essa si radica nell’oggi di Dio.

Di questo tipo di speranza il Cavaliere del S. Sepolcro deve dare ragione al mondo.

           

 

III) IL CAVALIERE DEL S. SEPOLCRO E’ CHIAMATO A DARE RAGIONE DELLA SPERANZA, IN PRIMO LUOGO, PERCHE’ E’ BATTEZZATO

In un tempo in cui spesso si fatica a trovare delle ragioni per sperare, coloro, che sono battezzati e si dichiarano cristiani cattolici praticanti e che mettono la propria fiducia nel Dio della Bibbia, hanno più che mai il dovere di «rispondere a chiunque domandi ragione della speranza che è in loro» (1 Pietro 3,15). Spetta a loro cogliere ciò che la speranza della fede contiene di specifico, per poterlo vivere.

 

1.- La ragione della speranza.

Le ragioni della speranza sono le ragioni della fede, data in dono da Dio nel battesimo. Nelle Scritture ebraiche, questa Sorgente misteriosa della vita, che noi chiamiamo Dio, si fa conoscere perché chiama gli esseri umani a entrare in una relazione con lui: stabilisce un’alleanza con loro. La Bibbia definisce le caratteristiche del Dio dell’alleanza con due parole ebraiche: hesed e emet (per es. Esodo 34,6; Salmi 25,10; 40,11-12; 85,11). Generalmente, si traducono con «amore» e «fedeltà». In primo luogo ci dicono che Dio è bontà e benevolenza senza limiti e si prende cura dei suoi, e, in secondo luogo, che Dio non abbandonerà mai quelli che ha chiamati ad entrare nella sua comunione.

Ecco la ragione della speranza biblica e, insieme, il suo contenuto. Se Dio è buono e non cambia mai il suo atteggiamento né ci abbandona mai, allora, qualunque siano le difficoltà - se il mondo così come lo vediamo è talmente lontano dalla giustizia, dalla pace, dalla solidarietà e dalla compassione - per i credenti non è una situazione definitiva. Nella loro fede in Dio, i credenti battezzati attingono l’attesa di un mondo secondo la volontà di Dio o, in altre parole, secondo il suo amore.

Nella Bibbia, questa speranza è spesso espressa con la nozione di promessa. Quando Dio entra in relazione con gli esseri umani, in generale questo va di pari passo con la promessa di una vita più grande. Ciò inizia già con la storia di Abramo: «Ti benedirò, disse Dio ad Abramo. E in te saranno benedette tutte le famiglie della terra» (Genesi 12,2-3).

Una promessa è una realtà dinamica che opera delle possibilità nuove nella vita umana. Questa promessa guarda verso l’avvenire, ma si radica in una relazione con Dio che parla qui e ora, che chiama a fare delle scelte concrete nella vita. I semi del futuro si trovano in una relazione presente con Dio.

Questo radicamento nel presente diventa ancora più forte con la venuta di Gesù Cristo. In lui, dice san Paolo, tutte le promesse di Dio sono già una realtà (2 Corinzi 1,20). Certo, ciò non si riferisce unicamente a un uomo che è vissuto in Palestina 2000 anni fa. Per i cristiani cattolici, Gesù è il Risorto che è con noi nel nostro oggi. «Sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del tempo» (Matteo 28,20).

Un altro testo di san Paolo è ancora più chiaro. «La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Romani 5,5). Lungi dall’essere un semplice augurio per l’avvenire senza garanzia di realizzazione, la speranza cristiana è la presenza dell’amore divino nella persona dello Spirito Santo.

 

2. – I semi della speranza nel battezzato.

Per poter dare ragione di una speranza, occorre che questa ragione sia esistente in colui che è chiamato ad essere testimone. I semi della ragione della speranza, che albergano nel cuore del credente, sono quelli che lo rendono consapevole, fiducioso e idoneo a offrire questa ragione. Sono quelli che gli fanno intuire che vi è una sorta di felice corrispondenza, di alleanza, di sinergia, di complicità tra sé e il mondo.  Questi semi interiori li chiamiamo con nome e cognome: sono 1) la grazia della possibilità della percezione dei “segni dei tempi”, e 2) il servizio del discernimento.

