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LUOGOTENENZA PER L'ITALIA MERIDIONALE TIRRENICA |
CULTURA E SPIRITUALITA' : I Cavalieri del Santo Sepolcro di Gerusalemme , considerazioni storico teologiche , di Francesco Russo |
I Cavalieri del Santo Sepolcro di Gerusalemme
Considerazioni storico teologiche
di Francesco Russo
Deus lo vult (Dio lo vuole)
È lo storico grido che risuonò improvviso ed unanime per tutta
l’assemblea, nel momento in cui venne accolto l’appello di Urbano II,
lanciato nel Concilio, prima di Piacenza, poi di Clermont (1095) a tutti i
cristiani, perché venissero in aiuto agli oppressi fratelli d’Oriente.
Quindi, Pietro d’Amiens, detto “L’Eremita”, un monaco francese, al grido di
“Dio lo vuole” eccitava le folle alla liberazione della Terra Santa. È un
motto che non è invecchiato. Cavalieri e Dame del nostro tempo devono
accoglierlo, seguirlo, conservarlo sempre giovane e sempre fecondo.
PREGHIERA DEL CAVALIERE
Signore per le tue cinque piaghe che portiamo sulle nostre insegne noi ti
preghiamo.
Donaci la forza di amare tutti gli esseri del mondo che il Padre tuo ha
creato e, più degli altri, i nostri nemici.
Libera la nostra mente ed il nostro cuore dal peccato, dalla parzialità,
dall’egoismo e dalla viltà per essere degni del tuo sacrificio.
Fa’ scendere su di noi Cavalieri del Santo Sepolcro, il tuo Spirito
affinché ci renda convinti e sinceri ambasciatori di Pace e di Amore fra i nostri fratelli
e particolarmente fra coloro che pensano di
non credere in Te.
Donaci la Fede per affrontare tutti i dolori della vita quotidiana e per
meritare un giorno di giungere umilmente ma senza timore al tuo cospetto.
Amen.
I Cavalieri del Santo Sepolcro di Gerusalemme
Considerazioni storico teologiche
di Francesco Russo
(stampato nell'ottobre 2006)
A mia moglie Nunzia e alle mie figlie
Federica, Ludovica e Francesca
per il tempo che ho loro sottratto;
a mio padre Bartolomeo
per il tempo che mi ha regalato.
PRESENTAZIONE
Caro Francesco,
grazie del Tuo testo. L’ho scorso rapidamente, fermandomi di più sulle parti
teologico-esegetiche a me più vicine.
Nell’insieme mi sembra una buona e intelligente informazione, e un tentativo
di fondare le motivazioni anche spirituali dei Cavalieri del Santo Sepolcro.
Complimenti, comunque, per la serietà dell’impegno. Ti porto nella preghiera
con stima e amicizia. Tu me.
d. BRUNO FORTE
CONSIDERAZIONE PREVIA
Credo che la scelta e l’impegno di tutti i Cavalieri debba conformarsi a
quanto l’Episcopato italiano ricorda: «Abbiamo bisogno di cristiani con una
fede adulta, costantemente impegnati nella conversione, infiammati dalla
chiamata alla santità, capaci di testimoniare con assoluta dedizione, con
piena adesione e con grande umiltà e mitezza il vangelo». Ed ancora:
«Desideriamo a questo proposito sottolineare che la creazione di occasioni
per approfondire tematiche cruciali alla luce della fede non è una scelta
elitaria, così come non è affatto elitario chiedere alle comunità cristiane
uno sforzo di pensiero a partire dal vangelo e dalla storia. Avere una vita
interiore, custodire nella memoria le cose, riflettere dentro di sé e nel
confronto comunitario è quanto di più umano ci sia dato, e non è certo
appannaggio di pochi, perché la fede è sempre ragionevole» (Comunicare il
Vangelo in un mondo che cambia - Orientamenti pastorali dell’Episcopato
italiano per il primo decennio del Duemila, Roma 29-6-2001. 45, 50).
L’AUTORE
INTRODUZIONE
Dopo la presa della città nel luglio del 1099 uno dei primi e dei più gravi
problemi che gli euro-occidentali (i «crociati» li chiamiamo noi) si
trovarono a dover affrontare, fu quello del consolidamento delle loro
posizioni e della difesa delle loro conquiste.
A uno stabile insediamento dei pellegrini guerrieri in Terra Santa, i
componenti della bizzarra spedizione che siamo ormai abituati a chiamare
«prima crociata» non avevano in realtà pensato: e non si capisce nemmeno
bene quando cominciarono a pensarci. All’indomani della presa della Città
Santa, quindi, molti dei pellegrini (armati o no che fossero) ritennero
sciolto il loro voto e, dopo aver pregato sulla pietra del Santo Sepolcro,
si accinsero a tornare a casa. Ma c’era chi voleva restare e chi riteneva di
non poter fare ormai altrimenti. Il circostante mondo islamico, riavutosi
dalla sorpresa, si andava riorganizzando: le notizie relative alla
sanguinosa ferocia che aveva accompagnato la conquista di quella che per i
musulmani era (ed è) al-Quds, «la Santa», facevano prevedere una
controffensiva molto dura. D’altro canto, i principi che avevano guidato la
spedizione europea non avevano alcuna intenzione di cedere le loro conquiste
all’imperatore bizantino, il solo che dal punto di vista cristiano avrebbe
avuto legittimità di governarle; avevano provato a offrirne la sovranità
eminente al Papa, magari per farsela poi ritrasferire a titolo vassallatico
(così era accaduto ad esempio nell’Italia meridionale coi Normanni). Ma il
Pontefice non aveva alcuna intenzione di usurpare un palese diritto del
sovrano di Costantinopoli, cosa che avrebbe aggravato e reso irreversibile
lo scisma allora in corso (e mai, fino ad oggi, sanato). Infine, c’era il
problema che alcuni grandi principi (Goffredo duca della Bassa Lorena,
Raimondo marchese di Provenza, Boemondo d’Altavilla) e un numero forse
notevole di cavalieri e di gente di minor conto si erano bruciati, per così
dire, i ponti dietro le spalle: l’Oltremare doveva ormai essere la loro
nuova patria, la base per nuove conquiste o comunque per una vita nuova.
CAPITOLO PRIMO
GLI INIZI
1. LA NASCITA DEL CAVALIERE CROCIATO (1)
In questo variegato insieme di personaggi e di condizioni, un gruppo di
particolare interesse doveva essere costituito da gente d’arme di varia
posizione, ma accomunata da un forte disagio socio-economico oppure (e
magari, al tempo stesso) da una vocazione al servizio dei pellegrini che si
era rivelata in viaggio. Le fonti chiamano questi guerrieri dotati di pochi
mezzi – o che, affascinati dall’ideale della conversio al servizio della
Chiesa e dei deboli, si erano disfatti volontariamente dei loro beni – con
l’espressione paradossale, quasi ossimorica, di pauperes milites. Ora che la
Terra Santa era conquistata, bisognava difenderla: i pellegrini erano
minacciati dalla guerriglia musulmana che arrivava alle porte di
Gerusalemme; il nuovo regno – fondato unilateralmente per volontà di alcuni
capi crociati nel 1100, dopo un anno d’incerto governo di Goffredo di Lorena
come Advocatus Sancti Sepulchri, «procuratore laico» della Chiesa latina
della Città Santa – era insicuro; molti arrivati di fresco dall’Europa si
ammalavano e bisognava ospitarli e curarli. Nacquero così sodalizi
fraternitates, di cavalieri che si votavano per un certo periodo o per
sempre a una vita comune – sul modello dei canonici regolari o addirittura
dei monaci – e all’assistenza dei poveri, dei pellegrini, degli ammalati. La
Chiesa guardò a questo fenomeno, in un primo tempo, con una certa
inquietudine e non poche riserve; ma di lì a poco si lasciò persuadere a
legittimare e ad accogliere come vere e proprie Religiones dotate di
relativa Regula questi sodalizi. Nacquero così ordini religiosi nuovi, nei
quali il gruppo qualificante era costituito da laici che, per fatto di avere
abbracciato una regola, non deponevano le armi, ma facevano del loro
esercizio in difesa dei cristiani
parte integrante della loro esperienza di conversio.
La stessa condizione dei fratres delle Militiae sotto il profilo canonico
non appare chiara, né mai del tutto chiarita: a proposito della consuetudine
secondo la quale – partendo già da San Bernardo – siamo abituati a definirli
«monaci-cavalieri», il Luttrell commenta che più preciso sarebbe «parlare di
religiosi che non di monaci, perché l’ordine militare fu piuttosto una
religio o ordo di laici religiosi con l’obbligo di combattere per la fede
contro gli infedeli» (2). È in effetti improprio, per quanto purtroppo
comune tra gli stessi specialisti, il trattare le espressioni «ordine
monastico» e «ordine religioso» come sinonimiche: quelli monastici sono un
tipo specifico di ordine religioso, ma il concetto di «ordine religioso» è
di per sé più ampio, comprendendo anche altri tipi di esso, ad esempio gli
«ordini mendicanti». Più preciso sarebbe parlare degli «ordini militari»
come di «ordini religiosi» regolari, in quanto caratterizzati da una regola.
Sappiamo che, nel caso dei Cavalieri del Santo Sepolcro, Templari e
Ospitalieri, le rispettive regole furono influenzate, anzitutto e
soprattutto, prima da quella canonicale di Agostino-Crodegango, quindi da
quella monastica di Benedetto attinta tuttavia attraverso la rilettura
cistercense. Analoghe imprecisioni si registrano abitualmente a proposito
dei rapporti tra fratres e movimento crociato: quella che noi moderni siamo
abituati a definire «crociata» – e la sistemazione canonica della quale non
data prima del XIII secolo corrispose sempre a un «evento straordinario
proclamato dal papa»3 che poteva esser diretto anche contro i cristiani,
mentre i membri delle Militiate potevano combattere solo contro gli infedeli
ed era loro proibito prendere voti specifici – come quello appunto di cruce
signatus – senza il permesso dei loro superiori.
In seguito si ebbe un imprevisto ed imprevedibile successo delle Militiae,
che raccolsero lasciti e donazioni, privilegi ed esenzioni nell’Occidente
latino. Era un successo pericoloso, come sempre è il successo: il rischio ad
esso sotteso era un più o meno rapido e intenso snaturamento dei compiti
delle Militiae.
Tuttavia, i vantaggi di esso erano tali e tanti da suggerire una cura
speciale anzi un costante sforzo teso a incentivare gli insediamenti
cismarini di ordini nati con una precisa vocazione oltremarina. Si trattava
difatti di rafforzare una presenza attraverso la quale i rapporti
diplomatici e politici con le gerarchie ecclesiastiche e laiche d’Occidente
sarebbero stati più forti e più stretti; di diffondere nella società civile
europea la conoscenza e l’apprezzamento degli ordini in modo da favorire
ulteriormente elemosine, donazioni, lasciti; di preparare i pellegrini che
transitavano per le strade europee diretti in Terra Santa a fruire della
carità, dell’assistenza, della protezione guerriera e dei servizi che gli
ordini mettevano a loro disposizione e a promuovere la loro gratitudine che
– di ritorno dal viaggio – si sarebbe tradotta in gesti concreti; di
produrre ricchezze e di ammassare uomini e denaro da utilizzare in Terra
Santa. Ne consegue che il ruolo e l’attività militare degli insediamenti
degli Ordini in Europa – a eccezione ovviamente della penisola iberica, dove
lo stato di guerra contro i musulmani permase fin alla fine del XV secolo –
erano assenti; le case non erano fortificate – non più di quanto, almeno,
non lo fossero di solito nel Basso Medioevo gli insediamenti produttivi
rurali o quelli urbani, del resto meno frequenti salvo che nei centri
portuali – e i milites presenti erano pochi, non portavano armi ed erano
spesso anziani o mutilati che avevano raggiunto l’Europa provenienti dalla
Terra Santa mandati nelle «case» cismarine come in una specie di riposo,
alla fine del loro servizio e negli ultimi anni della loro esperienza su
questa terra.
Ma tutto questo va detto – ed è necessario dirlo per chiarire il carattere
dell’esperienza religioso-militare – senza peraltro dimenticare di chiarire
l’origine dei «cavalieri», le difficoltà da essi incontrate nel farsi
accettare e legittimare dalla Chiesa, la primitiva Weltanschauung che
all’interno e attorno al nuovo Ordine si andò sviluppando e che era
destinata a segnare profondamente tanto la storia istituzionale quanto la
spiritualità del mondo cristiano latino. L’idea che tra coloro che
accettavano la conversio e intendevano con ciò far vita di preghiera e di
penitenza soggetti a una regola vi fossero degli armati che non rinunziavano
all’esercizio della forza era in se non solo estremamente pericolosa,
ma addirittura contraddittoria: le armi facevano parte proprio di quel
saeculum che chi voleva convertirsi a vita religiosa respingeva da sé.
Abbiamo visto per quali ragioni essa poteva esser salutata con entusiasmo in
Terra Santa: il che non toglie che dovesse per forza venir considerata con
attenzione e preoccupazione sotto altre latitudini. Si trattava per la
Chiesa latina, che nella vita del suo clero rimaneva rigorosamente abhorrens
a sanguine, di accettare nel suo seno alcuni monaci che contemplavano la
guerra come parte del loro voto. Ugo di Payens, che veniva spesso in Europa
alla ricerca di volontari per la sua fondazione, dovette rendersi conto di
urtare contro un muro di dubbi e di riserve peraltro più che giustificati.
Ma la sua fortuna fu di trovare un apologista d’eccezione in San Bernardo di
Clairvaux, per opera del quale il papa Onorio II, al concilio di Troyes del
1128, riconobbe la Militia Christi et Templi Salomonici, che noi chiamiamo
di solito Ordine del Tempio. Non sappiamo con certezza quale sia stata la
reale influenza di Bernardo nel fissare concretamente la regola templare:
sembra non improbabile che egli abbia contribuito in parte ad ispirarla e
che le due fondamentali caratteristiche di essa – a parte i voti consueti di
castità, obbedienza e povertà personale – cioè l’obbedienza assoluta al Papa
e al capo dell’Ordine, al «Maestro», e la guerra senza quartiere e senza
compromesso contro l’infedele, corrispondano alle sue aspirazioni. Il suo
trattato De laude novae Militiae, scritto nei primissimi anni Trenta del
secolo su richiesta di Ugo di Payens, offre al nuovo Ordine una serie di
giustificazioni estremamente significative assegnandogli un ruolo davvero
innovatore nella società del suo secolo.
1.1. San Bernardo di Chiaravalle e l’ideale
di cavalleria cristiana (4)
Anche nei confronti della cavalleria, Bernardo appare continuatore e al
tempo stesso superatore degli ideali cluniacensi (posizione che giustifica
ampiamente anche l’atteggiamento polemico che egli talora assunse nei suoi
rapporti col celebre ordine). Cluny si era accontentato di cristianizzare la
forma, la superficie della cavalleria patrocinandone l’ordinazione sacra e
indicando nella lotta contro gli infedeli un santo scopo. Ma la sostanza
spirituale del cavaliere rimaneva, nonostantetutto, barbara e acristiana. Il
cavaliere delle guerre spagnole e della prima crociata, uscito dalla
manipolazione ideale di Cluny, somiglia nella descrizione della Chanson de
Roland – scudi ben dipinti a fiorami, armi rilucenti, pennoncelli dorati –
alla chiesa cluniacense, al suo trionfo di colori e d’arredi, alla sua
liturgia solenne. Contro questo sfarzo denunziante l’amore mondano della
guerra per la guerra si erge Bernardo. Il suo cavaliere combatte una
battaglia su due piani paralleli, lo spirituale e il temporale. Le sue armi
di ferro puro, senza ornamenti, sono il simbolo dell’arma vera con cui egli
lotta, la fede. I suoi nemici sono i pagani e il peccato: lottando contro i
primi e vincendo conquista la gloria, cadendo martire e guadagnandosi la
vita eterna sconfigge il secondo. Vittorioso sul peccato, il cavaliere è
sicuro della salvezza oltremondana e non ha perciò paura della morte: ciò lo
rende invincibile ai pagani. Il miles Christi combatte e muore quindi con
giustizia, dispensando da parte di Dio la punizione ai malvagi e la
protezione ai buoni. Il pagano non merita la morte in quanto pagano, ma
perché non c’è altro mezzo per liberarsi e liberare la Terra Santa dalla sua
minaccia. Il rapporto instaurato fra vecchia e nuova cavalleria fa da
contrappunto a tutto il trattato.
La vecchia cavalleria era malvagia: “non militia, sed malitia” esclama
Bernardo riprendendo un’espressione di Sant’Anselmo di Aosta. I cavalieri
mondani, vestiti d’oro e di seta – eccoli come li ritraggono Turoldo e
Bertran de Born –, dediti ai piaceri ed amanti del lusso, combattono le loro
guerre ingiuste fra cristiani per cupidigia di denaro, per collera, per
vanagloria, come nei tornei. Al contrario i milites Christi armati et non
ornati combattono contro i pagani e soprattutto contro il peccato una guerra
giusta. È sintomatico che Bernardo usi il termine milites Christi, altrove
da lui e prima di lui usato per designare i monaci. Ecco che la guerra
cavalleresca diviene così, in fondo antiguerra, perché mira alla pace ed
alla sicurezza della cristianità come alla salvezza dell’anima. Il cavaliere
con l’abito bianco come il cistercense e le armi di schietto ferro senza
smalti né dorature, somiglia alla chiesa voluta dalla riforma architettonica
e liturgica di Citeaux, che trae i suoi unici ornamenti dalla pietra spoglia
e dalla luce filtrante pura dalle finestre che non conoscono vetrate
policrome. Spogliamoci delle opere delle tenebre e indossiamo l’armatura
della luce, diceva San Paolo ai Romani (Rm 13,12).
«Ma qual è dunque il fine e il frutto di questa non dirò milizia, ma
piuttosto malizia mondana, se l’uccisore pecca mortalmente e l’ucciso muore
eternamente?
Invero, a dirla con l’Apostolo, “chi ara deve arare con speranza, e chi
trebbia con speranza di avere pane al frutto” (1 Cor 9,10). Che cos’è
dunque, o cavalieri, questa incredibile passione, questa intollerabile
pazzia di guerreggiare con tante spese e tante fatiche senza alcun altro
guiderdone che la morte o il peccato? Coprite di seta i cavalli e rivestite
di non so che genere di straccetti colorati le corazze; dipingete lance,
scudi e selle; ornate d’oro, d’argento e di gemme le briglie e gli sproni; e
in tanta pompa correte, con vergognoso furore e impudente stupidità, alla
morte.
Sono insegne militari, queste, o femminei ornamenti? Forse che il ferro del
nemico avrà paura dell’oro, rispetterà le gemme, non potrà attraversare la
seta?
In fondo, e voi stessi lo sperimentate di continuo, al combattente sono
soprattutto necessarie tre cose: che sia abile, alacre e circospetto nel
guardarsi, rapido nel cavalcare, pronto nel ferire. Voi al contrario vi
curate come donne i capelli fino a disgustare chi vi vede, vi coprite con
sopravvesti lunghe e drappeggiate che vi impacciano i movimenti, seppellite
le tenere e delicate mani in ampi e comodi guanti... Né tra voi sorge quasi
mai guerra o contesa che non sia originata da un moto irrazionale d’ira o da
un vuoto desiderio di gloria o dall’avidità di ricchezze terrene.
Certamente, uccidere o morire per motivi del genere non è cosa da fare con
tranquillità. I cavalieri di Cristo combattono invece le battaglie del loro
Signore e non temono né di peccare uccidendo i nemici né di dannarsi se sono
essi a morire: poiché la morte, quando è data o ricevuta nel nome di Cristo,
non comporta alcun peccato e fa guadagnare molta gloria. Nel primo caso
infatti si vince per Cristo, nell’altro si vince Cristo stesso: il quale
Cristo accoglie volentieri la morte del nemico come atto di giustizia e più
volentieri ancora offre se stesso come consolazione al cavaliere caduto. Il
cavaliere poi, posso affermarlo, uccide sicuro è muore più sicuro ancora:
giova a se stesso quando muore, a Cristo quando uccide. Non è infatti senza
ragione che porta la spada: egli è ministro di Dio in punizione dei malvagi
e in lode dei buoni. Quando uccide il malvagio egli non è omicida ma – per
così dire – malicida, ed è stimato senza dubbio vindice di Cristo su quelli
che fanno il male e difensore dei cristiani. E quando muore, si sa che egli
non è perito, ma è – piuttosto – giunto alla meta.
La morte ch’egli dispensa è infatti un guadagno per Cristo: quella che egli
riceve è il guadagno suo personale. Nella morte del pagano il cristiano si
gloria, perché Cristo è glorificato. Nella morte del cristiano si dimostra
quanto magnanimo sia stato il re che ha ingaggiato il cavaliere» (5).
Nella parte del De laude riguardante le funzioni specifiche del cavaliere
come crociato e il panegirico dei Luoghi Santi il doctor mellifluus ha modo
di scrivere alcune pagine di un’armonia biblica degna del suo celebre
commento al Cantico dei Cantici; essa fu considerata fondamentale dai
contemporanei perché espressione di un desiderio comune, di un comune amore
ai luoghi segnati e benedetti dalle storie dei Patriarchi e dei Profeti e
soprattutto dalla vita e dalla missione di Gesù. È peraltro lo stesso San
Bernardo, a farci comprendere quale sia questo comune desiderio e amore.
Egli (6), che aveva conosciuto i Cavalieri del Tempio al Concilio di Troyes
(1128), quando, pare col suo determinante aiuto, venne abbozzata la loro
Regola, scrive il Liber con lo scopo di presentare la spiritualità del
“cavaliere di Cristo”, centrata sull’amore al Signore Gesù e al Suo Santo
Sepolcro e sul servizio di protezione dei pellegrini ad esso diretti: al
monastico “da poveri seguire il Cristo povero” (“nudus nudum Christum sequi”),
Bernardo ispira l’ideale del cavaliere: “da soldati seguire il Cristo che ci
conduce” (“Christum ducem militum sequi”).
La “sequela Christi” è dunque la vera ragione della visita e della custodia
del Santo Sepolcro! Di conseguenza la contrapposizione con la milizia pagana
è netta, anzitutto sul piano dei costumi: l’andata ai Luoghi Santi è simbolo
dell’intera vita cristiana intesa come vita penitenziale, spesa nel continuo
ritorno nella fede e nell’amore a Dio, al Suo primato e alla signoria del
Suo Cristo. In questa luce, Bernardo disegna l’ideale itinerario ai Luoghi
Santi, rivisitando i punti nodali della storia della salvezza: Betlemme
(cap. VI) invita a meditare sul mistero dell’Incarnazione; Nazaret (cap. VII)
sull’attesa messianica; il monte degli Ulivi e la valle di Giosafat (cap.
VIII) sulla misericordia e la giustizia divine; il Giordano (cap. IX) sul
battesimo; il Calvario e il Sepolcro (capp. X e XI) sul mistero pasquale;
Betfage (cap. XII) sulla penitenza; Betania (cap. XIII) sull’obbedienza.
La missione dei cavalieri e dei pellegrini si presenta dunque agli occhi di
Bernardo come un “itinerarium mentis et cordis” alla ricerca della
Gerusalemme interiore, dove incontrare il Risorto e farne l’unica vera
ragione di vita.