Attraverso un discernimento interiore illuminato dallo Spirito si comprende più facilmente che la fede non è utopia e non sempre è contrasto duro, o solo emozione, ma cammino realistico e crescita, seppur lenta, faticosa, inconclusa, mai esaustiva e mai del tutto al sicuro.

Quando il discernimento coglie un segno od una pista da seguire, esso mostra che anche nella presente condizione umana e storica è possibile vivere e compiere scelte secondo la fede, scelte nuove e irripetibili tanto più quanto più fedeli “a Dio ed all’uomo”. Non sempre è possibile, ma quando ciò si verifica noi viviamo una Grazia e rechiamo immediatamente un prezioso servizio.   

Il discernimento non ha mai il compito di mostrare che la fede è possibile. Questa è già stata la missione di Gesù di Nazaret. Il discernimento, più modestamente, può solo mostrare che per credere e seguire Gesù, e per vivere la nostra umanità, ci sono sentieri effettivamente percorribili. Il discernimento può riconoscere che ci sono tempi in cui non ci resta che il salmo 22 («Dio mio, chiamo di giorno e non rispondi, di notte e non c’è riposo per me»), ma anche che ce ne sono altri in cui possiamo pregare con il salmo 23 («Il Signore è il mio pastore …mi fa riposare …mi conduce …mi ricrea …mi guida»).

La speranza biblica e cristiana non significa una vita nelle nuvole, il sogno di un mondo migliore. Non è una semplice proiezione di quello che vorremmo essere o fare. Essa ci porta a vedere, alla luce della fede, i semi di questo mondo nuovo già presente oggi. Nella Bibbia, la promessa divina non ci chiede di sederci e attendere passivamente che essa si realizzi, come per magia. Prima di parlare ad Abramo di una vita in pienezza che gli è offerta, Dio gli disse: «Vattene dal tuo paese e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò» (Genesi 12,1). Per entrare nella promessa di Dio, Abramo è chiamato a fare della sua vita un pellegrinaggio, a vivere un nuovo inizio. Così pure, la buona novella della risurrezione non è un modo per distoglierci dai compiti di quaggiù, ma una chiamata a metterci in cammino. «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? … Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura… Voi mi sarete testimoni… fino agli estremi confini della terra» (Atti 1,11; Marco 16,15; Atti 1,8).

Sotto l’impulso della grazia e dello Spirito del Cristo, i credenti vivono una solidarietà profonda con l’umanità priva delle sue radici in Dio. Scrivendo ai Romani, san Paolo evoca le sofferenze della creazione in attesa, paragonandole alle doglie del parto. Poi continua: «Anche noi che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente» (Romani 8,18-23). La nostra fede non ci fa dei privilegiati fuori dal mondo, noi «gemiamo» con il mondo, dentro al mondo, condividendo il suo dolore, ma viviamo, però, questa situazione nella speranza, sapendo che, nel Cristo, «le tenebre stanno diradandosi e la vera luce già risplende» (1 Giovanni 2,8).

Sperare è, dunque, scoprire dapprima nelle profondità del proprio oggi una Vita che va oltre e che niente può fermare. Pur in mezzo a tante superficiali o interessate o compiaciute profezie di sventura, purtroppo spesso assai affascinanti, a me è parso di dover fornire qualche elemento, sì discutibile, opinabile, ma ragionevole, per dire che almeno per alcuni versi siamo chiamati a vivere oggi un tempo in cui è possibile far nostra la preghiera del salmo 23, ed accorgersi che con fatica forse un pò minore la mente e la voce, la fede, la speranza, la carità, che albergano nel cuore dell’uomo, possono concordare e coniugarsi con il mondo esterno.

3. – I semi della speranza nel mondo.

Lo scopo di ricercare semi di speranza nel mondo è quello di non far scoraggiare il testimone e di motivarlo di più nella testimonianza e farlo riflettere sulle molteplici modalità con cui nella vita di oggi possa esprimere questo suo impegno. Si tratta anche di riflettere sulle modalità tipiche con cui un laico può essere oggi testimone della Pasqua del Signore.