Scrive dunque il grande Testimone della teologia monastica: “È apparso di
recente sulla terra un nuovo genere di cavalieri e proprio in quella regione
che una volta con la Sua incarnazione l’Oriente visitò dall’alto, affinché
dove allora con la potenza della sua mano scacciò i principi delle tenebre,
così ora possa con la schiera dei suoi prodi sterminare i loro accoliti, la
progenie dei senza fede, realizzando ancora nel presente la redenzione del
suo popolo e suscitando per noi un Salvatore nella casa di Davide, suo
servo. Intendo alludere al nuovo genere di cavalieri, assolutamente
sconosciuto; hanno veduto la magnificenza della tua gloria e raccontano le
meraviglie che in te si compiono” (457-459). Sono i sentimenti che i
pellegrini possono sperimentare anche oggi, quando al culmine della
salita dalla valle del Giordano a Gerusalemme, accompagnati dalla
meditazione e dal canto dei Salmi delle ascensioni (120-136), la Città Santa
si offre ai loro occhi in tutto lo splendore della spianata del Tempio e
delle cupole della Città Vecchia contemplate dal Monte degli Ulivi.
Certo, Bernardo aggiunge anche riflessioni che nessuno di noi farebbe sue
oggi, e di cui anzi l’invito di Giovanni Paolo II alla “purificazione della
memoria” ci spinge a chiedere perdono per le conseguenze che hanno potuto
produrre: “I soldati di Cristo combattono sicuri le battaglie del loro
Signore, non temendo affatto di peccare quando uccidono i nemici né di
perdere la vita, in quanti, la morte inferta o subita per Cristo non ha
nulla di delittuoso, anzi rende più meritevoli di gloria... Il soldato di
Cristo uccide sicuro e muore ancor più sicuro.
Giova a se stesso se muore, a Cristo se uccide. Non è, infatti, senza
ragione che cinge la spada: egli è ministro di Dio per la vendetta sui
cattivi e per la lode dei buoni. Peraltro, quando uccide il malfattore, non
deve essere reputato un omicida, ma, per così dire, un malicida, e cioè
vindice di Cristo nei confronti di coloro che compiono il male e difensore
dei cristiani. E quando viene ucciso si deve affermare che egli non è morto,
ma ha conseguito il suo scopo.
La morte, che commina, è un guadagno per Cristo; quella che subisce, è un
guadagno per lui. In occasione della morte di un pagano, il cristiano si
gloria in quanto Cristo viene glorificato; in occasione della morte di un
cristiano, si rende manifesta la liberalità del Sovrano, poiché chiama il
soldato per offrirgli la ricompensa...
È pur vero che non si dovrebbero uccidere neppure i pagani qualora ci fosse
una maniera diversa per impedire loro di infestare ed opprimere i fedeli.
Tuttavia, almeno per ora, è meglio ucciderli piuttosto che la verga dei
peccatori si abbatta sul destino dei giusti” (445-447). La più forte
smentita di questi sentimenti è la continua preghiera per la pace che si
leva dai pellegrini, specialmente di fronte alla realtà dolorosissima del
conflitto israelo-palestinese e da quanto si invoca nella Preghiera del
Cavaliere. È tuttavia lo stesso Bernardo ad aiutarci a comprendere in altro
modo le sue espressioni bellicose, lì dove vede nella lotta fisica la
metafora della lotta spirituale e nel raggiungimento della meta l’immagine
della santità raggiunta, da perseguire sempre nuovamente: veri cavalieri
sono quelli che “si dedicano nella casa di Dio giorno e notte ad uffici non
meno onesti che utili. Essi rendono onore al Tempio di Dio..., immolandovi
senza interruzione e con animo devoto non più carni di animali secondo il
rito antico, ma pacifiche offerte, quali sono la carità fraterna,
l’obbedienza devota, la povertà volontaria. Queste cose accadono a
Gerusalemme e il mondo intero ne rimane colpito” (455).
Queste cose restano come dono, inizio e promessa per ciascuno dei pellegrini
che va nella terra dove – secondo la tradizione rabbinica – “di dieci misure
di bellezza e di sapienza, Dio ne ha riversate nove, di dieci misure di
dolore, ugualmente nove ne ha riversate l’Eterno”! Una terra che perciò ogni
cristiano dovrebbe desiderare di visitare almeno una volta nella vita!
A questo punto appare chiaro che, nonostante quanto abitualmente si dice e
si ripete, non era la crociata ad interessare direttamente Bernardo, la
Gerusalemme terrestre lo riguardava principalmente come simbolo di quella
celeste e alla crociata come avvenimento storico egli pensava come ad un
amoroso e caritatevole «artificio» di Dio per salvare le anime di tanti
fedeli. Differentemente dal suo amico Ugo di Payens, che aveva dei problemi
contingenti da risolvere, per Bernardo i cavalieri erano importanti non
tanto perché difendevano i pellegrini sulla via del Sepolcro quanto
piuttosto perché offrivano alla Chiesa la possibilità di ricondurre
integralmente l’ideale cavalleresco nell’ambito degli ideali cristiani e di
sistemarlo nell’ordine monastico facendone, oltretutto, un efficace
strumento della teocrazia.
Ma l’influenza di Bernardo sulla crociata e sulle modificazioni della
civiltà cristiana che ne scaturirono andò addirittura oltre la sua volontà:
se è vero per esempio – e la cosa, pur discussa a lungo è se non altro
verosimile – che il culto bernardiano della Vergine espresso nei termini
feudali di «Nostra Signora» ha favorito al loro nascere quegli ideali di
poesia cortese che erano d’altro canto proprio espressione della cavalleria
mondana che il santo condannava, è vero altresì che il culto patrocinato da
Bernardo al Cristo Bambino, al Cristo Crocifisso e al Cristo Re è stato, su
tre diverse dimensioni incentivo al culto stesso della Terra Santa dove Gesù
era nato, era stato più volte salutato re, aveva versato il Suo sangue e da
dove sarebbe tornato a regnare, secondo la tradizione apocalittica
circostanziata dai numerosi testi escatologici noti a quei tempi.
CAPITOLO SECONDO
I CAVALIERI DEL SANTO SEPOLCRO DI GERUSALEMME (1)
1. ORIGINE STORICA (2)
Le sfolgoranti vittorie, i gravi sacrifici, le sofferenze, le inimicizie fra
i crociati e le dure battaglie, che caratterizzano la storia delle crociate,
si identificano nella storia degli ordini cavallereschi che sorgono in Terra
Santa ed il primo fra gli ordini religiosi, militari sorti a Gerusalemme
dopo la costituzione del Regno Latino è l’Ordine del S. Sepolcro.
Fin dalla prima crociata (1096), l’accorrere di pellegrini verso la Terra
Santa fece sentire il bisogno di costituire associazioni di cavalieri a
carattere religioso militare, i cui membri, stretti da voti religiosi,
potessero assicurare la protezione dei cristiani che colà affluivano o
dimoravano e contemporaneamente si dedicassero alla guerra per la difesa del
S. Sepolcro e dei Luoghi Santi.
Tali associazioni venivano riconosciute e confermate dai pontefici alla cui
giurisdizione erano sottoposte. Esse costituivano delle religioni, cioè,
associazioni
approvate dall’autorità ecclesiastica i cui membri pronunciavano voti
pubblici,
perpetui o temporanei e tendevano alla perfezione evangelica. Furono
chiamate
Sacre Milizie o Religioni Militari, quelle sorte in Gerusalemme anche
Gerosolimitane.
Ordine è la religione in cui i membri pronunciano i voti.
Ben presto gli ordini divennero istituzioni potenti e i loro membri
acquistarono
onori, prestigio e fama. I compiti delle confraternite Gerosolimitane,
specificamente,
furono: il servizio per la custodia e la difesa del S. Sepolcro cui tutti i
più nobili crociati aspiravano di adempiere affidato all’Ordine del S.
Sepolcro, la
cura degli infermi ad opera dell’Ordine Ospedaliero di S. Giovanni; il
mantenimento
della sicurezza delle strade, infestate dai predoni, per la protezione di
pellegrini
affidato all’Ordine dei Templari.
Per la custodia e la difesa del S. Sepolcro, quindi nel 1099, si
costituisce, la
milizia del S. Sepolcro. Questa associazione sorge subito dopo la
liberazione di
Gerusalemme da parte di Goffredo di Buglione, duca di Lorena, condottiero
della prima Crociata e primo re di Gerusalemme.
Di Buglione affidò ad alcuni cavalieri crociati
– secondo la tradizione, nominò Cavalieri del S. Sepolcro cinquanta tra i
più nobili gentiluomini, ed il Tasso fa riferimento a questi Cavalieri nella
Gerusalemme liberata «Son cinquanta guerrier che in puro argento spiegan la
trionfal purpurea Croce» (canto IX, ott. 92) – costituirsi in corpo, l’onore
della custodia armata del S. Sepolcro, con dovere di obbedienza al Patriarca
di Gerusalemme e li aggrega ai canonici della Chiesa del S. Sepolcro. Questa
aggregazione divenne ben presto, una fusione talmente intima tra l’elemento
militare e quello religioso, che più volte l’ecclesiastico si sostituì al
militare fino ad impugnare la spada per la difesa del S. Sepolcro. Tale
corpo di cavalieri, per distinguersi da altri crociati ed anche per
ricordare la loro devozione al Duca che li aveva destinati alla difesa del
S. Sepolcro, assunse l’emblema della cinque Croci, poiché questo era lo
stemma della casata di Goffredo di Buglione e della Provenza, le cinque
croci rosse in campo argento, furono adottate, più tardi dalla Custodia
Francescana del Santo Sepolcro che, fu dal secolo XVI la sola autorizzata
dalla S. Sede a concedere investiture di cavalieri sul Santo Sepolcro.
L’istituzione dell’Ordine del S. Sepolcro attribuita dalla tradizione a
Goffredo di Buglione è avvalorata anche dalla autorevole costante opinione
della Chiesa, che, espressa ancora da Celestino I nel 1144, fu ripetuta sino
ai tempi più vicino a noi. Basti, ad esempio, quanto scrive il Pontefice
Benedetto XIV (1740-1757): «Il Duca Goffredo, nell’anno del parto della
Vergine 1099, nell’espugnazionedella Città Santa, messi insieme un numeroso
esercito di trecentomila croci segnati, sotto gli auspici di Urbano II Pont.
Max col favore di Dio sconfisse un esercito di oltre trecentomila nemici;
onde presa Gerusalemme, per voto unanime di tutti il detto Goffredo fu
proclamato solennemente re di Gerusalemme.
Nella quale carica senza frapporre indugio, con ardente animo si assunse la
vigilanza del mausoleo di Cristo Signore. E affinché, secondo il rito, fosse
mantenuto il Sacro Ordine dello stesso Santo Sepolcro, volle stabilire con
leggi santissime i cavalieri; e in seguito creò cavalieri moltissimi
nobilissimi uomini del risorto Sepolcro del Signore e li armò e decorò di
croci rosse scolpite su scudo d’argento, stabilendo che fossero tenuti a
portarle in luogo di stemma gentilizio, tanto in guerra quanto nelle
riunioni di tutti i fedeli».
Nell’Archivio Vaticano vi é un registro, della metà del secolo XVI, in cui è
riferita la storia del Regno di Gerusalemme e dei maggiori Ordini
sacro-militari; in esso, fra i dodici citati, è posto per primo quello del
S. Sepolcro: De origine ordinum totius Christianitatis: ut probatissimi
auctores asserunt: Ordo S. Sepulcri - Ordo Templariorum - Ordo S. Joh.
Jerosolimitani - Ordo Theutonicorum - Ordo S. Jacobi in Hispania - Ordo
Calatravae - Ordo Alcantarae, etc.3.
Re e principi, si ritenevano onorati di appartenere all’Ordine del S. Sepolcro, che con l’Ordine di S. Giovanni e Templari gareggiava per meriti religiosi e per il valore in combattimento. Da una lettera del Patriarca Daiberto si apprende come il duca Goffredo era «Homo S. Sepulchri ac noster effectus, fideliter se Deo et nobis a modo militaturum spopondit». I re il Gerusalemme Balduino I, Balduino IV, Almerico conte di Ascalona, Ugo di Gibellino signore di Ramat, Luigi VII, il conte Ponzio di Tripoli, grande feudatario e signore di Antiochia, Ioska Griff, nipote del Re di Serbia, Guglielmo de Buris, principe di Tiberiade, Rodrigo di S. Giacomo, Guglielmo Embriaco, signore di Biblo, ecc. furono dai Patriarchi creati Fratres dell’Ordine. Il contingente armato dell’Ordine del S. Sepolcro e quello del Patriarca formavano la nota Milizia Gerosolimitana, così spesso citata dagli storici delle crociate.
1.1. Dalle origini alla caduta di San Giovanni d’Acri
In quasi tutti i fatti d’arme svoltisi durante il Regno di Gerusalemme,
tutte le
volte che l’esercito cristiano portava a sua protezione il legno della S.
Croce, la
Milizia Gerosolimitana fu presente. Il 6 settembre 1101 formava la quarta
schiera
dell’armata latina alla battaglia di Ramleh, mentre dieci, dei più valorosi
e meglio
armati cavalieri del S. Sepolcro, erano a guardia d’onore della S. Croce.
Nella seconda
battaglia del 17 maggio 1102 sempre a Ramleh, il patriarca Daiberto
Lanfranchi
di Pisa accorse in aiuto del re Balduino I, con i cavalieri del S. Sepolcro.
Il 27 agosto 1105, alla battaglia di Jbelin, intervenne il patriarca
Evremaro con
150 Fratres armati, chierici e laici. Il gran maestro dell’Ordine, il
patriarca, diresse
nel 1124 la costruzione delle macchine da guerra all’assedio di Tiro;
assedio
organizzato ed effettuato unitamente al doge Domenico Micheli. Al patto di
alleanza
stipulato con i veneziani intervenne anche il priore del S. Sepolcro. Nel
1128 conquistarono il castello di Helmacer e nel 1178 morirono in
combattimento
i priori Baldomio e Giuffredo di Villanova.
I favori dei nobili feudatari e degli appartenenti all’Ordine, che
elargivano a
favore dello stesso donazioni, fecero si che i possessi dell’Ordine si
stendessero
in Palestina ed in Europa.
Nel 1220 si rileva dal breve di Onorio III: Effectum iuxa, che l’Ordine era
esteso alle chiese di Costantinopoli, in Antiochia, in Tessalonica, con
priorati in
Sicilia, Spagna, Polonia, Boemia, Ungheria, Slavonia, Alemagna, Francia,
Lombardia,
Tuscia e in Inghilterra, oltre a possedimenti a Cipro e a Tripoli. Dai brevi
di Nicolò VI e di Giovanni XXII, risulta che, tra il 1288 e il 1294,
l’Ordine
aveva 2088 Chiostri con tutte le pertinenze e dipendenze in case, castelli e
vassalli.
Il più antico Statuto dell’Ordine del S.
Sepolcro, è quello datato 1° gennaio 1099, composto di trentuno articoli, da
cui si riportano il quarto ed il sesto perché particolarmente significativi:
«Articolo Quarto. Di più, in onore della passione di N.S. Gesù Cristo e per
la riverenza che abbiamo al Ss. Papa, alla Sede apostolica, e per
l’obbedienza ai vicarii di Dio in terra ed anche ai vescovi della grande
città di Roma, abbiamo assunto umilmente le santissime croci, con cui
segnammo noi, i nostri soldati in onore delle cinque piaghe di N.S. Gesù
Cristo, per essere maggiormente concordi contro simili infedeli e per
distinguere noi e il nostro popolo cristiano, tanto vivo quanto morto, nelle
regioni degli infedeli. Di più abbiamo preso visione e decretato di fondare
l’Ordine del Santo Sepolcro della nostra città di Gerusalemme, in onore e
riverenza della SS. Risurrezione, e al nostro nome cristiano abbiamo
aggiunto la dignità di primate di detto Ordine e abbiamo voluto che le dette
croci rosse, in onore delle piaghe inflitte a N.S. Gesù Cristo, fossero
portate dai cavalieri del detto ordine. Molti altri ne abbiamo insigniti, ed
essi pure contraddistinti con dette croci, affinché potessero essere
riconosciuti da noi e dagli infedeli nel caso in cui fossero stati sbandati
o impossibilitati a rimanere al servizio dell’esercito.
Articolo Sesto. Abbiamo voluto e vogliamo che tutti coloro i quali
desiderano usare e godere l’onore di appartenere a detto Ordine e usufruire
di dette franchigie e libertà, assumano in sé questi viaggi e servizi
relativi della detta fede cristiana e difesa della chiesa romana cattolica
apostolica e delle altre chiese cristiane. E coloro che a questo
accondiscendessero, vengano pure ascritti al detto Ordine, e da noi, o, se
noi assenti, da un nostro sostituto, vengano fregiati della croce nella
chiesa del Santo Sepolcro di Gerusalemme. I suddetti saranno ascritti a
detto Ordine dopo che da investigazioni compiute debitamente per iniziativa
dell’Arcivescovo, o curato della diocesi, o parrocchia nella quale saranno
nati, risulterà a noi, al nostro rappresentante che essi sono cristiani
cattolici, legittimi e non spurii, e che non furono incolpati in nessun
modo, né diffamati e macchiati di qualche delitto indicibile ed enorme, in
giudizio o fuori. Di più, i cavalieri dovranno fare la confessione dei loro
peccati, e nel giorno della loro ammissione in detta milizia, assolti, dal
sacerdote celebrante il divino ufficio in detta chiesa del Santo Sepolcro
ricevere il sacrosanto sacramento dell’Eucarestia. In questa circostanza, da
noi, o da un nostro luogotenente, verranno decorati con le insegne di detto
Ordine e segnati con le cinque croci. Sarà accettato il giuramento da
ciascuno di loro di osservare e difendere fedelmente il contenuto nelle
ordinanze del detto Ordine da noi pubblicate e di pagare la somma di trenta
scudi coronati al tesoro del detto S. Sepolcro per elemosina da versarsi ai
poveri, pellegrini e ai militi che arrivassero e affluissero in detto luogo
di giorno in giorno, e agli ammalati degenti negli ospedali dello stesso S.
Sepolcro della città di Gerusalemme» (4).
Gerusalemme dopo ottanta anni di dominio cristiano, cadde nuovamente in
potere degli infedeli, il sultano Salah Addin il 2 ottobre 1187 occupò
Gerusalemme.
A nulla era valsa l’eroica difesa organizzata dal cavaliere del S. Sepolcro
Baleano di Ibelin, per cui i superstiti si rifugiarono in S. Giovanni
d’Acri. Qui l’ordine del S. Sepolcro rimase per oltre quarant’anni,
continuando a lottare contro gli infedeli e compiendo le opere caritative
alle quali era votato, nella speranza di una riconquista, che non poté
avvenire, nonostante qualche ripresa. Infatti, solo per poco, esso poté
ritornare nella Città Santa, ormai semideserta ed in condizioni di non poter
essere adeguatamente difesa. Nel 1229 Gerusalemme era ceduta a Federico II
che si proclamò nella Chiesa del S. Sepolcro re di Gerusalemme. La
situazione era però ormai insostenibile ed il 17 ottobre 1244 in un epico
scontro a Gaza, dopo due giorni di combattimento l’esercito cristiano fu
sconfitto, degli oltre mille cavalieri crociati rientrarono vivi ad Ascalona
trentatré cavalieri del S. Sepolcro e Templari, ventisei di Malta e tre
Teutonici. La Palestina poteva dirsi ormai perduta per i cristiani.
In effetti 1229 la quinta crociata attuata da Federico II, re di Sicilia, fu
indetta per mantenere una promessa fatta al papa (5). Fu condotta però con
scarsa energia e pochissima serietà. Questo Sovrano infatti non aveva alcuna
intenzione di impegnarsi a fondo in una lunga spedizione oltremare, anche
perché gravi cure lo richiamavano in Italia. Si limitò pertanto a venire a
patti con i Musulmani.
Così, il 18 febbraio 1229, allo scopo di occupare Gerusalemme senza
spargimento di sangue, arbitrariamente e con pochissimo senso cristiano, a
Giaffa fece un trattato con il Sultano Malek Kamel, il quale cedette
Gerusalemme, Betlemme, Nazareth e tutti i villaggi vicini, ma si riservava
il possesso del Templum Domini (Santo Sepolcro) e del Templum Salomonis
(Moschea d’Omar) ed esigeva che Federico II lo garantisse contro gli
attacchi dei principi cristiani per la durata di dieci anni.
L’accordo consentì ai cristiani di ritornare, dopo quarantadue anni, per una
breve parentesi a Gerusalemme.
L’imperatore, su cui gravava la scomunica del papa, entrò accompagnato dai
cavalieri teutonici e dai baroni tedeschi nella Città Santa e nella chiesa
del Santo Sepolcro si cinse la corona di re di Gerusalemme.
Ma dopo quindici anni, durante i quali i pontefici furono generosi di
privilegi e d’immunità verso l’Ordine, il 17 settembre 1244, tribù turche di
Khwarizmiani, approfittando della mancanza di fortificazioni, inflissero
gravissime perdite ai cristiani e rioccuparono Gerusalemme.
Ancora una volta i cavalieri sfuggiti alla strage ripiegarono su S. Giovanni
d’Acri. In questa città palestinese, ricca e piena di vita, ultimo possesso
rimasto ai cristiani di tutti quelli conquistati con le crociate,
confluirono, restando sempre sul piede di guerra, anche tutti i principi e i
baroni cristiani della Palestina, il patriarca di Gerusalemme, gli ordini
cavallereschi militari, veneziani, genovesi, pisani.
Ciò che veramente colpisce è che quelle comunità, oltre ad avere, com’è
ovvio, abitudini e costumi diversi, avevano quartieri propri, uffici propri,
del tutto indipendenti l’uno dall’altro, ognuno con i diritti della
sovranità. Negli affari civili e militari poi c’era rivalità fra loro.
È logico pertanto che il governo di questa città fosse oltremodo difficile.
Potevano infatti sorgere dei forti attriti, se un principe emanava delle
leggi in contrasto con quelle di un altro.
Il 1291 fu l’anno tristissimo per questa città. Il Sultano Khalil, con un
esercito di 60.000 cavalieri e di 140.000 fanti, posel’assedio. Aveva di
fronte pochi difensori, 30.000 abitanti e 15.000 combattenti, ridotti dopo
un mese e mezzo a 12.000 uomini.
Il 16 maggio, egli fece un fortissimo tentativo di entrare. Furono colmati
fossati, abbattute per lungo tratto le mura e già per la città mezzo presa
risuonava il grido di vittoria dei Musulmani. Ma ancora una volta i
cristiani si slanciarono a compiere azioni del più alto eroismo, rigettarono
fuori della città i nemici che v’erano entrati e sbarrarono la breccia con
un muro affrettato di pietre e con ogni sorta di roba. Pur tuttavia non era
più possibile ritardare la caduta della fortezza.
I capi dei crociati sapevano ciò e, il 17 maggio, s’adunarono per deliberare
se dovessero incominciare la ritirata verso Cipro. Mancavano però le navi
occorrenti, fu quindi presa la magnanima risoluzione di aspettare tutti
insieme la fine.
Il 18 maggio 1291, i Musulmani si scagliarono da ogni parte all’assalto con
le loro forze preponderanti. Dopo essere stati ricacciati indietro più
volte, sfondarono una porta e si riversarono in folte schiere per tutte le
vie della città.
Cadeva così S. Giovanni d’Acri, dove sorgeva l’antica Tolemaide, ultimo
baluardo della cristianità sulle coste dell’estremo Mediterraneo Orientale.
Era la conclusione di una lotta eroica che soltanto la fiamma di una fede
avrebbe potuto portare a termine.
Durante il durissimo scontro brillò fulgidissimo il valore dei cavalieri del
S. Sepolcro, che per due secoli avevano preso parte a tutte le battaglie
combattute in Terra Santa.
Anche i cristiani e gli altri ordini religiosi
militari gerosolimitani, così detti perché aventi sede a Gerusalemme, vale a
dire i Cavalieri di S. Giovanni (Malta), i Lazzariti, i Templari, i
Teutonici si coprirono di gloria e scrissero, nel tentativo di salvare il
grande acquisto di Goffredo, una pagina degna di epopea.
La grande sconfitta di S. Giovanni d’Acri, dovuta alle forze schiaccianti
dei Musulmani, produsse una profonda impressione in Europa e segnò
l’epilogo, dopo due secoli, nella storica lotta delle Crociate, cui i
cavalieri del S. Sepolcro avevano partecipato, svolgendo una parte
fondamentale.
La cristianità pianse la sua perdita e la Tomba di Cristo restò nelle mani
degli infedeli.
La lotta fra il mondo cristiano e quello musulmano per il dominio dei Luoghi
Santi era terminata a vantaggio degli infedeli. Sottomessa tutta la
Palestina, scomparso il Regno Latino con il patriarcato, anche i canonici
del S. Sepolcro cessarono l’attività nel campo militare.
I superstiti cavalieri religiosi, come pure il patriarca, dovettero lasciare
la Terra Santa, piena di tante loro memorie. Salparono il Mediterraneo e
rientrarono in Europa, dove da tempo avevano dato vita a commende, ad
arcipriorati, priorati, vicariati, dai quali dipendevano pure conventi,
monasteri e confraternite.
Nelle loro sedi europee, in particolare a Perugia, proseguirono la loro
funzione religiosa e storica.
Pure la classe dei cavalieri difensori, finito il periodo eroico, si
sciolse; sopravvisse quella d’onore e iniziò una nuova esistenza. Nei
cristiani sparsi nel mondo si rafforzò l’attrattiva di ricevere le insegne
davanti alla Tomba di Cristo.
E se con la caduta del Regno di Gerusalemme era anche cessato il primo scopo
che aveva determinato la creazione dell’Ordine, ovvero la difesa
territoriale dei Luoghi Santi in genere e del Santo Sepolcro in particolare,
ad esso se n’era sostituito uno nuovo, altrettanto nobile, importante e più
duraturo nel tempo: la difesa dei valori del Cristianesimo in Terra Santa e
la conservazione materiale dei suoi Santuari.
1.2. Costituzione dei priorati d’Europa
I superstiti cavalieri dei vari Ordini si rifugiarono nei loro priorati in
Europa. Termina così la stabile dimora degli ordini sacro-militari nella
Palestina. L’Ordine del S. Sepolcro seguiterà, nella sua naturale sede di
Gerusalemme, la sua missione attraverso l’Ordine Francescano dei Minori, che
si sostituisce ad esso ereditandone le mansioni e gli ideali, divenendo ad
un tempo figlio e padre: figlio per l’eredità acquisita, padre perché i
Minori seguitarono, per incarico papale, a investire nuovi cavalieri sul S.
Sepolcro.
Nelle parti cismarine da tempo si erano
costituiti vari Priorati dell’Ordine del S. Sepolcro, sia per combattere
l’invasione di mori, come in Spagna, sia per esplicare l’Opera di raccolta
dei fondi per la guerra contro i saraceni e dedicarsi alle pie opere di
sostentamento dei poveri e dei derelitti.
Sappiamo di certo che nel secolo XIV esistevano un Arcipriorato, uno o più
vicariati generali per ogni stato; ad essi erano soggetti i priorati e le
precettorie dai quali, a loro volta, dipendevano conventi, monasteri,
confraternite, parrocchie, vicarie ecc. L’arcipriorato aveva residenza in
Perugia, i vicariati dei vari stati erano affidati al priorato più grande e
più antico che prendeva il nome di vicariato provinciale o generale. Ogni
priorato comprendeva monasteri di canonici e conventi di canonichesse o di
monache, ospedali, confraterie, ecc.
1.2.1. In Italia
In Italia, fin dal 1187, l’Ordine del S. Sepolcro aveva la sua sede presso
la chiesa di S. Luca di Perugia che, per essere una delle residenze
cismarine più antiche, venne scelta, dopo l’esodo dell’Ordine dalla
Palestina, come Casa madre dell’Ordine stesso: «Capitulum Hierosolymitanum
venit ad civitatem istam et posuit se in Ecclesia Sancti Lucae».
Questa Chiesa: divenne «Caput totius Ordinis et universorum locorum
Sanctissimi Sepulchri Dominaci Hierosolimitani».
L’ordine del S. Sepolcro aveva fin dal 1144 una chiesa in Roma concessagli
da Papa Celestino II con il Breve del 12 gennaio 1144, evidentemente nella
città eterna non vi era residenza stabile di alcun capitolo di Fratres
dell’Ordine, se venne più tardi scelta Perugia come casa madre. In effetti
questa città, per la sua posizione geografica al centro dell’Italia e per i
vasti possedimenti che nel suo territorio aveva l’Ordine, venne preferita
perfino a Barletta, dove i cavalieri del S. Sepolcro avevano proprietà e
chiesa fin dal 1160. Infatti in quell’epoca esisteva già a Barletta il
sobborgo del S. Sepolcro, che s’era venuto formando ad opera dei cavalieri
del S. Sepolcro, per avere un punto di scalo sui
mari del Levante dove convogliare i pellegrini e crociati che si recavano in
Terra Santa. L’Ordine del S. Sepolcro era ricco e possedeva molte commende;
la giurisdizione del priorato di Perugia si estendeva su numerose chiese e
comunità di Francia, Spagna, Germania. In Italia l’Ordine possedeva, tra le
altre la Casa di S. Andrea de Platea (ossia di Piazza Armerina) in Sicilia.
Qui l’Ordine sembra si sia stabilito fin dal 1136, ossia pochi anni dopo la
conquista di Gerusalemme, proprio in piazza Armerina, dove venivano soccorsi
e curati i pellegrini che si recavano a Gerusalemme. La chiesa di S. Andrea
con l’ospizio, che, con diploma del 30 novembre 1106 steso da Guglielmo
Gramatico notaro, fu donata dal conte di Butera e Policastro all’Ordine,
ebbe nel corso dei secoli fino ai giorni nostri vasta rinomanza tanto da
essere riconosciuta come chiesa madre, e il suo priore capo dell’Ordine in
Sicilia e vicario dell’arcipriore di Perugia.
Anche le chiese del S. Sepolcro di Brindisi, di Venosa e di Barletta
appartenevano all’Ordine; come risulta dalla Bolla di Celestino II dell’anno
1144. I vicariati generali, negli altri stati, erano affidati al priorato di
più antica costituzione.
1.2.2. In Spagna
Il più antico insediamento dell’ordine del S. Sepolcro fra tutte le nazioni
europee
può vantarlo la Spagna. Questo avvenne per volontà di Alfonso I (El Batallador),
Re di Aragona e Navarra, il quale non avendo figli e temendo le future sorti
del suo regno per i continui attacchi dei mori, nell’ottobre 1131 trovandosi
all’assedio
della città di Bajona istituì suoi eredi e successori gli ordini del S.
Sepolcro,
di San Giovanni e dei Templari. Nel suo testamento Alfonso I per il
suffragio
dell’ anima sua e degli antenati stabilì che l’Ordine del S. Sepolcro,
l’Ospedale di
San Giovanni e la Milizia del Tempio, gli succedessero nella Signoria di
tutte le
terre del suo regno.
Il priorato di Calatajud, fu il primo insediamento dei cavalieri del S.
Sepolcro
in Spagna. L’attività del suo priore, Girardo, fu davvero instancabile,
l’ordine si
espanse nel regno di Castiglia e di Leòn, e tramite il re Alfonso VII poté stabilire
case dell’ordine in Salamanca e Zamora. Il priore Girardo fondò, inoltre, la
chiesa di S. Anna a Barcellona, come risulta dalla iscrizione in questa
chiesa datata
11 gennaio 1156:
«Obiit Géraldus frater S. Sepulchri qui edificavit Ecclesiam
Sanctae Annae».
Il papa Eugenio III, il 7 maggio 1148, confermò al S. Sepolcro i privilegi già
elargiti dai suoi predecessori. Innocenzo IV, il 25 marzo 1247, dispose che
le
case dell’ordine in Spagna fossero esenti dal pagamento dei tributi alla
chiesa.
Il vicariato generale in Spagna fu affidato al Priorato di Calatajud, ed al
priore fu concesso anche il privilegio di battere moneta; le monete
portavano su
una faccia il busto di Don Giacomo II e sull’altra la Croce Patriarcale, ed
erano
chiamate: Dinerillos del Sepulcro.
In Spagna, occupata ancora dai saraceni, i cavalieri dell’Ordine del S.
Sepolcro
continuarono a combattere come avevano fatto in Palestina. Presero parte
alle imprese militari della conquista di Valencia nel 1238, dove si
distinsero sia i
canonici sia i cavalieri dei priorati di S. Anna di Barcellona, di Calatayud
e di
Palma di Majorca, ottenendo in premio dal sovrano la Basilica del S.
Sepolcro.
Così presero parte alla difesa del castello di Nuevalos nel 1372 ed alla
liberazione,
nel 1465, della città di Simancas.
1.2.3. In Francia
In Francia l’Ordine del S. Sepolcro costituì le sue sedi in epoca molto
antica. Durante la seconda crociata Luigi VII, detto il giovane, prese sotto
la sua speciale protezione i cavalieri dell’Ordine, ne confermò lo statuto
nel 1148 e ne condusse in Francia con sé un gruppo che, stabilito a Saint
Samson, presso Orleans, vi rimase fino al 1254.
Luigi IX li chiamò a Parigi e affidò loro il servizio della Sainte Chapelle,
dove fu fondata l’arciconfraternita dei Palmiers, incaricata
dell’organizzazione dei pellegrinaggi in Terra Santa. Filippo di Valois
dette all’arciconfraternita il permesso di innalzare un tempio e un ospedale
dedicati al S. Sepolcro; il 18 maggio 1326 l’arcivescovo d’Auch mise la
prima pietra, in presenza di Luigi di Borbone, conte di Clermont e delle
regine Clemence, Isabella d’Inghilterra e Bianca di Bretagna, vedova di
Filippo, conte d’Artois.
I Cavalieri del S. Sepolcro, stabilitisi a Parigi in rue Saint Denis,
avevano per sigillo lo stemma antico di Francia con al centro le cinque
croci di Gerusalemme.
L’Ordine del S. Sepolcro era tenuto in particolare considerazione in
Francia, sia perché era stato fondato da un principe francese e sia per la
devozione dei re verso i Luoghi Santi. Molte case dell’ordine, nel secolo XV,
si trovavano in questa nazione; si conta vi fossero 39 case e quattro
priorie. Ad Annecy, in Savoia, avevano la loro sede i fratres ospedalieri
del S. Sepolcro. Il priorato di Annecy, secondo il breve di Sisto IV
Provisionis nostrae del 24 maggio 1479, faceva parte dei domini sabaudi
insieme ai priorati di Riperpolio, di Stambiago, di Cavallermaggiore,
rispettivamente nelle diocesi di Ginevra, Ivrea e di Torino. A Caen esisteva
una casa dei cavalieri dell’ordine e una commenda a Montmorillon; il
canonico Bessières, nel 1780, compilò una storia sulla casa di Caen. Pietro
Vidal pubblicò uno studio sulla prioria di Marceval che dipendeva dal Gran
priorato
di S. Anna di Barcellona fin dal 1306.
1.2.4. Nell’Europa orientale
Il Vicariato dell’Ordine nell’Europa orientale era tenuto dal priorato di
Miechow che era il più antico; Jaxa Grifius, conte di Miechow in Polonia,
condusse dalla Terra Santa numerosi cavalieri e religiosi del S. Sepolcro e
nel 1162 fondò il convento di Miechow presso Cracovia.
L’ordine si propagò rapidamente, ebbe 20 case in Polonia, Slesia, Moravia e
Boemia.
Nei secoli XIV e XV il Priorato di Miechow era a capo dell’Ordine in
Polonia, Ungheria, Slavonia, Russia e Teutonia, come si rileva dal Breve di
Martino V del 29 maggio 1421.
1.2.5. In Germania
In Germania il Vicariato Generale aveva sede nel monastero di Denkendorf,
che esisteva fin dal 1125. Di tale monastero, infatti, si parla nel breve di
Onorio II del 27 gennaio 1125. Il maestro generale dell’arcipriorato
generale di Perugia, Cattaneo Traversari, divise il territorio tedesco, nel
1480, in due vicariati generali: uno per la bassa Alemagna, affidato a
Giovanni Abrouch, Prior Domus Montis S. Odilii Leodicensis Diocesis, e
l’altro per l’alta Alemagna, conservato al precedente vicario generale di
tutto l’Impero, Pietro preposto di Denkendorf. Il vicariato della bassa
Alemagna comprendeva le provincie e diocesi di Treviri, Colonia, Brema,
Tournay e Cambray; il vicariato dell’alta Alemagna era a capo delle restanti
province e diocesi dell’Impero, comprese le diocesi di Liegi, Munster e
Utrecht. A Bruges, nell’alta Alemagna, fu costruita nel 1435 una chiesa,
chiamata Cappella di Gerusalemme, del tutto simile alla chiesa del S.
Sepolcro di Gerusalemme; la costruì Pietro Adorne che recatosi a Gerusalemme
fu investito cavaliere e, dopo aver preso il rilievo della chiesa del S.
Sepolcro, volle ricostruirla in Bruges nelle misure e nell’aspetto
fedelmente riprodotta. Eugenio IV la elevò poi a parrocchia.
Molte chiese dedicate al S. Sepolcro furono fondate dall’ordine in Germania
o appartennero ad esso; tra queste quella di Santa Odile di Rerumonde,
citata nella bolla di Innocenzo VI del 20 marzo 1475; inoltre la chiesa e
convento di Kinrode presso Liegi, fondati da Clemente Abrouck nel 1484; il
S. Sepolcro di Neuwerstadt, fondato dal priore Giovanni Abrouck, che era
vicario generale del gran priore di Perugia e che fondò anche la chiesa del
S. Sepolcro di Gersten.
1.2.6. In Inghilterra
I cavalieri dell’Ordine si insediarono in Inghilterra intorno al secolo XII.
Sotto il regno di Enrico II Plantageneto, numerosi canonici e cavalieri si
trasferirono in Inghilterra stabilendosi a Warwich, fondando,
contemporaneamente, altri monasteri in Scozia e Irlanda. Nel 1174 il re
Enrico iniziò la costruzione della chiesa del S. Sepolcro di Cambridge e di
quella di Northampton. La devozione del re Enrico per il S. Sepolcro e la
sua particolare protezione all’Ordine fecero affermare ad alcuni storici che
fu proprio lui, dopo un suo viaggio in Palestina, a trasferire alcuni
cavalieri dell’Ordine in Inghilterra per perpetuare colà gli innumerevoli
servigi che l’Ordine rendeva in Palestina.
1.3. Considerazioni conclusive
L’Ordine del S. Sepolcro si estese quindi in tutta l’Europa e benché la sua
missione istituzionale fosse terminata, aveva assunto altrettanti doveri
caritatevoli e di propagazione della fede. Ogni Priorato comprendeva
canonici-cavalieri, fratres-cavalieri, conventi di canonichesse, chiese,
confraternite, donati, servitori, ecc. Non erano essi dunque composti di
soli canonici regolari, ma come tutti gli altri ordini sacro-militari,
avevano un organico misto di religiosi e di laici: i religiosi con vincolo
di vita conventuale e i laici aggregati nelle confraterie delle canoniche,
che si univano ai loro fratelli religiosi per le orazioni e per tutte le
incombenze dell’Ordine.
L’impegno che legava i componenti dell’ordine del S. Sepolcro di combattere
l’infedele per la conservazione della fede cristiana si fece pressante
all’inizio della seconda metà del XVI secolo. La guerra contro i turchi si
stava per riaccendere più viva che mai. Gli stati europei ormai erano
pacificati: i tedeschi con la pace interna di Augusta, l’impero spagnolo e
il papato con l’accordo del settembre 1557, la Spagna e la Francia con la
pace di Chateau-Cambresìs. Ovunque regnava la pace, meno che nel
Mediterraneo, ove la guerra contro i turchi, seppure interrotta da lunghe
pause, sopravviveva. Una guerra incostante, indecisa, oscura. La Spagna si
apprestava, cogliendo l’occasione di discordia tra i figli del sultano turco
Solimano, a ingaggiare la lotta definitiva contro gli infedeli. Per questa
ragione nel 1558, 20 cavalieri di varie nazioni, dell’Ordine del S.
Sepolcro, tennero capitolo nella chiesa di Hoogstraten presso Cambrai, per
riaffermare la volontà di combattere l’infedele ed eleggere come gran
maestro dell’Ordine un personaggio che, per qualità morali e di soldato,
potesse guidarli nella prova che li attendeva. La scelta cadde sul Re
Filippo II di Spagna. A questo capitolo prese parte, per procura, anche il
cavaliere del S. Sepolcro Andrea Doria, l’ammiraglio genovese prozio
dell’eroe della battaglia di Lepanto, Gian Andrea Doria.
Dal resoconto di tale capitolo vediamo che in esso si rievocarono le antiche
glorie dell’Ordine, si parlò della «nostrae religionis et Militiae» e gli
appellati «confratres et Milites Militiae» si dichiararono pronti a far
guerra agli infedeli «omnes et singulos infedeles, tam Turcas, Mauros,
Tartaros pro hostibus habemus iisdemque apertum ac perpetuum bellum
indicimus». I cavalieri si recarono poi, in processione, fino alla chiesa di
S. Caterina con l’uniforme e l’insegna dell’Ordine.
Il figlio di Filippo II, Don Carlos, fu nominato principe dell’Ordine, e Don
Pietro di Zarate commissario generale.
Nel frattempo a Gerusalemme si seguitava ad armare i cavalieri del S.
Sepolcro, fu questa catena senza fine che rinnovò ed animò di sempre nuova
vita l’Ordine nel corso dei secoli per cui il merito della continuità
dell’Ordine è senz’altro da attribuirsi alla custodia francescana di Terra
Santa, che per attuare, fra gli altri suoi compiti, il conferimento della
Milizia del S. Sepolcro doveva superare gravosi ostacoli principalmente ad
opera della popolazione maomettana. Nell’archivio francescano di Gerusalemme
si possono ancora oggi vedere i numerosi firmani e hogget, richiesti dai
francescani per porre qualche argine a vessazioni, violenze, angherie e
soprusi.
Essi operano incessantemente per secoli, e per secoli i cavalieri del S.
Sepolcro al loro ritorno in Europa propagandarono la sublime missione che
gli umili francescani andavano svolgendo in Terra Santa.
Lo Chateaubriand, cavaliere del S. Sepolcro, che fu in Palestina così definì
la funzione storica dei Francescani in Terra Santa: «Io mi sentivo commosso
alla vista di questa debole, ma invincibile milizia rimasta sola a guardia
del S. Sepolcro, quando i re l’avevano abbandonata. Soli, senza difesa, in
quel paese di straordinaria desolazione, tra le rovine di Gerusalemme,
trovarono nella fede il rigore per sormontare tanti orrori e miserie. Niente
poteva forzarli ad abbandonare il Sepolcro di Cristo, né deportazioni né
maltrattamenti, né minacce di morte. I loro cantici risuonavano di giorno e
di notte intorno a quella tomba. Spogliati il mattino dal governatore turco,
la sera li ritrovi ai piedi del Calvario a pregare. La loro fede è serena,
la loro bocca è ridente. Ricevono lo straniero con gioia, senza soldati
proteggono i villaggi contro l’iniquità. Donne, bambini, greggi, trovano
rifugio nei chiostri di questi solitari. La carità dei monaci é un baluardo
contro la rapacità dei pascià. Si privano delle ultime risorse della vita
per riscattare chi li supplica» (6).
CAPITOLO TERZO
NUOVO PERIODO
1. EPOCA CONTEMPORANEA
Agli inizi del secolo XIX, l’Ordine del S.
Sepolcro aveva man mano, per diverse cause, perso chiese, case, priorati,
protezioni. Era tornato, infine, alla sua originaria missione caritatevole;
le imprese militari, la vita conventuale, il voto di castità assoluta, la
frugalità, il digiuno, la rinuncia alle ricchezze e agli agi della vita,
restarono ricordi di un glorioso passato. La sua essenza di Ordine
sacro-militare era tuttavia rimasta. Vi fu, in questo secolo di riforme e di
lotte, un momento di sconforto e di smarrimento. Gli avvenimenti della
rivoluzione francese, che avevano fatto tremare tutta l’Europa, trasformato
istituzioni e distrutto consuetudini secolari, ebbero ripercussioni anche
sull’Ordine del S. Sepolcro, in misura meno grave tuttavia di quanto avvenne
ad altri Ordini cavallereschi alcuni dei quali scomparvero per sempre.
Ordini illustri come quello Malta erano costretti a esulare dapprima in
Russia, poi a Ferrara e poi in Sicilia. Dopo la Restaurazione l’Ordine del
S. Sepolcro cercò di stringere le fila e riorganizzarsi chiedendo conforto a
varie personalità, principi del sangue accettano l’Ordine del S. Sepolcro:
Ferdinando, principe ereditario di Toscana, nel 1844; Francesco, principe
ereditario regno delle due Sicilie, nel 1845, ed altri; ma oltre a ciò
occorreva rinsaldare questa Milizia, unirla sotto il comando di un
autorevole gran maestro.
Con l’azione riformatrice dei pontefici si apre un nuovo periodo di sviluppo
a di splendore per l’Ordine del S. Sepolcro.
1.1. Pio IX
Fu così che Pio IX, non appena la Santa Sede riuscì a stipulare un accordo
con la Sublime Porta, ripristinò nel 1847 con la bolla del 23 luglio “Nulla
Celebrior” il Patriarcato di Gerusalemme e sottopose l’Ordine del S.
Sepolcro al suo antico naturale capo, il patriarca di Gerusalemme.
Pio IX, con il Breve “Multa Sapienter” del 24 Gennaio 1868, riformò i vecchi
statuti e concesse, a «maggiore splendore e ampliamento» dell’Ordine, 3
gradi distintivi: Gran Croce, Commendatore, Cavaliere, esistendo, fin dal
tempo delle Crociate, un solo grado, e stabilì la forma delle decorazioni e
fissò il carattere dell’uniforme militare dell’Ordine.