E i semi, i germogli, i segni della speranza sono presenti nel mondo di oggi. Anche se questa attuale può essere considerata una società postcristiana non per questo essa deve essere considerata postreligiosa. Quindi anche se apparentemente essa pare discostarsi dall’annuncio cristico di salvezza, in realtà l’attuale è una società in faticosa ricerca di significati profondi, di sensi autentici, che rispondano agli eterni quesiti del mistero del mondo.

Il compito allora che ci rimane è sostanzialmente quello di continuare a vegliare per sapere dove e quando si leverà il sole, da dove inizierà ad albeggiare. 

Credo che uno dei compiti più ardui che competano al credente oggi, sia quello di definire con una certa chiarezza e lucidità quali siano i “contorni” della realtà che lo circonda, per cogliere in essa i semi di una speranza attesa, desiderata e auspicata, anche se inconsciamente. E’ vero che il perenne annuncio missionario della Chiesa viene oggi messo in pericolo da teorie di tipo relativistico, che intendono giustificare il pluralismo religioso, non solo de facto ma anche de iure (o di principio). Ma è anche vero che i semi di speranza, quasi semina Verbi, possono addirittura nascondersi all’interno delle nuove fedi emergenti e dentro all’interesse esplosivo e quasi universale del desiderio di infinito, appagabile solo in un Dio che si rende incontrabile, palpabile, concreto, cioè incarnato (Cfr. la liturgia della Parola della Domenica XXVI dell’anno B).

             L’oggetto della speranza cristiana residente nel mondo è la scoperta e la crescita di un seme, crescita a volte visibile e a volte invisibile. Non dobbiamo pensare che la maturazione di quel seme dipenda dalla sua visibilità, ma certamente non dobbiamo rinunciare al conforto ed all’orientamento che può venirci dai momenti felici di quella intermittente visibilità. Anzi, siamo chiamati alla cura ed alla responsabilità di quella crescita. La testimonianza cristiana si rapporta con attenzione agli interlocutori ed al contesto in cui avviene (cfr. At 2, 14ss o 17, 22ss). Insomma, ci sono momenti in cui alla luce della Resurrezione noi possiamo declinare le ragioni della speranza cristiana. Del resto sempre si tratta di parole e di eventi, esterni alla fede cristiana, di cui, però, lo Spirito resta ispiratore più o meno nascosto. Il Concilio ha chiamato queste parole e questi eventi “segni dei tempi” (GS 11).

Mi pare che una delle sfide più impegnative del Convegno Ecclesiale di Verona sia costituita da qualcosa che potremmo sintetizzare nel seguente interrogativo: quali “segni dei tempi” si possono scorgere oggi, per testimoniare la speranza di Cristo Risorto? Si scorgono oggi, parole, eventi, aspirazioni, esigenze, desideri, in relazione ai quali diviene più facile intuire un positivo esercizio della vita cristiana e della speranza cristiana?

L’uomo di oggi, individuale, religioso, sociale e politico, si agita in un mare di ambivalenza. E così il mondo. Attraverso questa ambivalenza appaiono alcuni tratti molto generali della nuova condizione in cui ci troviamo a vivere ed eventualmente ad essere testimoni di Cristo Risorto. E’ vero, come spesso afferma Benedetto XVI, che oggi regna ‘la dittatura del relativismo’. Ma forse è proprio in questa ambivalenza e in questo relativismo che si posso scorgere i segni dei tempi e i semi della speranza insiti nel mondo. La forma del mondo contemporaneo, infatti, costringe ciascuno, più che in passato, ad assumere la responsabilità della sua libertà e, allo stesso tempo, espone ciascuno, ben più di quanto non avvenisse ieri, al rischio di rimanere schiacciato dalla durezza di questa sfida. Tutto ciò non rende inutile o impossibile, semmai più importante e bella, la testimonianza di Cristo Risorto che i battezzati possono dare. Una volta che sono crollate alcune delle barriere sociali, che riducevano di fatto la libertà e la variabilità delle esperienze personali, è come se tutti fossimo messi più duramente e direttamente di fronte alla larghezza, lunghezza, altezza e profondità della vocazione umana e cristiana (cfr. Ef 3,18).