Il Patriarca nominò anche una delegazione dell’Ordine, che doveva servire da intermediaria tra lui e la Santa Sede per gli affari straordinari. Il primo delegato del patriarca a Roma fu il conte Gaetano Agnelli di Malherbi di Urbino, ciambellano intimo di Pio IX; dopo la morte del conte Agnelli, fu nominato il conte Fabio Fani, la cui giurisdizione si estendeva su tutto lo Stato Pontificio, compresa la Toscana e gli antichi ducati di Modena e Parma. A Firenze, l’Ordine dei cavalieri del S. Sepolcro fu, fin dal 1850, ricostituito in Toscana tanto che all’arrivo in quella città, nel 1856, Pio IX fu scortato da cavalieri e il Papa nel suo discorso ricordò loro le antiche glorie dell’Ordine.
1.2. Leone XIII
Il 3 agosto 1888 Leone XIII, con Lettera Apostolica “Venerabilis Frater”
estese alle Dame l’onore di appartenere all’Ordine del S. Sepolcro
innovazione puramente apparente, poiché, in effetti, era un ritorno
all’antico, giacché nel secolo XVII ed anche prima esistevano in seno
all’Ordine le Canonichesse del S. Sepolcro; pertanto, l’elezione delle Dame
rappresentava la continuazione ideale di un’antica tradizione: continuare
l’opera delle donne del Vangelo, seguaci di Gesù fino alla Croce.
1.3. Pio X
Nel 1906 Pio X, con la Bolla “Quam Multa” del 3 maggio 1907, assimilò
l’Ordine nella decorazione, agli altri Ordini sacro-militari, decorandolo
del trofeo militare e riservando alla persona del papa il Gran Magistero.
La Lettera Apostolica, in forma di Breve, con la quale l’insegna dell’Ordine
è decorata del trofeo militare, così venne concepita dal Papa Santo: «A
dimostrare pienamente la Nostra volontà a tutto l’Ordine, ci piace di
permettere, in via di Grazia, e in segno del Nostro amore paterno, che
coloro i quali sono ascritti all’Ordine Equestre, adornino l’insegna
dell’Associazione col trofeo militare da porsi nella parte superiore, in
modo che da esso penda la Croce propria dell’Ordine, attaccata al nastro di
seta marezzata di color nerastro» (1). Inoltre, nello stesso breve, Pio X
approvava che «secondo il bisogno, di ciascuna regione, venissero scelti e
stabiliti alcuni dell’Ordine i quali, in ciò che riguarda l’Ordine stesso,
facciano le veci del Patriarca e ne rappresentino pubblicamente la persona».
Il Gran Maestro approvava così l’istituzione del Luogotenente; inoltre ai
cavalieri diede il privilegio della tribuna nelle Cappelle Papali.
1.4. Benedetto XV
Benedetto XV, confermando quanto già concesso all’Ordine dai suoi
predecessori, autorizzò l’accollamento della croce allo stemma degli alti
prelati facenti parte dell’Ordine del S. Sepolcro.
All’Ordine del S. Sepolcro fu riconosciuto il pieno diritto di appellarsi
Ordine Equestre del S. Sepolcro, con l’aggiunta di Gerusalemme. Inoltre
venne stabilito che la cancelleria dei brevi apostolici della S. Sede
apponesse il suo Visum e sigillo sul diploma di nomina dei nuovi cavalieri
quale condizione necessaria per il riconoscimento ufficiale della nomina
stessa. Venne infine confermato il diritto dell’Ordine ad avere
luogotenenze, capitoli, gran priorati, sezioni e delegazioni.
1.5. Pio XI
Pio XI che all’altissima fede e all’amore per le opere di Terra Santa univa
un mirabile senso storico, con la Bolla “Decessores nostri” del 6 gennaio
1928, completò l’Opera dei suoi predecessori.
In questo suo documento richiamò, in rapida sintesi, i precedenti storici e
legislativi dell’Ordine, la cui antichità è confermata ufficialmente dalle
parole “Equites S. Sepulcri iam antiquitate commendati”.
Quindi, abolì tutti i documenti pontifici emessi prima di Pio IX e diede
all’Ordine un’assoluta autonomia, che lo riportava di fatto alle sue
origini, ma restava sempre sotto la benevola protezione della Santa Sede.
Rinunciò pertanto al gran magistero, assunto da Pio X, tenuto anche da
Benedetto XV e da lui stesso fino a tutto il 1927. Costituì Capo Supremo
dell’Ordine, con la qualifica di Rettore e Amministratore pro tempore, il
patriarca latino di Gerusalemme. Il quale poteva così conferire i gradi
dell’Ordine, non più per delega pontificia, ma in forza della sua stessa
carica e per propria autorità. Il Pontefice, riconoscendo anche
l’importanza, assunta dall’Opera per la Preservazione della Fede in
Palestina, decise che questa e l’Ordine del Santo Sepolcro, che erano due
Istituzioni egualmente ispirate dalla comune fede, egualmente illuminate da
un medesimo ideale, egualmente consacrate all’esercizio di opere caritative,
si unissero e formassero quasi un solo corpo, da governarsi unicamente dal
patriarca.
Le due opere abbinate avrebbero potuto meglio intensificare l’apostolato per
la salvaguardia del Vangelo in Terra Santa. L’Ordine del Santo Sepolcro
dette all’Opera per la Preservazione della Fede in Palestina un grande
sviluppo, costruendo nuovi edifici di culto ed educativi, oltre a numerose
altre opere.
Il patriarca di Gerusalemme, mons. Luigi
Barlassina, di fronte a queste felici realizzazioni dell’Ordine, ritenne
opportuno incrementarlo e diffonderlo nelle varie parti del mondo. Pio XI
volle anche riformare lo statuto. Abrogati tutti i precedenti, il nuovo
venne approvato nell’udienza del 2 marzo 1932 e pubblicato dalla Sacra
Congregazione del Cerimoniale il 19 marzo dello stesso anno.
L’Ordine del Santo Sepolcro, in questo nuovo ordinamento, viene considerato
di Merito, di subcollazione pontificia. Vennero anche istituiti dei Centri
dell’Ordine in città italiane e all’estero: a Roma, Milano, in Francia,
Germania, Ungheria, Polonia, Spagna, Austria, America Latina, Medio Oriente.
Sorsero pure delle Luogotenenze per allacciare meglio i rapporti.
Nel 1930, ancora una volta, fra l’Ordine di Malta e quello del Santo
Sepolcro nacque una controversia, che determinò l’intervento del Pontefice.
Per amor di storici, dobbiamo un poco accennare anche a queste lotte. Poteva
l’Ordine del S. Sepolcro intitolarsi sacro, militare, gerosolimitano, darsi
un gran magistero, luogotenenze, capitoli, priorati, balì? Questi ultimi,
poi, secondo le costituzioni dell’Ordine modificate da Pio XI, erano stati
nominati in ogni Paese.
No, per l’Ordine di Malta, dato che queste attribuzioni sarebbero state
usurpate e gli appartenevano. Pio XI, allora, sottopose la questione ad una
Commissione Cardinalizia.
Il 5 agosto 1931, la Sacra Congregazione del Cerimoniale promulgò, con
l’approvazione del Santo Padre, il decreto che così disponeva.
Alla denominazione ufficiale “Ordine Equestre del Santo Sepolcro”, per
benigna concessione di Sua Santità Pio XI, venne aggiunta in fine
l’attribuzione di Gerusalemme, in modo che la denominazione fu così
stabilita: “Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme”.
Non poteva però intitolarsi sacro, militare, gerosolimitano, né il patriarca
poteva assumere il titolo di gran maestro, né quello di balì i
rappresentanti regionali dell’Ordine.
Ebbe tuttavia confermato il diritto ad avere luogotenenze, capitoli, ecc.
Con lo stesso decreto del 5 agosto 1931 fu prescritto al patriarca latino di
Gerusalemme di comunicare, volta per volta, i nomi dei nuovi membri
dell’Ordine alla Cancelleria dei Brevi Apostolici, presso la Santa Sede,
perché questa, ove nulla avesse ad osservare in contrario, prendesse atto e
vi apponesse il suo visum e il sigillo sul diploma per la validità della
nomina, condizione necessaria per il riconoscimento ufficiale delle
decorazioni dell’Ordine da parte dei governi che avevano relazioni
diplomatiche con la Santa Sede.
È da ricordare anche che, nel 1932, fu creato un Referendario, per stabilire
un costante collegamento tra la Santa Sede e il Patriarcato di Gerusalemme.
Nello stesso anno, si tenne a Gerusalemme il primo congresso mondiale dei Cavalieri del Santo Sepolcro.
1.6. Pio XII
Anche Pio XII si occupò in modo particolare dell’Ordine del Santo Sepolcro.
Prima di tutto, con Breve del 16 luglio 1940, a causa delle vicende della
seconda guerra mondiale, della lontananza del Patriarca di Gerusalemme e
della rinuncia dello stesso patriarca, Mons. Luigi Barlassina, nominò
protettore dell’Ordine il cardinale Canali, conferendogli anche speciali
poteri per il periodo bellico e durante la sede vacante. Il patriarca
Barlassina, presago della funesta sorte della Palestina, pregò Pio XII, di
assegnare un patrono all’Ordine del S. Sepolcro nella persona di un
cardinale; patrono che avrebbe potuto meglio di lui vigilare in caso di
guerra, sulle sorti dell’Ordine; il Cardinale Canali tra grandi difficoltà
resse l’Ordine nel periodo bellico.
La fine della guerra vide l’Ordine del Sepolcro smembrato e impoverito, ma
già in pieno fervore di rinascita.
Era il tempo di riprendere l’antica Missione di carità dei cavalieri del S.
Sepolcro. Il 15 agosto 1945, il grande Pontefice, memore dei molti servizi
resi alla Chiesa dai cavalieri del S. Sepolcro e volendo pure dotare
l’Ordine di un centro spirituale, Motu Proprio, gli assegnò a Roma la chiesa
e l’annesso cenobio di S. Onofrio al Gianicolo, dove è sepolto il Tasso. Qui
sono ancora vivi i ricordi del poeta che, nella Gerusalemme Liberata, cantò
le gesta compiute dall’esercito cristiano nella prima crociata per la
liberazione del Santo Sepolcro.
Sempre Pio XII, al fine di assicurare all’Ordine un rinnovamento, una
maggiore efficienza e anche per renderlo più adatto ai tempi, dopo vari
studi, con il Breve “Quam Romani Pontifices” del 14 settembre 1949, emise un
nuovo Statuto, pubblicato il 15 gennaio 1950.
Il Gran Magistero dell’Ordine, reso indipendente e posto sotto la protezione
della Santa Sede, fu trasferito definitivamente da Gerusalemme a Roma,
presso il cenobio di S. Onofrio al Gianicolo, che divenne la sede centrale a
tutti gli effetti. La sede storica rimase, naturalmente, a Gerusalemme.
I nuovi Statuti inoltre stabilivano anche che il pontefice avesse il diritto
di nominare alla suprema dignità, con la qualifica di gran maestro, un
cardinale di Santa Romana Chiesa.
Primo gran maestro della nostra epoca fu il cardinale Nicola Canali, cui
seguirono gli eminentissimi porporati Eugenio Tisserant, Massimiliano de
Fiirstenberg, Giuseppe Caprio, attualmente l’altissima carica è ricoperta
dal cardinale Carlo Furno.
Il patriarca latino di Gerusalemme divenne gran priore, con speciali
facoltà. Pertanto, Sua Beatitudine Mons. Michel Sabbah, di origine araba, in
forza del suo ufficio patriarcale, è il Gran Priore.
È veramente un segno dei tempi. Infatti, dalla ricostituzione del
Patriarcato Latino, deciso da Pio IX nel 1847, si succedettero a Gerusalemme
sette patriarchi, tutti italiani.
Noteremo ancora qui che, nel 1949, venne approntato dalla Sacra
Congregazione dei Riti il nuovo cerimoniale per l’investitura delle Dame.
Infine, diremo che anche Pio XII, come altri pontefici, sentì il bisogno di
richiamare l’attenzione sulle specifiche finalità dell’Ordine del Santo
Sepolcro: la conservazione e la propagazione della fede in Palestina e
l’assistenza alle opere e istituzioni caritative, culturali e sociali del
Patriarcato Latino di Gerusalemme.
1.7. Giovanni XXIII e Paolo VI
Pure i Sommi Pontefici Giovanni XXIII e Paolo VI manifestarono speciali
segni di stima, di benevolenza e di interesse per l’antica Milizia. Giovanni
XXIII, con proprio Breve dell’8 dicembre 1962, rese esecutivo
l’aggiornamento dello Statuto e nello stesso tempo approvò il nuovo
cerimoniale d’investitura, che la Sacra Congregazione dei Riti aveva
predisposto i1 25 luglio dello stesso anno.
Paolo VI, con il Breve del 19 novembre 1967, diede il suo assenso definitivo
a qualche modifica dello Statuto, che era già stata accolta dalla Lettera
Apostolica del 19 maggio 1966. L’attuale Statuto, con le variazioni
apportate dal Breve di Paolo VI, porta la data dell’8 luglio 1977.
1.8. Attualità dell’Ordine
Lo Stato Italiano, con R.D. del 10 luglio 1930, n. 974, concesse
l’autorizzazione all’uso delle onorificenze dell’Ordine Equestre del S.
Sepolcro.
Il 5 ottobre 1926 moriva a Pompei il Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine,
Bartolo Longo, che salirà, poi, agli onori dell’altare. Nel suo testamento,
dato che, fin dal 1907, tutto aveva donato al Papa, volle sottolineare che
ancora qualcosa aveva da donare: «...Alle figlie dei carcerati, ultimo voto
vivente e sogno più caro del mio cuore lascio la Gran Croce del S.
Sepolcro...».(2)
I cavalieri del S. Sepolcro, con la
beatificazione di questo loro confratello che spese la vita per la carità e
per l’apostolato, ebbero ancora fulgido esempio di sprone per vieppiù
dedicarsi a soccorrere le miserie materiali e spirituali della famiglia
umana.
L’Ordine del S. Sepolcro dette all’Opera della preservazione della fede in
Palestina uno sviluppo nuovo, riuscendo a costruire numerosi edifici di
culto ed educativi, come la chiesa di Cristo Re in Amman, con annesse scuole
maschili e femminili ed il seminario di Beit-Jala; nella valle di Serech
innalzò una statua in rame alta sette metri dedicata alla Beatissima
Vergine; inviò numeroso macchinario e arnesi agricoli all’orfanotrofio unito
al santuario di Nostra Signora Regina di Palestina in Rafat; restaurò la
cripta nella monumentale chiesa del S. Sepolcro.
A Roma e Milano ed a Napoli si insediarono i centri ufficiali dell’Ordine in
Italia. Furono create Luogotenenze nei vari paesi; per curare i rapporti fra
le varie Luogotenenze e per sviluppo dell’Ordine, fu incaricato un alto
dignitario con il titolo di referendario, per molti anni ricoperto da S.E.
il Marchese Mario Mocchi.
Centri dell’Ordine sorsero in varie città italiane, mentre la Luogotenenza
per l’Italia fu stabilita in Milano e affidata a S.A.R. il Duca di Bergamo.
Altri Centri furono fondati, tra l’altro, in Francia, Germania, Ungheria,
Polonia, Spagna, Austria, America Latina, Medio Oriente. Purtroppo questa
espansione si fermò con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.
Oggi, l’Ordine del S. Sepolcro ha al suo attivo decine di Istituzioni svolge
un’attività intensa sotto la guida del suo Gran Maestro, S.R.E. Cardinale
Furno che è succeduto a S.R.E Cardinale Massimiliano de Furstenberg. Lo
Statuto dell’Ordine è stato aggiornato sia per precisarne la personalità
giuridica e la protezione della S. Sede, sia per sviluppare maggiormente il
carattere internazionale dell’Ordine stesso, inoltre si è prevista
l’estensione degli aiuti dell’Ordine a tutte Opere Cattoliche di Terra
Santa. Sua Santità Giovanni XXIII, con breve dell’8 dicembre 1962, ha
approvato tale Statuto. Infine il Pontefice Paolo VI nel 1977, ha promulgato
il vigente Statuto dell’Ordine ulteriomente coordinato sulle basi delle
attuali esigenze.
I Cavalieri del S. Sepolcro, sono oggi impegnati a sollevare, innumerevoli
miserie morali e materiali che ancora una volta hanno colpito la Terra
Santa, dilaniata da un conflitto che comporta tante afflizioni e
interrogativi per le Opere Cattoliche, sorte nei vari secoli a testimonianza
e gloria della Chiesa di Roma e dei suoi fedeli Cavalieri del S. Sepolcro di
Gerusalemme.
Oggi più che mai splende il simbolo dell’Ordine: in Austria, Belgio,
Germania, Inghilterra, Olanda, Portogallo, Spagna, Svizzera, Argentina,
Brasile, Canadà, Colombia, Costa Rica, El Salvadoro, Equador, Honduras,
Messico, Stati Uniti, Angola, Uganda, Cina-Taiwan, Filippine, Hong Kong, e
Vietnam del Sud, le cinque Croci rosse, segni reali di vita con i quali i
Cavalieri di ieri e di oggi si riconoscono pii figli della Santa Sede
Apostolica, con la serena certezza che solo la Croce dà la salvezza.
Oltre otto secoli di Storia danno all’attuale
Ordine del S. Sepolcro vivo splendore, impreziosito ancor più dalle opere
caritatevoli dei suoi antichi e recenti figli. Oggi che viviamo in un mondo
negatore dei più valori spirituali, ci si accorge dell’enorme importanza
dell’avvenimento fondamentale di tutta l’umanità, la Redenzione, che ora più
che mai, fornisce la risposta a tanti affanni. Paolo VI ha invitato tutta la
famiglia umana, a riflettere su questa Redenzione, al suo valore infinito, a
ringraziare e profittarne; a volgere lo sguardo alla Croce. I Cavalieri del
S. Sepolcro, che della Croce si fregiano e del Sepolcro Santissimo si
definiscono figli e custodi concordi nella preghiera, nella memoria della
grandezza dell’Ordine e nelle virtù religiose e civili di oggi, innalzano il
loro pensiero, con S. Pio X e con il Beato Bartolo Longo, alla Croce che è
salvezza, vita e resurrezione.
Così ospedali, chiese, asili, case di assistenza per minori ed anziani e
soprattutto scuole di ogni ordine e grado, ivi compresa l’Università di
Betlemme, sono sostenuti dall’Ordine, che in questo drammatico periodo ha
intensificato gli aiuti. Nelle scuole del Patriarcato sono circa
diciottomila i giovani che studiano fianco a fianco, di religione cattolica,
musulmana ed ebraica crescendo assieme in pacifica convivenza.
Se quanto sta, da anni, realizzando l’Ordine in Palestina, fosse stato preso
ad esempio dalla comunità internazionale, forse non saremmo giunti alle
tragiche vicende attuali.
L’atteggiamento della Chiesa, nei confronti dell’Ordine, è stato sempre
estremamente chiaro, ribadito anche recentemente: «siamo autorizzati a
confermare quanto già pubblicato in passato dal nostro giornale: la Santa
Sede, oltre ai propri Ordini Equestri, riconosce e tutela due soli Ordini
cavallereschi: il Sovrano Militare Ordine di Malta e l’Ordine Equestre del
Santo Sepolcro di Gerusalemme» (Osservatore Romano del 4 luglio 2002).
Analogamente l’ordine è ufficialmente riconosciuto dallo Stato italiano. In
Italia, in virtù del Concordato per i rapporti tra Chiesa e Stato del 1929,
con l’art. 41 si stabilì: «L’Italia autorizza l’uso delle onorificenze
pontificie, mediante registrazione del brevetto di nomina, da darsi su
presentazione del brevetto stesso e domanda scritta dell’interessato».
Gli Ordini Equestri Pontifici, dei quali può essere autorizzato l’uso delle
onorificenze nel territorio della Repubblica sono: l’Ordine Supremo del
Cristo, l’Ordine dello Speron d’Oro, l’Ordine Piano, l’Ordine di San
Gregorio Magno, l’Ordine di San Silvestro Papa.
Venne data attuazione dell’art. 41, divenuto un obbligo di diritto
internazionale, con il R.D. 10 luglio 1930, n. 974, che prevedeva appunto
l’emanazione di un decreto del Capo dello Stato, su proposta del Presidente
del Consiglio dei Ministri. Con lo stesso decreto venne prevista analoga
procedura per 1’autorizzazione all’uso delle onorificenze dell’Ordine
Equestre del Santo Sepolcro, Ordine sotto la protezione della Santa Sede.
Dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme si occupa pure l’art.
7, terzo comma, della legge del 3 marzo 1951, n. 178, che recita
testualmente: «L’uso delle onorificenze e delle decorazioni e distinzioni
cavalleresche della Santa Sede e dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di
Gerusalemme continuerà ad essere regolato dalle analoghe disposizioni
vigenti, cioè dal R.D. del 10 luglio 1930, n. 974, già ricordato».
Per ottenere l’omologazione dell’onorificenza da parte dello Stato italiano,
occorre inoltrare domanda, in carta legale, tramite la Prefettura di
residenza, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, unendo copia
fotostatica del diploma magistrale di nomina, con autentica e certificato di
nascita in bollo.
Dopo che saranno state espletate le formalità previste, verrà rilasciato e
trasmesso, tramite la medesima Prefettura, il diploma di omologazione
dell’onorificenza del Presidente della Repubblica Italiana.
L’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme venne riconosciuto anche
dall’International Commission of Ordres of Chivalry, con sede ad Edimburgo
(Scozia), che lo incluse fra gli Ordini semi-indipendenti.
CAPITOLO QUARTO
VALORE STORICO TEOLOGICO
DEL SANTO SEPOLCRO DI GERUSALEMME
1. NON È SOLO UNA TOMBA
Il Santo Sepolcro di Gerusalemme da cui l’Ordine prende il nome, non è
soltanto
la tomba che ci ricorda il luogo dove Cristo è stato deposto, così come la
croce delle insegne crociate non ci ricorda solo il sacrificio di Cristo;
sono luoghi
teologici pregni di valore spirituale e culturale, di vita e di speranza, da
dove Cristo
è resuscitato ed ha lanciato al mondo ed alla storia il suo grido di
redenzione.
Il non trascenderli vuol dire fermarsi al venerdì santo, vuol dire non
comprendere
perché Cristo è il kuvrio", vuol dire non aver capito le parole
dell’apostolo
Paolo che ci ricorda: «se però Cristo non è risorto vano è il nostro
annuncio, e
vana la vostra fede» (1 Cor 15, 14).
Solo in questa realtà la speranza ci permea perché la sola croce senza la
domenica
di resurrezione renderebbe privo di valore ciò che l’unico maestro ci
dice: «Io sono la via, la verità, la vita» (Gv 14, 6a) ed allora veramente
saremmo
«orfani e soli» (cf. Gv 14,18)
La spiritualità dell’Ordine con la sua nobile tradizione storica, con il suo
orientamento alla Terra Santa, non può quindi comprendersi senza entrare
nell’ermeneutica
del significato dei termini che gli sono costitutivi ovvero Santo Sepolcro
e Gerusalemme e senza conoscere in profondità il simbolismo militare.
1.1. Santo Sepolcro (1)
L’importanza del S. Sepolcro è legata indissolubilmente al concetto di
esperienza.