Credo che nelle ambivalenze umane e mondiali si manifestino dei “segni dei tempi”. Il ridursi del rischio di ogni egemonia, della pressione alla libertà che gli individui ricevono dall’esterno, rendono davvero l’uomo arbitro delle proprie scelte verso l’ideale religioso più liberante ed esaltante, quale è quello di Cristo Risorto.  Infatti l’uomo d’oggi, più che mai, avverte l’esigenza, anche se non apparentemente manifestata, di una salvezza piena e concreta, e il credente in Gesù sa che solo Lui, il Risorto, può colmare quel vuoto, appagare quell’esigenza, soddisfare completamente quel desiderio. L’uomo d’oggi, ancor di più di quello di ieri, vuole indiarsi, e solo il credente nel Dio-fatto-uomo sa che ‘Dio si è fatto uomo, perché l’uomo possa diventare dio’. L’uomo d’oggi pretende di diventare Dio conquistandoLo, ma il credente in Cristo sa che Dio non è oggetto di conquista da parte dell’uomo, ma è dono di Sé, è grazia di Sè all’uomo. Non è ascesa dell’uomo, ma è discesa di Dio.

A prescindere dalla sua adesione all’Ordine, il Cavaliere del S. Sepolcro deve, già per il suo stesso stato di battezzato, offrire al mondo d’oggi le ragioni della speranza, che alberga in lui per la fede battesimale ricevuta in dono.

 

 

IV) IL CAVALIERE DEL S. SEPOLCRO E’ CHIAMATO A DARE RAGIONE DELLA SPERANZA, IN SECONDO LUOGO, PERCHE’ SI RICONOSCE ALL’INTERNO DELL’APPARTENENZA ALL’ORDINE

Il cavaliere del S. Sepolcro, da credente è già un testimone ed un testimone di speranza. Ma tutto quanto è stato detto sopra rappresenta il fondamento, costituisce la premessa necessaria, la condicio sine qua non, di quello che ora, al termine, ci interessa più da vicino e fa al caso nostro, perché noi, cavalieri e dame del S. Sepolcro, dobbiamo essere, sì, testimoni e testimoni di speranza perché battezzati, ma lo dobbiamo essere ancor di più, a fortori, perché cavalieri del s. Sepolcro, per l’identità, cioè, che ci costituisce, ci contraddistingue e per l’ordine a cui apparteniamo e nel quale ci riconosciamo.

Quale è l’esigenza primaria dell’uomo d’oggi avviluppato, impegolato ed impeciato nelle contingenze negative e devastanti cosmiche, universali, mondiali, familiari e personali? L’abbiamo detto: è’ un desiderio di evasione, di liberazione, in definitiva è l’aspirazione mai sopita di una vita nuova, diversa, di una perenne risurrezione.

E quale è la testimonianza alla quale il Convegno di Verona invita i credenti? E’ quella a cui il mondo umano anela: la testimonianza di Cristo Risorto.

E quale è lo ‘specifico’ dell’identità del cavaliere e della dama del S. Sepolcro? E’ quella che è insita nelle parole ‘Santo Sepolcro’, come recita la premessa allo Statuto: “Il Santo Sepolcro è il simbolo della comune Passione con Gesù ed anche la nostra speranza nella Risurrezione. (Filippesi, 3,10)”. E’ quella che è segnata a caratteri cubitali nei lineamenti della Spiritualità dell’Ordine, riportati nella ‘Sintesi delle disposizioni operative’ del dicembre 2000, in vista del III Millennio, per un rinnovamento dell’Ordine: la centralità della Resurrezione.  Noi, cavalieri e dame, per la nostra appartenenza all’ordine, abbiamo, al centro del nostro essere cavalieri e dame, esattamente ciò che è il contenuto della speranza, di cui il Convegno di Verona ci esorta a dare ragione.

Il nome stesso dell'Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme indica il punto centrale della sua spiritualità - il Sepolcro del Signore - luogo dove viene celebrata in modo speciale la gloria della resurrezione. Le parole del Concilio Vaticano II sembrano scritte quasi appositamente per i membri dell'Ordine : "ogni laico deve essere davanti al mondo un testimone della resurrezione e della vita del Signore Gesù ed un segno del Dio vivo" (Lumen Gentium, Cap. IV, I Laici, 38).

Alla luce di queste parole i Cavalieri e le Dame dell'Ordine Equestre del Santo Sepolcro - della Resurrezione ! - dovranno trarre una speciale fierezza dalla loro appartenenza a questa santa Milizia

Nei giorni tumultuosi di secoli da molto tempo trascorsi, proclamarsi " Miles Christi " , cioè soldato di Cristo, aveva una speciale attrattiva. I primi Cavalieri non esitavano a dare la propria vita per la difesa e la custodia del Santo Sepolcro in una testimonianza silenziosa ma eloquente del fatto fondamentale della nostra fede, la Resurrezione di Gesù Cristo Nostro Signore, e per proteggere la presenza della Chiesa e dei cristiani nella Terra Santa. Il Cavaliere si impegnava ad una fedeltà generosa nel tener fede ai propri doveri di cristiano e all'assistenza temporale, per amore di Cristo Risorto, vincitore del peccato e della morte, a favore di coloro che professavano la fede cristiana in una terra devastata dalla guerra e cosparsa di lacrime. Il Cavaliere e la Dama oggi debbono essere sempre "soldati di Cristo", nella loro vita spirituale quotidiana, affrontando con la parola e con la testimonianza personale i molteplici problemi del mondo moderno.  Essi non combattono per il possesso di una città in particolare ma per l'anima del mondo stesso”. (Cfr. Lettera a Diogneto).

Siamo in perfetta sintonia con il tema proposto dal Convegno di Verona e con i suoi obiettivi primari.

Ci chiediamo, ora, in che modo il cavaliere e la dama del S. Sepolcro, possa, nell’oggi del mondo e della Chiesa offrire su un piatto d’argento ‘le ragioni della speranza che alberga nel loro cuore’. Ci vengono incontro, ancora una volta, le parole della Sintesi, dinanzi indicata: “Essere testimoni è la manifestazione esterna della loro adesione a Cristo, attraverso la fede, come pure una testimonianza di carità e di speranza al servizio dei nostri fratelli e sorelle”.

E’ vero: è meglio ‘essere’ che ‘apparire’. Però viviamo in una società, che è chiamata ‘società dell’immagine’. Non per niente è in questo periodo che è venuta alla ribalta della scienza e della fede la Sacra Sindone: immagine dell’uomo crocifisso. L’uomo di oggi ha bisogno, sull’esempio di Tommaso, di vedere con i propri occhi e di toccare con le proprie mani. E allora oggi è richiesta un testimonianza concreta, esterna, visibile, palpabile, credibile che veramente incida. La Sintesi recita: “Diceva Seneca: ‘longum iter est per praecepta, breve et efficax per exempla’ (a Lucillo, 6,5): ‘lunga è la strada dei precetti, breve ed efficace quella degli esempi’”.

Quali sono gli esempi concreti, che noi, appartenenti all’Ordine, possiamo offrire, come ragione della nostra speranza, alle sfide delle religioni emergenti e al mondo d’oggi, affamato di Dio e assetato di immortalità?

Ci viene incontro ancora una volta la Sintesi, che qui viene liberamente citata solo nei capoversi: riscoprire il battesimo, studiare dettagliatamente il Catechismo della Chiesa Cattolica per un’approfondita conoscenza di Gesù Cristo e delle sua Chiesa, pellegrinaggio in Terra Santa, devozione alla Vergine Maria, interessamento e lotta coraggiosa per la pace, per l’ecumenismo, per la giustizia, tenendo presente il bene comune, la dottrina sociale cattolica, la persona umana e la sua dignità, zelo alla rinuncia in mezzo ad una società di abbondanza, generoso impegno verso i più deboli e gli indifesi, distinguersi per la pratica assidua della fede cristiana, per una esemplare condotta morale. In una parola: una sorta di santità di vita.