Esperienza termine di etimologia latina ex-perior, ovvero una parola
composta
dalla preposizione ex = da dove e dal sostantivo perior che può avere
duplice
valenza o derivante dal termine peritus indicante conoscenza diretta o
derivante
dal termine periculum indicante il rischio, attenzione a ciò che è
impedimento. In
effetti esperienza viene tradotta in tedesco con er-fahrung, lingua a radice
indoeuropea, termine che esplicita in due parole una conoscenza legata a due
concetti che sembrano antitetici: conoscenza immediata e continuata,
conoscenza come rischio e novità; ovvero l’esperienza è una conoscenza
sebbene legata al pericolo del viaggio in un paese straniero. Jonathan Swift
nel suo libro “I viaggi di Gulliver” rende mirabilmente tale visione.
Quindi l’esperienza come orizzonte ermeneutico della riflessione e a maggior
ragione della riflessione su Cristo per due motivi:
a) perché riporta al concreto la riflessione su Cristo, per lungo tempo si è
tentati di separare la teologia dalla spiritualità come se non fossero la
stessa cosa. Ciò di cui si è fatta esperienza, ciò che ci tocca non è
esercitazione accademica ma mistagogia;
b) perché l’esperienza è più disponibile all’uso della narratività:
all’origine della nostra fede ci sono dei racconti, il Vangelo come
narrazione. Questo significa fare memoria in maniera aperta e performativa.
Ovvero si tratta di un racconto mai concluso, che presuppone si un inizio ed
una fine, ma che produce un effetto, incide nel momento stesso che dice,
incide nella vita pratica; il racconto cioè crea racconto, la vita stessa di
chi ascolta il racconto diventa essa stessa racconto.
Centrale nella cristologia narrativa sono quindi delle domande che il
cristiano deve porsi e a maggior ragione il Cavaliere del Santo Sepolcro, il
custode di quel luogo dove il racconto diventa esperienza del Risorto.
Diventa quindi fondamentale la domanda: perché è così importante per noi il
ritorno a quella esperienza delle origini, il ritorno ai luoghi santi, il
pellegrinaggio, il Santo Sepolcro dove tutto comincia per noi?
Ovvero la domanda ci pone al centro dell’evento apocalittico-escatologico
che si situa in una esperienza di chi è stato coinvolto, di chi cioè ha
fatto un incontro originario che segna in maniera forte. Credo che tra i
molteplici canali ermeneutici che ci veicolano, fondandola, l’esperienza
originaria del Risorto debbono essere particolarmente evidenziati per i
cavalieri del Santo Sepolcro soprattutto due: i racconti delle apparizioni e
quelli del sepolcro vuoto.
1.1.1. Racconti delle apparizioni
Negli scritti del Nuovo Testamento si leggono ben 5 tradizioni quelle dei 4
evangelisti più quella paolina:
PAOLO (1 Cor 15, 3-8): 3 Vi ho infatti trasmesso, anzitutto, quello che ho
ricevuto che Cristo morì per i nostri peccati secondo le scritture 4 e che
fu sepolto e che è stato resuscitato il terzo giorno secondo le Scritture 5
e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. 6 In seguito apparve a più di
cinquecento fratelli in una volta: la maggior parte dei
quali vive ancora, mentre alcuni sono morti. 7 Poi apparve a Giacomo quindi
a tutti gli apostoli. 8 Ultimo poi tra tutti come a un aborto apparve a me.
MARCO (16, 9-20): 9 Risorto al mattino del primo giorno della settimana,
apparve
prima a Maria Maddalena, dalla quale aveva scacciato sette demòni. 10 Ella,
a sua volta, andò ad annunciarlo a coloro che erano stati con lui, ed erano
afflitti e
piangevano. 11 Ma essi, udito che era vivo ed era stato visto da lei, non
credettero.
12 Dopo queste cose apparve sotto altra forma a due di loro, mentre erano in
cammino
verso la campagna. 13 Anche questi tornarono indietro per annunciarlo agli
altri; ma non credettero neppure ad essi. 14 Finalmente apparve agli Undici
mentre
erano a tavola e li rimproverò della loro incredulità e durezza di cuore,
poiché non
avevano creduto a coloro che lo avevano visto risorto. 15 Poi disse loro:
“Andate
per tutto il mondo ed annunciate la buona novella a tutta la creazione. 16
Chi crederà
e si farà battezzare sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. 17
Questi
i segni che accompagneranno i credenti: nel mio nome scacceranno i demòni,
parleranno lingue nuove 18 prenderanno in mano serpenti e, se avranno bevuto
qualcosa di mortale, non nuocerà loro, imporranno le mani agli infermi e
questi saranno
risanati”. 19 Il Signore Gesù, dopo aver parlato loro, fu assunto in cielo e
sedette
alla destra di Dio. 20 Essi, poi, se ne andarono a predicare dappertutto,
mentre
il Signore operava con loro e confermava la parola con i segni che li
accompagnavano.
MATTEO (28, 9-10): 9 Ed ecco Gesù venne loro incontro dicendo:
“Rallegratevi!”.
Esse allora avvicinatesi, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono. 10
Allora
Gesù disse loro: “Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che
partano per
la Galilea; là mi vedranno”.
MATTEO (28, 16-20): 16 Gli undici discepoli se ne andarono in Galilea, sul
monte, nel luogo indicato loro da Gesù. 17 Al vederlo lo adorarono; alcuni
invece
dubitarono. 18 Allora Gesù disse loro: “Ogni potere mi è stato dato in cielo
ed in
terra. 19 Andate dunque e fate discepole tutte le genti, battezzandole nel
nome del
Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, 20 insegnando loro ad osservare
tutto ciò
che vi ho comandato. Ed ecco: io sono con voi tutti i giorni fino alla fine
del
mondo”.
LUCA (24, 13-53): 13 In quello stesso giorno, due di loro erano in cammino
verso un villaggio, detto Emmaus, distante circa sessanta stadi da
Gerusalemme,
14 e discorrevano di tutto quello che era accaduto. 15 Mentre discorrevano,
Gesù
stesso si accostò e camminava con loro. 16 Ma i loro occhi non seppero
riconoscerlo.
17 Ed egli disse loro: “Che discorsi sono questi che vi scambiate l’un
l’altro,
camminando?” E si fermarono tristi. 18 Uno di loro, di nome Cleopa, gli
disse: “Tu
solo sei così straniero in Gerusalemme da non sapere le cose che vi sono
accadute in questi giorni?”. 19 Domandò: “Quali cose?”. Gli risposero:
“Quelle riguardo Gesù, il Nazareno, che era un profeta potente in opere e in
parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; 20 come i capi dei sacerdoti e i
nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi lo hanno
crocifisso. 21 Noi speravamo che fosse lui quello che avrebbe liberato
Israele. Ma siamo già al terzo giorno da quando sono accaduti questi fatti.
22 Tuttavia alcune donne tra noi ci hanno sconvolti. Si sono recate di buon
mattino al sepolcro 23 e non hanno trovato il suo corpo. Sono venute a dirci
di aver avuto una visione di angeli, i quali affermavano che egli è
vivo. 24 Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato tutto
come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto”. 25 Allora egli disse
loro: “O stolti e tardi di cuore a credere a quello che hanno detto i
profeti! 26 Non doveva forse il Cristo patire tutto questo ed entrare nella
sua gloria?”. 27 E cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro
quanto lo riguardava in tutte le Scritture. 28 Quando furono vicini al
villaggio dov’erano diretti, egli finse di proseguire. 29 Ma essi
insistettero: “Resta con noi, perché si fa sera ed il giorno già volge al
declino”. Egli entrò per rimanere con loro. 30 Quando fu a tavola con loro,
prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. 31 Ed ecco
si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista.
32 E si dissero l’un l’altro: “Non ardeva forse il nostro cuore quando lungo
la via ci parlava e ci spiegava le scritture?”. 33 Quindi si alzarono e
ritornarono subito a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e quelli
che erano con loro, 34 i quali dicevano: “Il Signore è veramente risorto ed
è apparso a Simone”. 35 Essi raccontarono ciò che era accaduto lungo la via
e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane. 36 Mentre parlavano di
queste cose, Gesù stette in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. 37
Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. 38 Ma egli
disse loro: “Perché siete turbati? E perché sorgono dubbi nei vostri cuori?
39 Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi ed
osservate: un fantasma non ha carne ed ossa, come vedete che io ho”. 40 E
mentre diceva queste cose, mostrava loro le mani ed i piedi. 41 Ma poiché
per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, egli disse
loro: “Avete qualcosa da mangiare?” 42 Gli offrirono una porzione di pesce
arrostito. 43 Egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. 44 Poi disse: “Era
proprio questo che vi dicevo quando ero ancora con voi: bisogna che si
adempia tutto ciò che di me sta scritto nella legge di Mosè, nei Profeti e
nei Salmi”. 45 Allora aprì loro la mente all’intelligenza delle Scritture.
46 Ed aggiunse: “Così sta scritto: il Cristo doveva patire ed il terzo
giorno risuscitare dai morti; 47 nel suo nome saranno predicati a tutte le
genti genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da
Gerusalemme. 48 Voi sarete testimoni di tutto questo. 49 Ed ecco, io manderò
su di voi quello che il Padre mio mi ha promesso. Voi però restate in città,
fino a quando non sarete rivestiti di potenza dall’alto”. 50 Poi li condusse
fuori, verso Betania e, alzate le mani, li benedisse. 51 Mentre li
benediceva, si separò da loro e veniva portato verso il cielo. 52 Ed essi,
dopo averlo adorato, se ne tornarono a Gerusalemme con grande gioia. 53 E
stavano sempre nel tempio lodando Dio.
GIOVANNI (20, 19-29): 19 La sera di quello stesso giorno, il primo della
settimana, mentre le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per paura
dei Giudei erano chiuse, venne Gesù, stette in mezzo a loro e disse: “Pace a
voi!”. 20 E, detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. Si rallegrarono
i discepoli, vedendo il Signore. 21 Poi disse loro di nuovo: “Pace a voi!
Come il Padre ha mandato me, così io mando voi”. 22 Detto questo, soffiò su
di loro e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo: 23 a chi rimettete i
peccati, sono loro rimessi; a chi li ritenete, sono ritenuti”. 24 Tommaso,
uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù. 25 Gli
dissero gli altri discepoli: “Abbiamo visto il Signore!” Ma egli disse loro:
“Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel
segno dei chiodi, e non metto la mia mano nel suo fianco, non crederò” 26
Otto giorni dopo i suoi discepoli erano di nuovo in casa e Tommaso stava con
loro. Viene Gesù a porte chiuse, stette in mezzo a loro e dice: “Pace a
voi!”. 27 Poi dice a Tommaso: “Metti il tuo dito qui e guarda le mie mani,
porgi la tua mano e mettila nel mio fianco, e non essere più incredulo, ma
credente”. 28 Rispose Tommaso e gli disse: “Signore mio e Dio mio!”. 29 Gli
disse Gesù: Perché mi hai visto hai creduto? Beati coloro che hanno creduto
senza vedere!”.
GIOVANNI (21, 1): 1 In seguito Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul
mare di Tiberiade.
Questi racconti sono stati sempre un problema
interpretativo, cronologico e teologico: è impossibile armonizzarne i dati.
Quello che però interessa è la struttura comune, struttura funzionale al
veicolo di un messaggio: quel Gesù che è stato crocifisso è il Cristo
risorto. In tutti i racconti si possono distinguere tre elementi:
a) iniziativa del Risorto: è Gesù che appare;
b) riconoscimento del Risorto quale Gesù di Nazareth;
c) missione che scaturisce dal riconoscimento del Risorto quale il Cristo.
1.1.1.1. Iniziativa del risorto
Atti 1,3: Ad essi si era mostrato vivente dopo la sua passione, con molti
segni: per quaranta giorni era apparso loro e aveva parlato del regno di
Dio. Il verbo che più spesso viene usato è wfθh da oJravw. Tale verbo
in forma passiva indica il venir visto in forma media il farsi vedere.
L’interpretazione passiva è quella sostenuta dai “liberali” che
attribuiscono ai discepoli l’azione del vedere ovvero Gesù venne visto, atto
quindi interno dei discepoli, sono loro che creano la resurrezione (per
Renan è l’esaltazione di una
donna).
L’interpretazione corretta è quella media. Tale verbo, come del resto tutti
i verbi di valenza teologica, non è usato a caso; nei LXX è usato sempre in
forma media per indicare la teofania, il farsi vedere di Dio. Pertanto è
questa tradizione veterotestamentaria che informa filologicamente il Nuovo
Testamento. Ed è a questa lettura filologica, non ideologica
dell’ermeneutica della soggettività che dobbiamo attenerci. Per di più Luca
utilizza il termine zw‘nta cioè vivente, è un qualcosa che avviene in loro
ma ad extra cioè non da loro. Questa è l’origine della fede pasquale; è la
fede pasquale che viene motivata dalle apparizioni e non viceversa.
1.1.1.2. Riconoscimento
Questo è un processo che passa attraverso 3 fasi: dubbio, parola o gesto di
Gesù, riconoscimento e confessione. Queste tre fasi ci dicono che
l’esperienza originaria è quindi anche una esperienza soggettiva, esperienza
che passa anche attraverso il dubbio, esige cioè un cammino progressivo, una
gradualità dell’assenso ma sempre nel rispetto della libertà. Questo
carattere soggettivo dell’incontro che passa attraverso il riconoscimento di
Gesù nella carne è fondamentale sia perché rispetta la mentalità semita
della totalità dell’essere sia perché ha significato escatologico: anche la
nostra carne risorgerà attraverso la carne di Cristo attraverso la particola
consacrata in bocca.
1.1.1.3. Missione
Atti (10, 40-42): 40 Ma Dio l’ha risuscitato il terzo giorno e volle che si
manifestasse 41 non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a
noi, che abbiamo mangiato e bevuto insieme a lui dopo la sua resurrezione
dai morti. 42 E ci ha ordinato di annunciare al popolo e di testimoniare che
egli è il giudice dei vivi e dei morti costituito da Dio.
L’incontro è un incontro che trasforma, non deve rimanere nell’intimo, da
origine alla testimonianza, alla missione cristiana con un cambiamento di
vita. Perché l’annuncio è confessione del Risorto, al centro c’è
l’esperienza pasquale.
Da questo momento si procede ad una rilettura del passato, della memoria a
tre livelli:
1) Vita di ciascuno dei testimoni. L’esperienza di singoli con Gesù così
come ognuno dei testimoni lo ha conosciuto e sperimentato.
2) Storia di Israele, senza la quale non è
possibile comprendere la loro esperienza.
3) Protologia. Ovvero la dottrina della creazione considerata alla luce
della soteriologia ed escatologia. La storia delle origini non è un momento
astratto ma è parte integrante del progetto di Dio. Paolo è colui che per
primo mette per iscritto tale esperienza con chiara coscienza del proton e
dell’escaton: la cristologia storico-salvifica non è astratta ma riguarda
l’inizio cioè la protologia, la piena rivelazione cioè il centro
apocalittico ed il compimento cioè l’escatologia.
La Pasqua diventa così, andando indietro, il modo di leggere il passato in
una sorta di profezia inversa, ma è anche il modo di leggere il presente
mediante autocoscienza di essere in Cristo, ed il modo di leggere il futuro
quale anticipazione dell’ultimo, della parusia allorquando saremo con
Cristo.
4.1.2. Racconti del sepolcro vuoto
È una tradizione con notevole importanza ci sono ben quattro racconti:
MARCO (16, 1-8): 1 Trascorso il sabato, Maria Maddalena e Maria Madre di
Giacomo e Salome comprarono aromi per andare ad ungere Lui. 2 Assai presto
il primo giorno della settimana vennero al sepolcro, appena levatosi il
sole. 3 E dicevano tra loro: “Chi rotolerà via per noi la pietra della porta
del sepolcro?” 4 Alzato lo sguardo, videro che la pietra era stata rotolata
via, benché fosse molto grande. 5 Entrate allora nel sepolcro, videro un
giovane che se ne stava seduto a destra, rivestito di una veste bianca, e si
spaventarono. 6 Ma egli disse a loro. “Non siate spaventate! Voi cercate
Gesù, il Nazareno, il crocifisso. È risuscitato. Non è qui. Ecco il luogo
dove lo posero. 7 Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: Vi precede
in Galilea. Là lo vedrete, come vi disse”. 8 Quelle però uscite dal sepolcro
fuggirono, erano infatti tremanti e stupite, e non dissero nulla a nessuno;
avevano infatti paura.
MATTEO (28, 1-8): 1 Passato il sabato, al sorgere del primo giorno della
settimana, venne Maria Maddalena con l’altra Maria a far visita al sepolcro.
2 Ed ecco, vi fu un gran terremoto: un angelo del Signore, infatti, sceso
dal cielo, si avvicinò, rotolò la pietra e si sedette su di essa. 3 Il suo
aspetto era come la folgore e le sue vesti bianche come la neve. 4 Alla sua
vista le guardie tremarono e rimasero tramortite. 5 L’angelo disse alle
donne: “Non temete, voi! So che cercate Gesù il crocifisso; 6 non è qui: è
risorto, come infatti aveva detto. Venite, osservate il luogo dove giaceva.
7 E ora andate e dite ai suoi discepoli: «È risuscitato dai morti e vi
precede in Galilea; là lo vedrete». Ecco ve l’ho detto”. 8 Esse, abbandonato
in fretta il sepolcro, con timore e gioia grande, corsero a dare l’annuncio
ai suoi discepoli.
LUCA (24, 1-12): 1 Il primo giorno dopo il sabato, di buon mattino, si
recarono al sepolcro, portando gli aromi che avevano preparato. 2 Ma
trovarono la pietra rotolata via dal sepolcro , 3 entrate non trovarono il
corpo del Signore Gesù. 4 Mentre erano ancora perplesse, ecco due uomini si
presentarono a loro in vesti sfolgoranti. 5 Le donne impaurite, tenevano il
volto chinato a terra ma essi le dissero: “Perché cercate tra i morti il
vivente? 6 Non è qui, ma è resuscitato! Ricordate quando vi parlò quando era
ancora in Galilea, 7 dicendo che era necessario che il figlio dell’uomo
fosse consegnato in mano ai peccatori, che fosse crocifisso e il terzo
giorno risuscitasse?”. 8 E si ricordarono delle sue parole. 9 Tornate dal
sepolcro, raccontarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri. 10
Erano Maria Maddalena, Giovanna e Maria di Giacomo ed altre donne erano con
loro. Raccontavano queste cose agli apostoli, 11 che parvero loro parole
deliranti e non le credevano. 12 Pietro, però, alzatosi, corse al sepolcro
ed essendosi chinato vede le fasce sole, e se ne andò fra se meravigliandosi
per l’accaduto.
GIOVANNI (20, 1-18): 1 Il primo giorno della settimana Maria Maddalena si
recò di buon mattino al sepolcro, mentre era ancora buio, e vide la pietra
rimossa dal sepolcro. 2 Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro
discepolo che Gesù amava e disse loro: “Hanno portato via il Signore dal
sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto”. 3 Uscì allora Pietro e anche
l’altro discepolo e si avviarono al sepolcro. 4 Correvano ambedue insieme,
ma l’altro discepolo corse avanti più veloce di Pietro e arrivò per primo al
sepolcro, 5 chinatosi vide le bende a terra ma, tuttavia, non entrò. 6 Poi
arrivò anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e vide le
bende a terra 7 ed il sudario, che era sulla sua testa, non con le bende
giacente ma a parte avvolto in un luogo. 8 Allora, quindi, entrò anche
l’altro discepolo che era arrivato per primo al sepolcro, e vide e credette.
9 Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura che egli doveva
risuscitare dai morti. 10 Allora ritornarono di nuovo dai loro discepoli. 11
Maria invece era rimasta presso il sepolcro, fuori, piangente; mentre dunque
piangeva, si chinò verso il sepolcro 12 e vede due angeli in bianche vesti,
seduti, uno presso la testa e uno presso i piedi, dove era stato posto il
corpo di Gesù. 13 Essi le dicono: “Donna, perché piangi?” Rispose loro:
“Hanno preso il mio Signore e non so dove l’anno messo”. 14 Detto ciò si
voltò indietro e vede Gesù che stava lì, ma non sapeva che era Gesù. 15 Gesù
le dice: “Donna perché piangi? Chi cerchi?”. Quella ritenendo che fosse il
giardiniere gli dice: “Signore, se tu lo hai portato via, dimmi dove lo hai
posto, ed io andrò a prenderlo”. 16 Le disse Gesù: “Maria!” quella essendosi
voltata, gli dice in ebraico: “Rabbonì!” (che significa Maestro). 17 Gesù le
dice: “Non mi toccare, non ancora infatti sono salito al Padre. Va’ dai miei
fratelli e di loro: Salgo al Padre mio e Padre vostro, al Dio mio e Dio
vostro. 18 Maria Maddalena viene ad annunciare ai discepoli: “Ho visto il
Signore”, e quanto le aveva detto.
Certamente l’impatto di tali racconti se è fondamentale per la fede
cristiana(2) nondimeno è stato devastante anche nella storia e nella cultura
in quanto alla base di movimenti e scontri/incontri di civiltà. Le Crociate,
il Santo Sepolcro non avrebbero senso se si prescinde da ciò che i vangeli
ci tramandano. Ma il punto fondamentale è: questi racconti hanno un
contenuto storico?
Possiamo fare delle considerazioni a tal proposito:
a) Le donne, come abbiamo letto, hanno un ruolo determinante nelle vicende
narrate. Nel contesto patriarcale giudaico le testimonianze delle donne non
hanno valore legale; nel Primo Testamento si contano solo i maschi Numeri
(1, 1-4): 1 Il Signore parlò a Mosè, nel deserto del Sinai, nella tenda del
convegno, il primo giorno del secondo mese, il secondo anno dell’uscita dal
paese d’Egitto, e disse: 2 “Fate il censimento di tutta la comunità degli
Israeliti, secondo le loro famiglie, secondo il casato dei loro padri,
contando i nomi di tutti i maschi, testa per testa, 3 dall’età di 20 anni in
su, quanti in Israele possono andare in guerra; tu e Aronne ne farete il
censimento, schiera per schiera. 4 A voi si assocerà un uomo per ciascuna
tribù, un uomo che sia capo del casato dei suoi padri...”. Allora perché
fondare un racconto sulle donne se non c’era un qualche contenuto di verità?
b) Già in Paolo, che rappresenta la tradizione più antica, i racconti del
Sepolcro vuoto non hanno importanza3, nella sua predicazione non esercitano
alcun ruolo in quanto non si sofferma su questi racconti. Si accenna alla
sepoltura solo in 1 Cor (15, 3-4): 3 trasmisi infatti a voi, anzitutto,
quello che ho ricevuto, che Cristo morì per i nostri peccati secondo le
Scritture 4 e che fu sepolto e che è stato resuscitato il terzo giorno
secondo le Scritture, cioè all’interno di un contesto di una formula che lo
stesso Paolo dice di aver ricevuto da altri. D’altro canto però nella chiesa
ortodossa il t (tau greco) sta per tav ϕo" ovvero sepolcro.
c) I racconti sono pieni di incongruenze: il motivo della visita al sepolcro
che Marco (Mc 16, 1-8) identifica con l’unzione del cadavere che a tanta
distanza dalla morte appare inverosimile; la “scomodità” del sepolcro chiusa
da un masso che si doveva rotolare via, nonostante la scoperta di una tomba
erodiana in Aba Sikra Street di Gerusalemme (Herod’s Familiy Tomb) del I
sec. in prossimità del King’s David Hotel che presenta una chiusura
costituita da un binario su cui scorre il masso a forma di disco.
d) Tali narrazioni hanno l’aspetto di un artificio letterario che richiama
nella tradizione simbolica giovannea il Giardino delle origini trasformato
in deserto, che solo la parola del Risorto può far rifiorire: Gesù viene
scambiato per il giardiniere (Gv 20,15); e nel racconto marciano è
funzionale alla parola decisiva dell’angelo: “È risorto, non è qui. Ecco il
luogo dove l’avevano deposto” (Mc 16,6).
e) La scomparsa del corpo e quindi il dato bruto della tomba vuota è ambiguo
è suscettibile di varie interpretazioni, si inserisce nella polemica
giudeo-cristiana del rapimento come ci ricorda Matteo (28, 11-15): 11
Partite loro ecco alcune delle guardie, recatesi in città, annunciarono ai
sommi sacerdoti tutto l’accaduto 12 Essi, radunatisi con gli anziani, avendo
tenuto consiglio, diedero ai soldati parecchie monete d’argento 13 dicendo:
“Dite che di notte sono venuti i discepoli di lui e lo rapirono, mentre noi
dormivamo. 14 Se questa cosa dovesse giungere alle orecchie del governatore,
noi lo convinceremo a non darvi noia”. 15 Essi allora, avendo preso le
monete d’argento, fecero come erano stati ammaestrati. Così si diffuse
questa diceria presso i giudei fino ad oggi.
f) La storia della pietà sindonica4 ha sempre fatto riferimento ai racconti
evangelici della passione, della sepoltura e della resurrezione. Nella
lingua originale dei vangeli, infatti, quando si parla della deposizione di
Gesù dalla croce e della sepoltura, si dice che fu usata una sindwvn, quella
che i tedeschi chiamano Heiliges Grabtuch, che è il termine più preciso:
“Santo lenzuolo sepolcrale”, laddove l’aggettivo “santo”, nelle varie
lingue, si riferisce sempre all’uso fattone per Gesù e attesta il carattere
religioso, in ambito cristiano, di questo vocabolario. Certo questa parola
si trova solo nei vangeli sinottici: Mt 27,59: Avendo preso il corpo
Giuseppe lo avvolse in una sindone. Mc 15,46: Il quale, comprato una
sindone, avendo tolto lui lo avvolse con la sindone e lo pose nel sepolcro
che era stato scavato nella roccia e fece rotolare una pietra sulla sua
porta. Lc 23,53: e avendolo tirato giù lo avvolse in una sindone e lo pose
in un sepolcro scavato dove non era stato ancora deposto alcuno. Luca e il
quarto Vangelo parlano di joθovnia e quest’ultimo anche di soudavrion: Lc
24,12: Ma Pietro alzatosi corse al sepolcro e chinatosi vede le fasce sole,
e se ne andò meravigliandosi dell’accaduto. Gv 19,40: Presero allora il
corpo di Gesù e lo avvolsero con bende ed aromi, secondo l’usanza di
seppellire dei giudei. Gv 20, 5-75: chinatosi vide le bende a terra ma,
tuttavia, non entrò. 6 Poi arrivò anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed
entrò nel sepolcro e vide le bende a terra 7 ed il sudario, che era sulla
sua testa, non con le bende giacente ma a parte avvolto in un luogo.
Come si vede per gli evangelisti i panni sepolcrali svolgono un servizio
funzionale, per il cadavere di Gesù, importante ma è soprattutto in Giovanni
che continuano nel ruolo post pasquale. Essi sono stati per Giovanni
l’oggetto delle constatazioni di Pietro e del “discepolo amato” (Gv 20,5-7)
i quali spinti dall’annuncio della Maddalena (20,2) vanno alla ricerca di un
quid: il cadavere di Gesù o Gesù vivo o qualcosa che nemmeno a loro è
chiaro, trovando invece i muti testimoni della resurrezione, gli indumenti
funebri. È indubbio che nella sequenza delle “scene dell’assenza” che
costituiscono il tessuto della prima parte dei racconti giovannei del
sepolcro vuoto (20, 1-13), questa è caratterizzata dagli indumenti che
sostituiscono Gesù, residuo della sua presenza di prima. Ma quella era la
presenza di un cadavere e ora ciò che era proprio del cadavere non è più con
lui, bensì qui, perché lui non è più cadavere. Qui è il regno della morte e
il fatto che i segni della condizione della morte siano qui, mentre lui è
assente, diventa a sua volta segno della sua vittoria sulla morte. Ciò che
era il segno della morte, nell’assenza del “corpo” di Gesù diventa segno di
resurrezione. La morte ha perso la sua preda e i teli che servivano da
“legami” ora “giacciono”, senza obiettivo né contenuto; addirittura il
sudario mostra che colui che ne era ricoperto lo ha ricomposto in ordine,
potendo disporre della capacità di decidere e fare. Certo, la presenza dei
panni dice anche che chi vi era avvolto non fu rubato dal sepolcro e portato
via come defunto; ma dice soprattutto che cosa è accaduto di quel morto:
l’uomo della Sindone è rimasto nel lenzuolo per poco tempo. Infatti affinché
l’immagine che noi vediamo si sia prodotta è stato necessario che il
cadavere sia stato dentro il lenzuolo almeno ventiquattro ore, mentre
affinché tale immagine, una volta formatasi, non sia stata distrutta dal
processo di decomposizione è necessario che il cadavere sia rimasto dentro
il lenzuolo non più di due o tre giorni.
Infine il fatto che il risorto sia uscito da quella che è l’ultima dimora
dell’essere umano senza portare indumenti ricorda che quest’uomo ha
raggiunto anche visibilmente la situazione in cui non ha più senso quel
ricorso agli indumenti che era stato necessario nel momento in cui il primo
uomo si era accorto di essere nudo. Gen 3, 7-11: Allora si aprirono gli
occhi di tutti e due ed essi seppero di essere nudi; intrecciarono foglie di
fico e se ne fecero cinture. 8 Poi udirono il Signore Dio che passeggiava
nel giardino alla brezza del giorno e l’essere umano e la donna si nascosero
alla faccia del Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino. 9 Signore
Dio chiamò l’uomo e gli disse: “Dove sei?”. 10 Rispose: “Ho udito il tuo
passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto”.
11 Riprese. “Chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai forse mangiato
dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?”.
Ciò che importa ora è la persona del risorto: Gesù è fuori dal sepolcro. Il
sepolcro vuoto nella chiesa nascente non ha tanto valore storico ma
simbolico. Gesù è risorto perciò c’è l’amore per il sepolcro vuoto, non
viceversa. Fatta cioè l’esperienza del risorto ecco che il sepolcro assume
importanza e le apparizioni danno valore al sepolcro; così nasce il culto.
Nella chiesa d’origine ci si recava al sepolcro per far memoria dell’evento
pasquale, si ci recava nel luogo fondale in cui si era fatta esperienza del
risorto. In questo luogo la comunità si raccoglie di settimana in settimana
per far potente memoria dell’origine di tutto ovvero di quell’assenza in cui
si vede la presenza del risorto.
Quindi si è cristiani in forza di un’esperienza vivente non di una
conoscenza gnostica di leggi o codici; è sempre un andare incontro a colui
che ci parla. Ma se la parola è l’unica porta, bisogna andare oltre i testi,
bisogna fare ermeneutica non fermarsi all’enunciato, bisogna cioè
trasgredire quella conoscenza gnostica che non ci fa progredire, non ci fa
andare oltre, non ci fa raggiungere il vivente.
1.2. Gerusalemme (5)
La peculiarità di Gerusalemme nella tradizione ebraica non è andata mai
perduta, neppure al tempo in cui gli ebrei saranno ridotti ad un esiguo
numero in terra d’Israele; neppure quando il paese passerà sotto la
dominazione babilonese, persiana, greca, romana, bizantina, araba, crociata,
mamelucca, turca, britannica, giordana. E, anche quando la tradizione
rabbinica farà subire a Gerusalemme una spiritualizzazione, forte quasi come
quella cristiana, gli ebrei continuano a dire, alla fine del loro Seder di
pesac: “L’anno prossimo a Gerusalemme!”.
Del resto la stessa cosa è avvenuta per i cristiani.
Nessun’altra città è divenuta la “città santa” del cristianesimo, in luogo
di Gerusalemme. Dividere la Gerusalemme o Israele terrestre e storico da
quello spirituale è un’operazione impossibile, come quella di dividere Gesù
Cristo, il Signore risorto, dalla sua carne storica e dalla sua identità
terrena.
Certo il ruolo storico-politico-culturale di
Gerusalemme, è pure, indissolubilmente,
teologico. Nella misura in cui diventa simbolo concreto, sacramento.
Di questa fede, Gerusalemme è il segno dell’irruzione di Dio nella storia e
nella geografia degli uomini. Sarà il Signore a fare un casato a Davide, non
Davide
farà una casa al Signore. Il Signore ha tolto dalle mani di Davide la
pretesa
e l’iniziativa di fare di Gerusalemme la sua città propria dicendogli: “No!
Sono io che farò di Gerusalemme la tua città” È questa l’epopea cantata dal
Salmo 132. 13 Il Signore ha scelto Sion, l’ha voluta per sua dimora 14:
“Questo è il
mio riposo per sempre; qui abiterò, perché l’ho desiderato. 15 Benedirò
tutti i suoi
raccolti, sazierò di pane i suoi poveri. 16 Rivestirò di salvezza i suoi
sacerdoti, esulteranno
di gioia i suoi fedeli. 17 La farò germogliare la potenza di Davide,
preparerò
una lampada al mio consacrato. 18 Coprirò di vergogna i suoi nemici, ma su
lui splenderà la corona”.
In questo “fare una casa” sta tutto il mistero e la profezia di Gerusalemme.
Essa è la città che Dio ha tolto dalle mani dell’uomo per farne una città
all’uomo.
Per fare all’umanità una casa, una città, Dio ha destinato Gerusalemme
ad essere il luogo di pellegrinaggio, di raduno e di culto per tutti gli
uomini, anche
per i più lontani.
Chi viola Gerusalemme, dunque, si mette contro il Signore. La città è
custodita
da Lui, perché ella ne è la sposa. Il peccato di Gerusalemme e dei suoi re
consisterà nel tentativo di riprendere nelle proprie mani il destino della
città. Invece
di dire. “Noi siamo del Signore”, si sarà tentati di dire “Il Signore è
nostro”,
osando fare della presenza del Signore in mezzo al suo popolo un possesso
esclusivo, e quasi un talismano, del popolo stesso. Il peccato contro
Gerusalemme
e contro Dio che è in lei, sta nella pretesa di riassorbire
immanentisticamente
nell’uomo e nel popolo l’unzione storica di Dio; nel tentativo blasfemo di
fare di Dio e della fede in lui un capitolo di potere e di cultura umana;
nella riduzione
dei pellegrinaggi cultuali ad attività turistico-culturali; nell’affidare la
sicurezza di Gerusalemme alle sue mura, piuttosto che al Signore, il quale
custodisce
la città.
Quando un simile peccato dilaga tra il popolo e i suoi capi, il Signore non esita persino a far distruggere il tempio di Gerusalemme. La gloria del Signore non teme di abbandonare il tempio per andare a Babilonia in mezzo ai deportati e agli esiliati. Avviene qui una svolta che darà luogo ad una delle acquisizioni più significative e durature dell’esilio babilonese e del giudaismo esilico e post-esilico: la distinzione, fino alla separazione, tra Dio ed il tempio e, di conseguenza, lo svincolamento del culto del popolo di Dio dall’edificio materiale del santuario. L’esilio segnerà un approfondimento (non però una spiritualizzazione disincarnata) del culto, della pietà e della relazione di alleanza: il cuore nuovo, di carne, e lo spirito nuovo – quello stesso di Dio –, in luogo del cuore di pietra.
In tale contesto si inserisce l’opposizione Babilonia Gerusalemme. È un tema che attraversa tutta la Bibbia, fin dal racconto della costruzione della torre di Babele in Gen 11, 1-9: 1 Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. 2 Emigrando dall’oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono. 3 Si dissero l’un l’altro: “Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco”. Il mattone servì loro da pietra ed il bitume da cemento. 4 Poi dissero: “Venite, costruiamo una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci sulla terra”. 5 Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo. 6 Il Signore disse: “Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l’inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. 7 Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro”. 8 Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. 9 Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra.
Babilonia è la città costruita dal basso verso l’alto, dalle mani dell’uomo.
Gli
uomini celebrano la loro comunione, dominando la terra mediante il loro
progresso:
è il monumento che l’uomo innalza alla propria sufficienza ed
autopromozione,
è in realtà una bestemmia in mattoni. Peccati simili si pagano. Così a
Babele l’unione tra gli uomini, che si voleva celebrare con la terra, ma che
era
fondata sui mattoni e sul bitume e dimentica di colui che solo è Uno, crolla
ben
presto. La città dell’uomo e per l’uomo non può essere costruita dall’uomo
con
le proprie forze, dal momento che in lui non solo c’è solo l’umano, ma pure
il
dono di Dio, che solo lo Spirito di Dio sa e può gestire. Il Signore allora,
riprende
la costruzione della città, rimasta interrotta, ed inventa Gerusalemme, la
città dell’uomo e per l’uomo costruita e custodita da Dio. Babilonia rimane
il
simbolo dell’insolenza e dell’empietà dell’umanesimo ateo ed
autosufficiente,
cioè dell’ideologia e dell’esaltazione immanentistica e totalitaria, cha va
rigettata
con risolutezza intransigente da tutti cittadini di Sion, i quali si
ricordano di Gerusalemme.
Una sola è la città che Dio ha costruito per l’uomo, ed essa si chiama e si
chiamerà sempre Gerusalemme. Nessun’altra si può auto-promuovere al suo
rango: la storia è storia, e quella divina è l’unica storia che rimane.
Forse per
questo Gerusalemme ha subito tanti assedi, e conosce la pace solo come
speranza.
Gerusalemme è, nella Bibbia, – come il suo Sposo, il Messia risorto – il
fulcro della storicizzazione della salvezza; ne è un sacramento centrale.
Questo motivo sarà ripreso da tutto il Nuovo Testamento.
La novità specifica del Nuovo Testamento non consiste in una “aggiunta”
alle scritture dell’antico, ma piuttosto nella persona stessa di Gesù, il
quale,
come crocefisso e risorto, si propone quale chiave di lettura e di ultima e
definitiva intelligenza delle Scritture stesse. Ora se
tutte le realtà salvifiche della Prima
Alleanza si trovano personalizzate e raggiungono la loro ultima e concreta
realizzazione
in Gesù Messia crocefisso e risorto, quelle realtà subiscono un certo
ridimensionamento.
In un senso molto reale, perciò queste storiche realtà salvifiche
si trovano ad essere relativizzate da Lui, non però per venire svuotate od
impoverite
del loro senso, ma per ricevere anzi il loro ultimo, vero e concreto
significato,
dalla rivelazione del fatto che, fin da principio, esse erano ordinate a
significare
la carne di Gesù. Per noi questa è stata una teofania più folgorante di
quella del Sinai e di tuta la precedente storia d’Israele.
Anche per Gerusalemme si deve dire che Gesù non è venuto ad abolire, ma
a dare compimento. Un compimento talmente trasfigurato e trasfigurante da
non
essere riconosciuto come tale al suo presentarsi, perché non è il compimento
atteso
e deducibile da una conoscenza comune delle Scritture. Gesù non conosce
altre Scritture se non quelle che noi chiamiamo l’Antico Testamento che,
letto da
Lui, diventa Nuovo. Ed in questa lettura nuova il ruolo di Gerusalemme
permane.
La predicazione apostolica a tutte le genti della conversione e del perdono
dei peccati comincia da Gerusalemme, città nella quale esplodono il fuoco e
la
parola della Pentecoste. Annuncio che riguarda in primissimo luogo e in
proprio,
la casa d’Israele, il popolo messianico di Dio. L’evangelizzazione dei
Gentili,
“i lontani”, non è solo un’alternativa al rifiuto di una parte d’Israele.
Essa è
soprattutto una conseguenza, prevista ed annunciata dai profeti,
dell’adempimento
delle promesse fatte ad Israele. Lo spirito lo si riceve solo se si rimane
in
Gerusalemme. Il dinamismo universalistico della Nuova Alleanza, che deve
spingersi
fino agli estremi confini della terra, comincia da Gerusalemme,
inevitabilmente.
La descrizione della Gerusalemme nuova negli ultimi due capitoli
dell’Apocalisse
conserva i caratteri di una città reale, con mura, porte, piazza,
fiume, alberi, ecc. In essa, però, non c’è più alcun tempio, “perché il
Signore Dio,
l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio” (21,22). Certo tale
descrizione in
parte può essere ispirata storicamente, dalla distruzione del tempio, già
avvenuta
ad opera delle legioni di Tito. Ma è importante rilevare che nella lunga
serie
delle realtà salvifiche, che Gesù impersona e relativizza nel Nuovo
Testamento
(tempio, sacerdozio, culto, luce, acqua, vita, ecc.) questo non conosca
alcuna
identificazione di Gesù con Gerusalemme. Gesù e Gerusalemme rimangono per
sempre due realtà distinte, che l’Apocalisse traduce nei termini
squisitamente biblici
dello Sposo e della Sposa (22,17). Gerusalemme è la sposa e, nella
tradizione
cristiana, giustamente è riconosciuta in una certa continuità con la chiesa.
La Nuova Alleanza consiste proprio nel fatto che ormai non si trova più la
sposa
senza lo Sposo, né lo Sposo senza la sposa. Né Gesù né la chiesa possono
essere
concepiti da soli, la presenza dello Sposo alla sposa è assicurata per
sempre. Ma
questa sposa non è una chiesa qualunque, una chiesa “universale” astratta,
senza padre e senza madre, senza genealogia umana e
senza principio di giorni, sganciata da ogni individuazione
storico-geografica. La sposa del Messia è la chiesa di Gerusalemme, quella
casa d’Israele che, visitata in Gesù da Dio d’Israele, per prima ha creduto
in Gesù Signore e Messia. La chiesa di cui tutte le altre sono figlie, la
chiesa madre non è una chiesa “internazionale”, diffusa su tutta la terra
senza radici nella storia. La chiesa di Dio, nata a Gerusalemme, sul
Calvario e sul Sion, dal fianco trafitto di Gesù Messia e dal dono dello
Spirito, pur essendo radicata nel cielo, ha camminato e cammina ancora
nella storia.
1.3. La panoplia (6)
Le formule e le preghiere di oggi non sono «materialmente» identiche a quelle dei rituali del passato, quando diventare Cavaliere del Santo Sepolcro si- gnificava abbandonare affetti, beni materiali, casa paterna, patria, per professare la fede di Cristo nel combattere e per esercitare la carità verso il prossimo. Esse hanno però il medesimo profondo spirito di fede e di carità; i medesimi concetti, spesso espressi con parole e frasi degli antichi rituali. In sinossi ritroviamo, in ordine diacronico, un elenco di tale simbolismo tratto dalla prima lettera ai Tessalonicesi, dalla seconda lettera ai Corinzi, dalla lettera ai Romani e, infine, uno tratto dalla lettera agli Efesini.
1 Ts 5, 8 Noi invece, che siamo del giorno, dobbiamo essere sobri, rivestiti con la corazza (qwvraka) della fede e della carità e avendo come elmo (perikeϕalaivan) la speranza della salvezza.
2ª Cor 6, 7 con parole di verità, con la potenza di Dio; con le armi della giustizia (diav.tw‘n o{plwn) a destra e a sinistra.
2ª Cor 10, 4 Infatti, le armi (o{pla) della nostra battaglia non sono carnali, ma hanno da Dio la potenza di abbattere le fortezze,
Rm 6, 13 Non offrite le vostre membra come armi (o{pla) di ingiustizia al peccato, ma offrite voi stessi a Dio come vivi tornati dai morti e le vostre membra come armi (o{pla di giustizia per Dio.
Rm 13, 12b La notte è avanzata, il giorno è vicino. Gettiamo via perciò le opere delle tenebre e indossiamo le armi (o{pla) della luce.
Ef 6, 11-17 11 Rivestitevi dell’armatura (panopliavn) di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo. 12 La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti. 13 Prendete perciò l’armatura (panopliavn) di Dio, perché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove. 14 State dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza (qwvraka) della giustizia, 15 e calzando ai piedi lo zelo per propagare il vangelo della pace. 16 Tenete sempre in mano lo scudo (qureovn) della fede, con il quale potrete spegnere i dardi infuocati del maligno; 17 prendete anche l’elmo (perikeϕalaivan) della salvezza e la spada (mavcairan) dello Spirito cioè la Parola di Dio.
La lettera agli Efesini ci offre un buon esempio di come immagini desunte
dall’ambito militare vanno intese nel campo della fede. Esse simboleggiano
il fatto che la fede è anche una battaglia, battaglia contro le potenze del
male, che
alla loro radice sono sì esautorate da Cristo, ma che, finché la storia
dura, continuano
ad ingaggiare violenti “combattimenti di ripiego”. Questa battaglia della
fede contro la potenza del male nel nostro mondo può perciò essere
chiaramente
combattuta solo con i mezzi della fede stessa e non con i mezzi violenti di
questo
mondo. Ciò vale anche per la fine del tempo e per la vittoria di Cristo sul
male,
che allora diventerà manifesta (7).
Ancora oggi, essere Cavaliere e Dama del Santo Sepolcro significa lottare
per
trionfo di Cristo e della sua Chiesa.
Come nel passato, anche oggi i candidati si preparano all’investitura
partecipando
alla veglia, che si svolge secondo le particolari tradizioni delle Luogotenenze in ciascun paese ed è spesso accompagnata
da un corso di predicazione
appropriata.
La Cerimonia d’investitura si svolge una volta l’anno in ogni Luogotenenza
ovvero tutt’ al più due volte, se lo richiede il numero di candidati. Essa
ha luogo
sempre durante la celebrazione della Santa Messa, che può essere quella «De
mysterio Sanctae Crucis», se le rubriche lo permettono, ovvero quella «De
Spiritu
Sancto» dove c’è l’uso.
La Chiesa Ordinariato Militare in Italia nel Primo Sinodo, indetto da mons.
Giuseppe Mani Arc. Ordinariato Militare per Italia il 25.10.1996 sulla tomba
di
S. Francesco d’Assisi e conclusosi con una solenne celebrazione eucaristica
sulla
tomba di San Pietro il 6.5.99, ricorda a proposito della Sua Pastorale
Liturgica in
cultura militare e cultura liturgica: culture dei segni, segni militari e
segni liturgici
che (8) il mondo militare, così come la liturgia, valorizza e per loro mezzo si
esprime simbolicamente. Segno rilevante è l’adunata che, oltre ai fini
pratici,
esprime l’unione e quasi l’unità dell’intero popolo militare... 189
Gli usi, le tradizioni e il complesso delle ritualità militari possono
costituire
predisposizioni che meritano di essere apprezzate ed utilizzate per una
piena
comprensione e partecipazione liturgica. 193
Tradizioni culturali e di santità testimoniano che già in passato immagini e
linguaggio
militare sono stati utilizzati positivamente per esprimere concetti
religiosi
e liturgici. Il termine “sacramentum”, che significava l’atto del giuramento
militare (9),
è stato utilizzato dal linguaggio teologico cristiano per denominare
“sacramenti”
sia le celebrazioni liturgiche sia, in special modo, quei segni sensibili
efficaci
della grazia, istituiti da Gesù Cristo per santificare e rendere culto a
Dio (10).