Se è vero, come è vero, il messaggio univoco che è venuto fuori dalla sintesi dei contributi delle diocesi al Convegno di Verona, che cioè: “Non basta rinnovare i metodi pastorali e l’organizzazione, ciò che serve è un più profondo radicamento spirituale: una spiritualità della gioia, perché l’opacità del quotidiano possa essere perforato dalla luce della bellezza cristiana … la vita dei cristiani è la prima risorsa capace di mostrare coi fatti quanto il Vangelo liberi la vita, la affranchi da tante catene esterne ed interiori e risulti salvezza delle relazioni umane … la santità è la prima testimonianza”,  noi, appartenenti all’Ordine, ci dobbiamo sentire fortunati perché, da quanto si è cercato di dire, da quanto ci è suggerito dallo Statuto, dalla Sintesi, dalla Spiritualità dell’Ordine, abbiamo alle spalle una radicata struttura spirituale che ci aiuta e ci sostiene nel cammino verso la santità, unica, inconfutabile ed indiscutibile testimonianza di speranza, davanti alla quale crollano, come davanti ai santi, ogni tipo di pregiudizio e ogni confusione religiosa.

Dio ha voluto avere bisogno degli uomini. Poteva fare tutto Lui. Ma si è scelto l’uomo come coprotagonista: “…sarete miei testimoni in Gerusalemme, attraverso la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra” (Atti, 1,8) per scrivere pagine ricche e dense insieme con Lui nella storia della salvezza universale. A noi, Cavalieri e Dame, come a dei milites Christi spetta il compito di essere, oggi, in prima linea e avanti agli altri per offrire la nostra specifica testimonianza. L’appartenenza all’Ordine non è solo un onore, ma è anche un onere, un peso, se si vuole, un dolce peso da sopportare e far fruttificare per la costruzione del Regno di Dio sulla terra.

 

 

 

 

2. - Preghiera conclusiva

 

PREGHIERA FINALE

 

PREGHIERA A NOSTRA SIGNORA, REGINA DELLA PALESTINA (Tutti)

O Maria Immacolata,

dolce Regina del cielo e della terra,

noi qui prostrati ai piedi del Tuo trono regale,

pienamente fiduciosi  nella Tua bontà

e nella Tua illuminata potenza,

Ti supplichiamo di volgere

uno sguardo compassionevole sulla Palestina,

terra che è Tua più di ogni altra,

perché Tu l'hai abbellita con la Tua nascita,

con le Tue virtù, con i Tuoi dolori;

questa terra dove Tu hai dato al mondo

il Divino Redentore.

Ricordati che proprio in questa terra

Dio ti ha scelta nostra Madre

e dispensatrice di grazie.

Veglia sulla Tua patria terrena,

avvolgila di una protezione tutta speciale;

dissipa le tenebre dell'errore

là dove ha brillato l'eterno Sole di giustizia.

Fa che si realizzi presto la promessa

del Tuo Figlio Divino di formare un solo gregge

sotto un solo pastore.

Degnati infine di ottenere

per noi tutti la grazia di servire Dio

in santità e giustizia

tutti i giorni della nostra vita,

sicché nell'ora della nostra morte,

per meriti di Gesù e per la Tua materna assistenza,

passiamo dalla Gerusalemme terrena a quella celeste.

Così sia.

 

 

 

 

 

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Biografia dell'Autore Comm. Mons. Prof. Vincenzo Taiani

 

Vincenzo Taiani è nato a MAIORI (Sa) il 21.03.40, quivi residente ed abitante in via Nuova Chiunzi, 76, Tel. 089-877192 – 089.877090- 339.5800544, ordinato sacerdote al servizio dell’Arcidiocesi di Amalfi il 29.06.1963, parroco della Parrocchia di S. Maria Assunta in Erchie di Maiori (Sa) dal 1966-1996, parroco moderatore della Comunità Ecclesiale di Maiori dal1996 al presente , laureato in Sacra Teologia conseguita nella Facoltà dell’Italia Meridionale, Sezione S. Luigi, il 26.03.1966 con votazione ‘Magna cum laude’; laureato in Filosofia conseguita nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Federico II di Napoli il 28.06.1973 con votazione 110 e lode; abilitato in Scienze Umane, classe 53, il 10.04.76 con votazione 100/100; abilitato in Storia, classe 53a, il 14.05.76 con votazione 100/100; iscritto all’albo professionale della Provincia di Salerno per l’insegnamento delle Scienze Umane (classe 53) il 18.3.77 al n. 9206; iscritto all’albo professionale della Provincia di Salerno per l’insegnamento di Storia (classe 53a) il 18.3.77 al n. 9207; ordinario di Filosofia e Storia nei licei in ruolo dal 10.09.78.  Ha insegnato lettere nella scuola media parificata dal 1966 al 1970; religione nelle scuole statali dal 1970 al 1974; filosofia e storia nei Licei Statali dal 1974 al 1997. E’ stato vice-rettore nel Seminario Diocesano dell’Arcidiocesi di Amalfi dal 1963-1966; Assistente Diocesano Settore Giovani di Azione Cattolica dal 1964-1987; direttore della Scuola di Formazione Teologica Diocesana dal 1985-1991; Direttore della Scuola di Formazione all’Impegno Sociale e Politico dell’Arcidiocesi di Amalfi-Cava de’ Tirreni dal 1991 al suo esaurimento; direttore capoarea del settore evangelizzazione della Curia Arcivescovile dell’Arcidiocesi di Amalfi-Cava dei Tirreni dal 1991-2001; Direttore del Servizio Diocesano di Insegnamento della Religione Cattolica dal 2001 al presente; Direttore dell’Istituto  Diocesano di  Scienze  Religiose  ‘Mons. E. Marini’  riconosciuto dalla Conferenza Episcopale Italiana, dal 1991 al presente.  Docente di Teodicea nella Scuola di Formazione Teologica Diocesana; di  Antropologia  Teologica e di Teologia dei Ministeri nell’Istituto Superiore di Scienze Religiose della Diocesi di Vallo della Lucania dal 1989-1992 ; di Antropologia Teologica, Teologia Trinitaria, Teologia dei Ministeri e Teodicea nell’Istituto di Scienze Religiose dell’Arcidiocesi di Amalfi dal 1991 al presente; di Teologia Politica nella Scuola di Impegno Sociale e Politico dell’Arcidiocesi di Amalfi-Cava de’ Tirreni dal 1991 a fine scuola; di Antropologia Teologica nell’Istituto Teologico Salernitano del Seminario Metropolitano ‘Giovanni Paolo II’ di Faiano dal 2003 al presente.         

 Pubblicazioni:

- Le vocazioni ecclesiastiche nella Diocesi di Amalfi 1636-1965, Lynotipografia Pepe, Salerno, 1970

- La Diocesi di Amalfi - Brevi cenni storici e sviluppo demografico, ed.  Jovene, Salerno, 1972

- Carlo Montilio, primo arcivescovo post-tridentino di Amalfi (1570-1576), in Rassegna del Centro di Cultura e Storia Amalfitana, anno IX, dic. 1989, n. 18

- Carlo Montilio, primo arcivescovo post-tridentino di Amalfi (1570-1576), in Rassegna del Centro di Cultura e Storia Amalfitana, anno X, giugno-dicembre 1990, nn. 19-20

- Il Seminario della Diocesi di Amalfi, in Atti del Convegno a cura del Centro di Cultura e Storia Amalfitana ‘La costa di Amalfi nel secolo XVII - Amalfi 1-4 aprile 1998, Tip. Giammarioli, Frascati (Roma), marzo 2003

- Andamento demografico nella costa d’Amalfi nel sec. XIX, in Atti del Convegno a cura del Centro di Cultura e Storia Amalfitana ‘La costa di Amalfi nel secolo XIX - Amalfi 13-15 dicembre 2001.

 

 

 

 


 

Fonte :  testo cortesemente inviato alla redazione dal Relatore dell'incontro spirituale il Confratello Comm. Mons. Prof. Vincenzo Taiani  OESSG.

 

 

 

 

 

 


 

 

 

OESSG

Luogotenenza per Italia Meridionale Tirrenica

 

 

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