Specialmente in rapporto alla liturgia e alla testimonianza di vita
cristiana coronata
con il martirio, è possibile affermare che l’esperienza militare è
vantaggiosa per la
fede; è come propedeutica naturale alla più alta milizia per Cristo (11) e,
rettamente
compiuta, giunge anche ad essere premiata con la grazia del martirio12. 194
Adattamenti della liturgia al popolo militare
siano radicati nelle sue più nobili
tradizioni e non si prescinda mai da esse. Siano compresi ed ammessi con
rispetto,
particolarmente nelle celebrazioni più solenni, lo stile e i modi con i
quali
il popolo militare esprime onori, solidarietà e devozione: inquadramento,
squilli
di tromba, picchetti, resa degli onori con armi, preghiera al Santo Patrono.
195
L’elevazione e l’inserimento del popolo militare nella liturgia è compito
fondamentale
dell’Arcivescovo Ordinario Militare e dei cappellani. Questo compito
richiede un’autentica catechesi liturgica da non trascurare mai,
specialmente
nelle celebrazioni in cui tutto dovrà essere predisposto con massima
diligenza. In
modo adatto e preciso venga data spiegazione dei vari segni affinché i
presenti
possano parteciparvi con piena coscienza e assistere con intelligenza, fede
e devozione.
196
Le celebrazioni liturgiche nelle caserme siano bene organizzate; si svolgano
con dignità e prestigio; siano realizzate come dimensione etica e
spirituale; siano
partecipate e vissute con fede. 197
Nel mondo militare come nella liturgia i segni occupano uno spazio così
rilevante
da poter parlare di una vera e propria “cultura dei segni”. Attraverso
un’adeguata catechesi sarà necessario precisare la sostanziale differenza
tra i segni
militari e quelli liturgici. I primi infatti, sono segni espressivi e
rappresentativi
di una realtà, mentre gli altri sono espressivi ma efficaci di ciò che
significano:
la bandiera rappresenta la Patria ma non è la Patria; l’Eucaristia non
rappresenta
Cristo, ma è Cristo stesso. Nella catechesi ai militari, la cui sensibilità
ai segni è parte integrante della propria cultura, venga chiaramente
precisata sia
l’analogia sia la sostanziale differenza tra lo spirito d’appartenenza alle
Forze
Armate e lo spirito di appartenenza alla Chiesa universale, famiglia dei
figli di
Dio. 199
Statuto dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme - Premessa
«Sarete voi i miei testimoni in Gerusalemme, in tutta la Giudea e Samaria,
fino al confine della Terra» (At, 1,8). La Cavalleria si definisce come
auto-disciplina,
generosità e coraggio. Chiunque non abbia la ferma volontà di sviluppare
e di approfondire questi comportamenti nella sua vita, non potrà mai
diventare
Confratello. Lo zelo alla rinuncia, in mezzo a questa società di abbondanza,
il generoso
impegno per i più deboli ed i non-protetti, la lotta coraggiosa per la
giustizia
e la pace, sono le caratteristiche dell’Ordine del Santo Sepolcro.
Il legame con Gerusalemme che si manifesta nell’Ordine ed esige la
responsabilità
per i Luoghi Santi orienta i nostri desideri verso la Gerusalemme celeste.
(Invece la Gerusalemme di lassù è libera ed è nostra madre, Gal. 4,26).
Il Santo Sepolcro è il simbolo della comune
Passione con Gesù ed anche la
nostra speranza nella Resurrezione. (10 e per conoscere lui, la potenza
della sua resurrezione,
la partecipazione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte
11 onde giungere, in qualche modo, alla resurrezione dei morti Phil. 3,10).
La Croce che portiamo non è un gioiello, ma la testimonianza di
sottomissione
alla legge della Croce. La forma della Croce usata nell’Ordine ci ricorda le
ferite del Signore ed inoltre le piaghe dalle quali la Terra Santa sta
perdendo il
suo sangue.
La Conchiglia del Pellegrino ricorda l’impegno di aiutare i bisognosi e la
realtà di essere pellegrini in questa terra.
La condotta morale ed il sentimento cristiano sono le prime esigenze per
poter
essere ammessi nell’Ordine. La pratica della Fede cristiana si deve
dimostrare
nel seno della propria famiglia, sul posto di lavoro, nell’ubbidienza verso
il Santo
Padre e collaborando nella propria Parrocchia e nella propria Diocesi, alle
attività
cristiane.
Questa distinzione dell’Ordine richiede dai suoi membri:
– devozione religiosa;
– partecipazione alle attività della Chiesa;
– apostolato laico, disponibilità per il servizio della Chiesa;
– cura dello spirito ecumenico, soprattutto tramite l’interesse vivo verso i
problemi confessionali in Palestina.
La particolarità dell’Ordine consiste nell’impegno per i Luoghi Santi di
Gerusalemme
e nei doveri per la Chiesa in Palestina. Non si potrà mai notare abbastanza
che l’opera caritativa dell’Ordine deve avere le sue radici nella
spiritualità
dei suoi membri».
CAPITOLO QUINTO
NEL TERZO MILLENNIO
1. ORDINE EQUESTRE DEL SANTO SEPOLCRO DI GERUSALEMME
IN VISTA DEL TERZO MILLENNIO
Proponiamo ora le disposizioni contenute nel documento Direttive per il
rinnovamento
dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme in vista del
terzo millennio.
Tale documento è preceduto da una descrizione storico-giuridica in cui si
ricorda
ed afferma l’identità dell’ordine.
Il documento si colloca di fronte alle nuove situazioni e domande che
toccano
intensamente il cammino di fede delle nostre comunità ecclesiali ed in
particolare
come risposta alle sfide nel mondo di oggi riaffermando la validità
dell’opzione
di fondo del Cavaliere del Santo Sepolcro di Gerusalemme.
Il punto di riferimento spirituale dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro
di
Gerusalemme è il Santo Sepolcro, il luogo cioè dove il mistero della
Resurrezione
del Signore Gesù è particolarmente celebrato, quella Resurrezione che è la
pietra centrale della fede dei cattolici e di tutti i cristiani.
La speranza e la preghiera del Signore: «che tutti siano uno» deve guidare
la
carità e l’opera dell’Ordine nella Terra Santa e dovunque nel mondo. Lo
sviluppo
di rapporti ecumenici con altre Chiese e Comunità cristiane deve essere
una delle sue priorità.
Al di sopra di tutto ciò l’attività dell’Ordine e di ciascuno dei suoi
membri
deve ispirarsi all’amore, «perché in questo modo tutti sapranno che siete
miei discepoli,
se vi amerete gli uni gli altri» (Gv 13,35).
1.1. Lavori della Commissione
1. Il gran maestro dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme,
sua eminenza il cardinale Carlo Furno, ha costituito una “Commissione
preparatoria
per la Consulta 1998”, allo scopo di assisterlo nel presentare
raccomandazioni
per la Consulta, avendo in mente il prossimo avvento del Terzo Millennio.
2. La Commissione preparatoria era così composta:
Prof. Agostino Borromeo, Gr. Uff. O.E.S.S.G. Membro del Gran Magistero
dell’Ordine;
Padre Gaspar Calvo Moralejo, O.F.M., Comm.
O.E.S.S.G. Presidente della Pontificia Accademia Mariana Internazionale;
Amb. Ludovico Carducci Artenisio, Cav.di Collare O.E.S.S.G. Governatore
Generale dell’Ordine, Moderatore;
Prof. Giuseppe Dalla Torre del Tempio di Sanguinetto, Cav. Gr. Cr.
O.E.S.S.G. Membro del Gran Magistero dell’Ordine Rettore della Libera
Università Maria Santissima Assunta (LUMSA);
Diacono Prof. Dr. Franz Eckert, Cav. Gr. Cr. O.E.S.S.G. Membro del Gran
Magistero dell’Ordine;
Mons. Dr. Robert L. Stern, Gr. Uff. O.E.S.S.G. Segretario Generale della
Catholic Near East Welfare Association Presidente della Pontifical Mission
for Palestine.
La Commissione ha iniziato i suoi lavori in una prima riunione nella Sede
dell’Ordine in Roma il 28 aprile 1997. Dopo una discussione preliminare, i
singoli Membri sono stati invitati a redigere documenti su temi loro
assegnati e destinati ad essere esaminati in successive riunioni.
A seguito di tali esami e di ulteriori analisi, fu stabilito di unificare
tali documenti in un unico progetto avente lo scopo di tracciare le
direttive per il rinnovamento dell’Ordine in vista del Terzo Millennio.
3. Il documento messo a punto dalla Commissione preparatoria nella versione
inglese nella prima quindicina di aprile, è stato tradotto nelle lingue di
lavoro dell’Ordine e diramato a tutti i Membri del Gran Magistero ed ai
Luogotenenti e Delegati Magistrali con circolare in data 27 maggio 1998.
Esso ha dato luogo a commenti scritti da parte di 3 Membri del Gran
Magistero, di 13 Luogotenenti e di un Membro emerito del Gran Magistero.
Presentato alla Consulta dell’Ordine, riunitasi a Roma nei giorni dal 13 al
16 ottobre 1998, il testo delle “Direttive per il rinnovamento dell’Ordine
Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme in vista del Terzo Millennio” è
stato oggetto di approfondito esame da parte dei tre Gruppi di lavoro in cui
la Consulta stessa si era articolata.
I Moderatori dei tre Gruppi: il Gr. Uff. Philippe I-Iusson, il Cav. Gr. Cr.
Robert Benson ed il Cav. Gr. Cr. Otto Kaspar, hanno presentato ed illustrato
relazioni scritte nel corso della seduta conclusiva della Consulta il giorno
16 ottobre.
4. Il documento è il risultato della revisione del progetto del 27 maggio
1998, compiuta sulla base delle osservazioni scritte pervenute prima della
Consulta e dei dibattiti svoltisi in seno ai Gruppi di lavoro. Sul testo
finale sono stati sentiti i Membri della Commissione preparatoria, i Vice
Governatori dell’Ordine ed i Moderatori dei Gruppi.
Tutti coloro che hanno contribuito alla formulazione delle “Direttive” – siano essi i Membri della Commissione preparatoria, i Dignitari dell’Ordine ed i Cavalieri e le Dame che sono stati consultati in seno alle Luogotenenze – sono concordi nel ritenere che le Direttive stesse trovino la loro necessaria collocazione nel quadro dello Statuto dell’ Ordine. Esse vogliono esserne un opportuno approfondimento ed una aggiornata interpretazione. Esse potranno altresì rappresentare un utile strumento per una migliore comprensione della nostra missione in un mondo che cambia ed un punto di riferimento per coloro che vogliano approfondire la conoscenza dell’Ordine del Santo Sepolcro, della sua identità e della sua opera al servizio della Chiesa e dei nostri fratelli in Terra Santa. In Roma, 3 maggio 1999, viene ufficialmente presentato il documento.
1.2. Origine storica e giuridica
I. L’IDENTITÀ DELL’ORDINE
Origini dell’Ordine
1. L’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme risale ad antica
origine e durante i secoli venne riordinato ed arricchito di privilegi dai
Sommi
Pontefici.
L’Ordine dei Cavalieri del Santo Sepolcro, la cui fondazione è stata per
lungo
tempo attribuita tradizionalmente a Goffredo de Bouillon, trae probabilmente
le
sue origini dalle investiture di Cavalieri che si recavano in Terra Santa
nel XII secolo
per la difesa del Regno Latino di Gerusalemme.
Esso attinge anche i suoi valori fondamentali nel ricordo dei Cavalieri
crociati,
affiliati in questa stessa epoca alla Confraternita laica detta dei Canonici
Regolari del Santo Sepolcro.
Esso appare allora come un ramo caratteristico dell’antica Cavalleria
cristiana,
ispirata all’ideale formulato da San Bernardo nel suo “De laude novae
militiae”,
che incarna la fedeltà allo spirito e all’ideale delle crociate.
È caratterizzato dal fatto eccezionale che la qualità di Cavaliere del Santo
Sepolcro
viene conferita esclusivamente a Gerusalemme sulla tomba di Cristo da
un Cavaliere riconosciuto dai Papi e dai Sovrani.
Ai primi del XV secolo i Sommi Pontefici prendono nelle loro mani questa
complessa realtà dando ad essa una vera e propria configurazione di Ordine
Cavalleresco
e conferendo al Custode di Terra Santa, a titolo esclusivo, il privilegio
di creare “Cavalieri del Santo Sepolcro”.
Rifondazione dell’Ordine
2. Nel 1847, il Patriarcato Latino di Gerusalemme fu ristabilito dal Papa
Pio IX e l’Ordine del Santo Sepolcro di Gerusalemme fu ricostituito. Il
nuovo Patriarca divenne Gran Maestro dell’Ordine. I nuovi Statuti
dell’Ordine prevedevano la possibilità che i nuovi membri fossero investiti
in sedi diverse da Gerusalemme, da prelati operanti a nome del Patriarca.
Nel 1888, il Papa Leone XIII approvò la pratica, già introdotta dal
Patriarca, di investire Dame fra i Cavalieri dell’Ordine.
Nel 1907, il Papa S. Pio X prese il titolo di Gran Maestro ed il Patriarca
Latino quello di Gran Priore; tuttavia, la dignità di Gran Maestro fu
restituita al Patriarca Latino, nel 1928.
Nel 1940, Papa Pio XII diede all’Ordine un nuovo Statuto e nominò un
Cardinale Protettore dell’Ordine. Nel 1949 il Cardinale Protettore divenne
Gran Maestro ed ancora una volta il Patriarca Latino ne divenne Gran Priore.
Nel 1977, l’Ordine ricevette da Papa Paolo VI un nuovo Statuto, il quale con
poche, successive modifiche, rappresenta oggi il documento che governa
l’Ordine.
Descrizione giuridica dell’Ordine
3. L’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme è una associazione di
fedeli stabilita in base al diritto canonico, a cui è stata affidata dal
Santo Padre la missione speciale di assistere la Chiesa di Terra Santa e di
rafforzare nei suoi membri la pratica della vita cristiana. Esso è retto
dalle norme comuni del diritto canonico, dalle disposizioni ecclesiastiche
particolari e da quelle del suo Statuto.
L’Ordine è persona giuridica di diritto canonico, come dalle Lettere
Apostoliche di Sua Santità Pio XII del 14 settembre 1949 e di Sua Santità
Giovanni XXIII dell’8 dicembre 1962, nonché persona giuridica vaticana, come
dal Rescritto di Sua Santità Giovanni Paolo II del 1 febbraio 1961.
L’Ordine come una Associazione laica di fedeli
4. Da un punto di vista giuridico l’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di
Gerusalemme è un’associazione di fedeli laici aperta anche agli
ecclesiastici. Più precisamente è un’associazione nell’ambito della Chiesa,
un’associazione di fedeli, cioè «di coloro che, essendo stati incorporati a
Cristo mediante il battesimo, sono costituiti popolo di Dio e perciò, resi
partecipi nel modo loro proprio dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale
di Cristo, sono chiamati ad attuare, secondo la condizione propria di
ciascuno, la missione che Dio ha affidato alla Chiesa da compiere nel
mondo»2.
5. L’Ordine ha tutti questi elementi in comune con altre associazioni di
fedeli secondo le norme generali e il diritto canonico della Chiesa. D’altra
parte la sua storia, le sue finalità, la sua struttura e la sua spiritualità
conferiscono all’Ordine caratteristiche particolari che lo distinguono da
altre associazioni di fedeli.
6. I documenti del Concilio Vaticano II, in particolare il decreto
sull’apostolato dei laici, Apostolicam actuositatem, sottolineano
l’importanza delle Associazioni nell’ambito della Chiesa, in particolare
dell’apostolato che ad esse si associa. Viene in particolare affermato che
«salvo il dovuto legame con l’autorità, i laici hanno il diritto di creare
associazioni e guidarle e di aderire a quelle già esistenti»3.
7. L’esortazione apostolica Christifideles laici di Giovanni Paolo II indica
i criteri di ecclesialità di tali associazioni laiche, cioè i criteri che
definiscono le associazioni della Chiesa e nell’ambito della Chiesa. Essi
sono:
«il primato dato alla vocazione di ogni cristiano alla santità», per cui le
associazioni debbono essere «strumenti di santità» per i loro membri;
«la responsabilità di confessare la fede cattolica», per cui ogni
associazione deve essere «luogo di annuncio e di proposta della fede e di
educazione ad essa nel suo integrale contenuto»;
«la testimonianza di una comunione salda e convinta» con il Papa e con il
Vescovo della Chiesa locale, «espressa anche attraverso la leale
disponibilità ad accogliere i loro insegnamenti dottrinali ed orientamenti
pastorali»;
«la conformità e la partecipazione alle finalità apostoliche della Chiesa»,
per cui tutte le associazioni sono chiamate ad uno slancio missionario che
le renda «sempre più soggetti di una nuova evangelizzazione»;
«l’impegno di una presenza nella società umana che, alla luce della dottrina
sociale della Chiesa, si ponga a servizio della dignità integrale
dell’uomo»4.
L’Ordine una pubblica associazione internazionale di fedeli
8. L’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme è stato costituito
dalla Santa Sede ed ha ricevuto dal Santo Padre una particolare missione5;
esso è, in base al Canone 312 § 1 del diritto canonico, una pubblica
associazione di fedeli.
Solo la Santa Sede è competente ad erigere associazioni pubbliche, universali ed internazionali di fedeli. Poiché i suoi Membri sono diffusi al di là delle frontiere nazionali e diocesane e possiede uno Statuto approvato e promulgato dalla Santa Sede, l’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme è chiaramente un’associazione pubblica, internazionale di fedeli.
1.3. La missione e la spiritualità dell’Ordine
I. LA VOCAZIONE COMUNE CRISTIANA
L’insegnamento della chiesa
9. Il Concilio Vaticano II nella sua costituzione dogmatica della Chiesa,
Lumen gentium, insegna che «per la sua divina istituzione la Santa Chiesa è
strutturata e governata con una mirabile diversità. Poiché, come in un solo
corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima
funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e
ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri» (Rom 12, 4-5).
Secondo l’insegnamento dell’apostolo Paolo poiché vi è «un solo Signore, una
sola fede, un solo battesimo» (Ef 4,5) che ci uniscono, così «comune è la
dignità dei membri del popolo di Dio per la loro rigenerazione in Cristo.
Comune è la grazia di adozione filiale, comune è la vocazione alla
perfezione. Non c’è che una sola salvezza, una sola speranza e una carità
senza divisioni»6.
Anche se nella Chiesa non tutti camminano per la stessa via «però tutti sono
chiamati alla santità ed hanno ricevuto a titolo uguale la fede che
introduce nella giustizia di Dio» (cf. 2 Pt, 1,1). Quantunque alcuni per
volontà di Cristo, siano costituiti dottori, dispensatori dei misteri e
pastori per gli altri, tuttavia vige fra tutti una vera uguaglianza riguardo
alla dignità e all’azione comune a tutti i fedeli nell’edificare il Corpo di
Cristo7.
L’apostolato dei laici
10. La missione dei laici nella Chiesa ha una qualità secolare che è loro
propria e che si distingue dalla missione dei chierici. I laici «devono
cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo
Dio. Vivono nel secolo, cioè implicati in tutti i diversi doveri e lavori
del mondo e nelle ordinarie condizioni della vita familiare e sociale di cui
la loro esistenza è come intessuta.
Ivi sono da Dio chiamati a contribuire, quasi
dall’interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo esercitando
il proprio ufficio sotto la guida dello spirito evangelico, e in questo
modo, a manifestare Cristo agli altri principalmente con la testimonianza
della loro stessa vita e col fulgore della loro fede, della loro speranza e
carità (8).
«Tale carattere comunitario è perfezionato e compiuto dall’opera di Cristo
Gesù. Lo stesso Verbo incarnato volle essere partecipe della solidarietà
umana... Ha rivelato l’amore del padre e la magnifica vocazione degli uomini
ricordando gli aspetti più ordinari della vita sociale e adoperando
linguaggio e immagini della vita d’ogni giorno. Santificò le relazioni
umane, innanzitutto quelle familiari, dalle quali trae origine la vita
sociale. Si sottomise volontariamente alle leggi della sua patria. Volle
condurre la vita di un artigiano del suo tempo e della sua regione» (9).
II. LA RESPONSABILITÀ SOCIALE DEI MEMBRI DELL’ORDINE OGGI
Le sfide della moderna società
11. Lo sviluppo di una società multiculturale, la secolarizzazione della
vita pubblica, le minacce sempre crescenti all’istituto del matrimonio e,
per conseguenza, alla famiglia, la disoccupazione di lunga durata, la
disintegrazione economica delle società, la crisi dei sistemi di sicurezza
sociale, la globalizzazione dell’economia mondiale, la bioetica e la
biotecnologia, le emigrazioni e l’ecologia: questi sono alcuni dei grandi
problemi della società moderna all’inizio del nuovo millennio.
Di quali mezzi il cristiano impegnato può disporre per analizzare tutti
questi problemi ed operare attivamente per trovare per essi una soluzione
cristiana?
Il bene comune
12. Essenziale per la società è la ricerca del bene comune. Esso comprende
l’assieme di quelle condizioni di vita sociale che facilitano ai gruppi e a
ciascuno dei suoi membri il raggiungimento in modo più completo della
propria perfezione.
Esso è guidato nei suoi principi fondamentali dalla legge eterna ed esige
che i cittadini compiano il loro dovere e contribuiscano a tale bene; esso
deve essere la preoccupazione degli statisti. Il bene comune è fondamentale
per la vita politica veramente umana ed è fonte dei diritti primordiali e
propri dello Stato.
Esso esige uguaglianza giuridica dei cittadini, consacra i diritti e i
doveri della persona umana; e non è mai lecito anteporgli la propria utilità
(Conc. Vat. II, passim).
La dottrina sociale cattolica
13. In tutti i punti sopra menzionati l’autorevole insegnamento del Papa e
della Chiesa sono della massima importanza. La dottrina sociale cattolica
fornisce una chiara e concreta forza propulsiva per la soluzione di tutti
questi problemi, sia nei vari campi della scienza e della tecnologia, sia
nella sfera privata della vita umana. Essa indica tre armi per questa lotta:
il primato della persona umana, la priorità del bene comune ed il
riconoscimento della creatura chiamata ad aiutare Dio nell’opera della
creazione.
La persona umana
14. Lo sviluppo turbinoso dell’economia e della tecnologia ha reso assai
arduo, per il singolo individuo e per i loro governi, risolvere i nuovi
problemi morali che si sono andati ponendo. In questa situazione generale di
mancanza di una “bussola” morale, la necessità di un sistema di valori e di
norme con una solida fondazione metafisica è vivamente sentita. Senza di
esso la comunità umana è destinata a degenerare in un campo di battaglia di
egoismi individuali e collettivi in conflitto, oppure nel disastro di una
dittatura che stabilisce regole obbligatorie in tutti i campi
dell’esistenza.
In un mondo che è affascinato dal potere economico e dal progresso tecnico,
la subordinazione della dignità dell’essere umano alle necessità e alle
leggi dell’economia è divenuta una tentazione fondamentale. Soltanto
considerando l’uomo come figlio di Dio, l’individuo può essere liberato da
queste restrizioni che le forze economiche e tecnologiche hanno loro
imposto. Senza un’adesione totale al primato della persona umana la lotta
per la dignità umana ed i diritti dell’uomo sono destinati alla lunga ad
andare ad essere perdute.
Collaborazione all’opera della creazione
15. Oltre al principio del primato della persona umana e della priorità del
bene comune, il riconoscimento della cooperazione dell’uomo all’opera della
creazione rappresenta la terza regola di vita per il nostro tempo e la terza
ancora contro il flusso del cambiamento dell’economia mondiale e delle
tecnologie che sono sfuggite al nostro controllo.
Soltanto colui che è riuscito a convincersi che egli non è il proprietario
dei propri talenti (Mt 25, 14-30), ma soltanto colui al quale essi sono
stati affidati in proporzione alle sue capacità, è consapevole di essere
stato chiamato a continuare il processo divino della creazione con la sua
opera attiva e con il suo ardente amore. Il Regno di Dio sulla terra cresce
attraverso l’impegno di ogni individuo:
come insegna la parabola, non far nulla per timore o limitarsi a restituire,
senza interessi, i talenti che gli sono stati affidati, è motivo di condanna
per il servo infedele.
III. LA MISSIONE SPECIFICA DEI MEMBRI DELL’ORDINE
Il mandato attuale dell’Ordine
16. Lo speciale mandato affidato dal Papa all’Ordine Equestre del Santo
Sepolcro di Gerusalemme è quello di rafforzare nei suoi membri la pratica
della vita cristiana e sostenere la presenza cristiana in Terra Santa.
Possiamo dire che il Papa ha restituito all’Ordine la sua funzione primitiva
con la grande differenza che i mezzi non sono più la forza delle armi, ma
quella dell’aiuto fraterno ai cristiani di Terra Santa. Spiritualmente
continuano ad essere Cavalieri del S. Sepolcro.
A. RAFFORZARE LA PRATICA DELLA VITA CRISTIANA NEI MEMBRI DELL’ORDINE
Disposizioni richieste ai membri dell’Ordine
17. I candidati all’ammissione nell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di
Gerusalemme devono distinguersi per la pratica assidua della fede cristiana,
per la loro esemplare condotta morale, per il loro impegno nelle attività
della Chiesa a livello parrocchiale e diocesano, per la loro volontà di
impegnarsi in opere di apostolato laico proprie dell’Ordine al servizio
della Chiesa, per il loro spirito ecumenico, per il loro attivo interesse
per i bisogni e i problemi della Terra Santa (10).
I candidati si obbligano con nuovo vincolo personale a tale attività
missionaria alla quale li abilita il sacramento del Battesimo ed in
particolare della Cresima. La vita di ogni membro deve apportare una
speciale testimonianza al mondo. Come le loro mancanze discreditano anche la
Chiesa così i loro successi rendono gloria a Dio.
18. Essere membri dell’Ordine presume una precisa volontà di sviluppare ed approfondire le tre virtù caratteristiche dell’Ordine: zelo alla rinuncia in mezzo a questa società dell’abbondanza, generoso impegno per i deboli e i non protetti, lotta coraggiosa per la giustizia e per la pace (11).
Zelo alla rinuncia in mezzo a questa società
dell’abbondanza
19. I Membri dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme
praticano forme specifiche di disciplina e di testimonianza cristiana: la
disposizione interna di distacco, la volontà di subordinare i loro interessi
personali ai bisogni degli altri ed al bene comune ed una rimarchevole
generosità nella utilizzazione a favore degli altri delle loro risorse
materiali e spirituali, talenti, influenze, tempo ed energia.
Generoso impegno per i deboli e gli indifesi
20. I Membri dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme hanno un
obiettivo speciale di interesse cristiano e di apostolato: l’assistenza
morale, materiale e spirituale, l’appoggio ai poveri, a coloro che non
abbiano risorse, mezzi, strumenti per farsi sentire, a coloro che sono
oppressi, a coloro che non abbiano la possibilità di difendere se stessi ed
i propri diritti.
Lotta coraggiosa per la giustizia e per la pace
21. I Membri dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme sono
chiamati a svolgere attività specifiche che comprendono l’educazione, la
diffusione di informazioni, la promozione di una pubblica consapevolezza per
il riconoscimento e la difesa della dignità umana di ogni persona, il
rispetto per i fondamentali ed inalienabili diritti dell’uomo, l’eguale
giustizia sotto la legge, la libertà, l’assenza di discriminazioni, la
sicurezza, lo sviluppo umano ed un’adeguata qualità della vita.
B. SOSTENERE LA PRESENZA CRISTIANA IN TERRA SANTA
Le dimensioni del mandato dell’Ordine
22. Sostenere la presenza cristiana in Terra Santa significa sia appoggiare
l’esistenza delle comunità cristiane – la Chiesa – viventi in Terra Santa,
sia recare testimonianza dei valori cristiani in quella Regione. Per “Terra
Santa” si intende tutto il territorio designato come “Terra Promessa” ed
associato in particolar modo alla vita e all’insegnamento di Gesù.
23. L’Ordine, oltre all’interesse che esso porta ai Luoghi Santi, sostiene
ed aiuta le opere e le istituzioni cultuali, caritative, culturali e sociali
della chiesa cattolica in Terra Santa, particolarmente quelle del e nel
Patriarcato Latino di Gerusalemme con il quale l’Ordine mantiene legami
storici e tradizionali.
Patriarcato Latino di Gerusalemme
24. II Patriarcato Latino di Gerusalemme è la diocesi cattolica latina il
cui territorio comprende Israele/Palestina, Giordania e Cipro. (L’isola di
Cipro è esclusa dai territori intesi tradizionalmente come Terra Santa). Il
Vescovo di questa diocesi ha diritto al titolo di patriarca.
Custodia di Terra Santa
25. La Custodia di Terra Santa. Essa è una speciale provincia dell’Ordine
Francescano che ha propri membri permanenti, ma che accoglie anche
francescani di altre giurisdizioni in servizio temporaneo. Dal 1333 fino al
ristabilimento del Patriarcato Latino nel 1847, la Custodia ha rappresentato
la chiesa cattolica latina nella Terra Santa. Essa cura non soltanto i
principali santuari cristiani, ma sostiene tutta una rete di parrocchie,
istituti educativi e di servizio sociale in Israele/Palestina, Giordania,
Libano, Siria ed Egitto. Essa ha una propria struttura per raccogliere le
risorse che le sono necessarie.
La carità dell’Ordine si estende a tutti coloro che sono nel bisogno, senza differenza di fede o di confessione religiosa e si esercita secondo le direttive del gran magistero; quindi si rivolge anche alle:
Chiese Cattoliche Orientali
26. Vi sono tre giurisdizioni greco-melchite cattoliche in Terra Santa: l’archieparchia
greca melchita di Akka in Israele e l’archieparchia greca melchita di Tetra
e Filadelfia in Giordania. Vi sono anche una archieparchia Maronita di Haifa
e della Terra Santa, gli esarcati patriarcali di Gerusalemme: maronita,
armeno-cattolico, siro-cattolico e caldeo-cattolico, come pure il territorio
di Gerusalemme che dipende dal patriarca greco-melchita cattolico, governato
da un protosincello.
Chiese Ortodosse
27. II patriarcato greco ortodosso di Gerusalemme e il patriarcato armeno di
Gerusalemme includono nella loro giurisdizione sia Israele/Palestina sia la
Giordania. Vi sono anche: una Arcidiocesi coptaortodossa di Gerusalemme e
Medio-Oriente, una Arcidiocesi ortodossa etiopica di Gerusalemme ed un
vicariato patriarcale ortodosso siriaco. La chiesa ortodossa russa ha anche
importanti santuari e proprietà nella Terra Santa.
Altre chiese cristiane
28. Tanto la Chiesa anglicana quanto la “Chiesa luterana” hanno diocesi in
Gerusalemme ed i Luterani tedeschi hanno il loro “Probst”. Altre Chiese e
Comunità cristiane hanno loro istituzioni e loro iniziative.
Religioni non cristiane
29. Le principali religioni della Terra Santa sono il Giudaismo e l’Islam.
In Israele la maggioranza della popolazione è ebraica per cultura e
tradizione, ancorché soltanto una minoranza sia praticante. I musulmani di
Terra Santa appartengono al ramo sunnita dell’Islam. Vi è anche una presenza
dei Drusi, storicamente derivanti dal ramo minoritario sciita dell’Islam, in
realtà una religione separata.
Il ruolo dell’Ordine
30. La carità dell’Ordine si estende a tutti coloro che sono nel bisogno,
senza differenza di fede o di confessione religiosa e si esercita secondo le
direttive del Gran magistero.
Le opere dell’Ordine in e per la Terra Santa
31. Gli scopi dell’Ordine in Terra Santa riguardano sia attività di
assistenza e di sviluppo, sia sostegno caritativo per i giovani, gli
handicappati, gli anziani e gli emarginati sia opere di assistenza allo
sviluppo, attraverso l’istruzione, come pure la difesa dei diritti della
Chiesa, della libertà di culto, la promozione dell’ecumenismo, la difesa
delle minoranze etniche, la ricerca della giustizia e della pace. L’Ordine
cerca di interessare i cattolici e gli altri cristiani nel mondo al sostegno
delle sue attività e dei suoi fini in Terra Santa, in spirito di unione e di
carità.
Aiuto materiale
32. L’aiuto materiale dell’Ordine in Terra Santa è particolarmente
indirizzato al sostegno finanziario delle attività istituzionali del
patriarcato latino di Gerusalemme (pastorale, mantenimento del clero,
seminario, costruzione e manutenzione di edifici parrocchiali e scolastici,
finanziamento delle scuole).
L’assistenza dell’Ordine comprende l’appoggio
finanziario per la costruzione, restauro e funzionamento di altre chiese e
santuari, istituzioni educative, centri di formazione, residenze per
sacerdoti e religiosi, istituti per l’infanzia, alloggi per gli anziani e
gli handicappati, istituzioni sanitarie e di servizio sociale.
L’Ordine sostiene anche progetti e programmi di sviluppo umano quali
alloggi, concessione di borse di studio e di piccoli prestiti per inizio di
attività lavorative ed altre opere sociali.
Collaborazione con altre Organizzazioni
33. L’Ordine, sotto la guida del gran magistero, collabora con altre agenzie
ed organizzazioni sia non-governative sia governative, tanto religiose
quanto secolari, che hanno simili scopi ed obiettivi nella Terra Santa.
IV. LA SPIRITUALITÀ DELL’ORDINE
La centralità della Resurrezione
34. Il nome stesso dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme
indica il punto centrale della sua spiritualità – il Sepolcro del Signore –
luogo dove viene celebrata in modo speciale la gloria della Resurrezione. Le
parole del Concilio Vaticano II sembrano scritte quasi appositamente per i
membri dell’Ordine: «ogni laico deve essere davanti al mondo un testimone
della Resurrezione e della vita del Signore Gesù ed un segno del Dio vivo»
(12).
Alla luce di queste parole i Cavalieri e le Dame dell’Ordine Equestre del
Santo Sepolcro – della Resurrezione! – dovranno trarre una speciale fierezza
dalla loro appartenenza a questa santa Milizia.
Miles Christi
35. Nei giorni tumultuosi di secoli da molto tempo trascorsi, proclamarsi
“miles Christi”, cioè soldato di Cristo, aveva una speciale attrattiva. I
primi Cavalieri non esitavano a dare la propria vita per la difesa e la
custodia del Santo Sepolcro in una testimonianza silenziosa ma eloquente del
fatto fondamentale della nostra fede, la Resurrezione di Gesù Cristo Nostro
Signore, e per proteggere la presenza della Chiesa e dei cristiani nella
Terra Santa.
Il Cavaliere si impegnava ad una fedeltà generosa nel tener fede ai propri
doveri di cristiano e all’assistenza temporale, per amore di Cristo Risorto,
vincitore del peccato e della morte, a favore di coloro che professavano la
fede cristiana in una terra devastata dalla guerra e cosparsa di lacrime.
Il Cavaliere e la Dama oggi debbono essere sempre “soldati di Cristo”,
affrontando con la parola e con la testimonianza personale i molteplici
problemi del mondo moderno. Essi non combattono per il possesso di una città
in particolare ma per l’anima del mondo stesso. Il campo di battaglia è più
ampio e coperto di molte più vittime innocenti bisognose del nostro aiuto di
quanto il buon crociato potesse immaginarsi. Il coraggio e la perseveranza
richiesta dalle lotte di oggi sorpassano di molto quella dei tempi passati.
L’impegno del Cavaliere e della Dama oggi
36. Oggi il senso di impegno che nasce dalla nostra fede battesimale ci
spinge in primo luogo «alla riscoperta del battesimo come fondamento
dell’esistenza cristiana» (13), ad essere testimoni espliciti della nostra
fede, in una continua formazione attraverso «uno studio dettagliato del
Catechismo della Chiesa Cattolica, per illuminare le (nostre) coscienze» e
nel continuo progresso per una più approfondita conoscenza di Gesù Cristo e
della sua Chiesa14. Questo è il modo di far sì che le parole degli Atti
degli Apostoli divengano una realtà: «...sarete miei testimoni in
Gerusalemme, attraverso la Giudea e la Samaria e fino ai confini della
terra» (At 1,8).
Le parole di Paolo VI sono ancora rilevanti: «L’uomo moderno fa più
attenzione ai testimoni che ai maestri; e se ascolta i maestri, lo fa perché
essi sono anche testimoni»15. Essere testimoni è la manifestazione esterna
della loro adesione a Cristo, attraverso la fede, come pure una
testimonianza di carità e di speranza al servizio dei nostri fratelli e
sorelle.
Diceva Seneca: «longum iter est per praecepta, breve et efficax per exempla»
(a Lucillo, 6,5): «lunga è la strada dei precetti, breve ed efficace quella
degli esempi».
Pellegrinaggi in Terra Santa
37. Un pellegrinaggio al Santo Sepolcro di Nostro Signore ed alla Terra
Santa rappresenta un obbligo morale che ogni Cavaliere ed ogni Dama deve
assolvere, con l’aiuto di Dio, almeno una volta nella propria vita. Il
pellegrinaggio ci aiuta ad avere una migliore comprensione del significato
delle nostre vite come “pellegrinaggio di fede” e a comprendere il loro
fondamento nella Resurrezione del Signore; esso ci fa più ricettivi di una
reciproca comprensione ecumenica e caritativa con i nostri fratelli e
sorelle nella fede e ci ricorda che “la Via della Croce” è una via di vita e
speranza. Il pellegrinaggio al Sepolcro di Nostro Signore ed agli altri
Luoghi Santi è anche un atto di solidarietà con i nostri fratelli di Terra
Santa. La nostra presenza fra loro è un incoraggiamento al popolo cristiano,
una minoranza in quella terra che vive in mezzo a tanti problemi, pressioni
e difficoltà.
La fede approfondita e la nuova esperienza compiuta sulla terra della Bibbia
e sul popolo che vi abita offre ai pellegrini il modo di dare una
particolare testimonianza a coloro con cui viviamo ed operiamo (vedere §
65).
Devozione alla Vergine Maria
38. La filiale devozione alla Beata Vergine Maria dovrà essere una
caratteristica speciale di ogni membro dell’Ordine. Così come la fede di
Maria, Madre di Gesù, illuminò il cammino percorso dai primi discepoli, così
essa dovrà illuminare anche il cammino seguito da ogni membro dell’Ordine.
Maria «modello di fede vissuta (16) è la donna docile alla voce dello
Spirito, donna del silenzio.... e della speranza»(17), soprattutto come
figlia prediletta del Padre «Ella è l’esempio perfetto di amore sia verso
Iddio sia verso il prossimo» (18).
Pace, ecumenismo e giustizia
39. Ogni membro dell’Ordine deve essere, nella società, un catalizzatore ed
un fermento per promuovere la ricerca della pace e l’unione dei cristiani in
Terra Santa, il suolo sacro che la Chiesa ha specialmente affidato
all’Ordine. Questo è “il punto di vista ecumenico” richiesto da Papa
Giovanni Paolo II nella preparazione al giubileo dell’Anno 2000 (19).
Questa preparazione richiede che ciascun membro dell’Ordine operi
attivamente ed interessi la società, nel senso più vasto della parola, a
difendere il diritto di ogni popolo a vivere in pace ed a difendere i
diritti della Chiesa, come messaggero di pace e di giustizia tra i popoli.
Il Cavaliere e la Dama del Santo Sepolcro rimane per sempre il “miles
Christi” impegnato costantemente nella lotta per dare forma al mondo moderno
e collaborare al continuo lavoro divino della creazione.
La spiritualità dell’Ordine - Mezzi e risorse
40. La ricerca di spiritualità da parte dei Membri dell’Ordine ha il suo
fondamento nella dottrina della Chiesa, nelle norme dello Statuto e nelle
direttive del Gran Maestro; essa mira ad approfondire la vita religiosa del
Cavaliere e della Dama attraverso programmi e iniziative dei Luogotenenti e
mediante l’azione costante dei responsabili locali, laici ed ecclesiastici,
che sono ad essi più vicini.
1.4. Appartenenza all’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme
I. SELEZIONE DEI CANDIDATI
Responsabilità del Luogotenente
41. La responsabilità per la selezione dei candidati spetta primariamente ai
Luogotenenti; essa viene esercitata in stretta collaborazione con i Gran
Priori, con i membri del Consiglio di Luogotenenza e con i responsabili
locali, laici ed ecclesiastici.
I Luogotenenti non devono limitarsi ad accertare i requisiti dei postulanti,
ma si adopereranno per avvicinare le persone che, nel territorio della
Luogotenenza, posseggano i requisiti morali, religiosi e professionali per
entrare a far parte dell’Ordine.
Requisiti dei candidati
42. La personalità del futuro membro dell’Ordine, sia esso Cavaliere o Dama,
dovrà essere caratterizzata non solo da una vita specchiata ma anche da una
sua visibile testimonianza di impegno laico cristiano nelle attività della
chiesa locale, a livello diocesano o parrocchiale, e nelle opere di
solidarietà e di volontariato (vedi anche Cap. II, Sez. III A).
L’ammissione all’Ordine non dovrà essere subordinata alle attese di
possibili donazioni che il candidato potrebbe fare; vi sono infatti
potenziali membri dell’Ordine che, per la loro modesta condizione sociale,
potrebbero partecipare solo limitatamente alle attività caritative della
Luogotenenza, ma sarebbero in grado di dare molto in opere di sostegno alle
attività delle Sezioni e Delegazioni locali.
Nessuno dovrebbe proporsi o essere proposto quale candidato solamente in
quanto consorte, congiunto o stretto amico di altro membro, ma per la sua
sincera aspirazione ad entrare nell’Ordine.
Ai candidati sarà richiesto di formulare per iscritto il loro desiderio di
entrare nell’Ordine e la loro disponibilità ad accettare tutti gli impegni e
le obbligazioni che la qualità di membro comporta.
Presenza nell’Ordine di Signore e di giovani
43. L’avvenire e lo sviluppo dell’Ordine esige una presenza diversificata di
Cavalieri e di Dame che rispondano alle condizioni richieste per farne
parte. L’Ordine pertanto non dovrebbe essere limitato agli anziani o alle
persone che abbiano concluso la loro attività professionale. Esso ha bisogno
di giovani e di Signore in grado di animarne le attività e di offrire
all’Ordine quel sostegno, sia finanziario, sia di altra natura che esso
richiede.
Pur apprezzando lo sviluppo, recentemente prodottosi nell’Ordine, per cui le
Dame hanno ormai accesso a tutti gli incarichi destinati ai laici, appare
necessario che venga analizzato se vi sia un ruolo specifico che le Dame e i
giovani potrebbero svolgere nella vita dell’Ordine.
II. FORMAZIONE DEI CANDIDATI
Il periodo di preparazione
44. Tutti i Candidati all’Ordine dovranno compiere un periodo di formazione
ed essere seguiti da un Cavaliere o da una Dama, possibilmente con
l’assistenza di un ecclesiastico.
Essi devono cominciare con la partecipazione ai diversi eventi organizzati
dalla Luogotenenza, in modo da approfondire la loro conoscenza dell’Ordine e
delle finalità che esso si prefigge, giungendo così all’investitura con la
consapevolezza di ciò che significa essere Cavaliere o Dama del Santo
Sepolcro e di quella che è la sua posizione nella Chiesa e nella società
odierna.
Contenuto e scopo della preparazione dei candidati
45. La preparazione non dovrà limitarsi alla partecipazione ad attività
religiose, ma dovrà iniziare il candidato alla conoscenza degli ideali di
spiritualità che sono propri dell’Ordine, nonché del suo funzionamento. Tale
preparazione permetterà ai candidati, prima della loro decisione definitiva
di entrare nell’Ordine, di conseguire una piena consapevolezza degli impegni
che essi dovranno assumersi e della propria volontà di conformarvisi. A tal
fine, potrebbero essere proposti all’attenzione del candidato temi di studio
come “La Chiesa ed i Luoghi Santi”, “Il Patriarcato Latino di Gerusalemme”,
“Il pellegrinaggio in Terra Santa ed il suo significato spirituale” e
“l’Ordine del Santo Sepolcro nella storia ed oggi”, “la situazione attuale
socio-economica e politica in Terra Santa”, “Gerusalemme e la sua importanza
per i cristiani”, ed altri della stessa natura, come “le
religioni in Terra Santa”.
III. CERIMONIE DI INVESTITURA DELL’ORDINE
Liturgia e simboli
46. La liturgia cristiana comprende simboli e segni che possono essere
studiati nel loro aspetto sociologico, ma che possono pienamente essere
compresi soltanto attraverso la fede e l’appartenenza alla Chiesa. Come ha
insegnato il Concilio Vaticano II: «nella liturgia Dio parla al suo popolo e
Cristo annunzia ancora il suo Vangelo; il popolo a sua volta risponde a Dio
con il canto e la preghiera»(20).
47. Simboli e segni sono necessari; senza di essi riti e cerimonie
potrebbero perdere parte del loro significato più profondo. Simboli e segni
debbono essere chiari, comprensibili, portatori di un messaggio spirituale
che rinforza, per coloro che li percepiscono, l’impegno ad una vita
cristiana. La Chiesa con le riforme introdotte nella sua liturgia negli
ultimi decenni, offre all’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme
un modo di procedere ed un modello per aggiornare e riformare i suoi rituali
e le sue cerimonie.
Simboli evocativi usati dall’Ordine
48. L’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, con l’approvazione
della Chiesa, ha i propri riti e cerimonie, i quali sono espressione delle
sue specifiche caratteristiche e della sua missione nell’ambito del Corpo
mistico di Cristo, la Chiesa. Il Sepolcro di Cristo è il grande simbolo di
questa speciale associazione di fedeli cristiani dedicata a svolgere la sua
missione ed a raggiungere le finalità che le sono state affidate dalla
Chiesa.
Tra gli altri simboli cari all’Ordine e ad esso caratteristici vi è la Croce
potenziata o Croce di Gerusalemme che costituisce la sua bandiera e il suo
emblema. Il suo colore rosso sangue richiama l’amore di Cristo nostro
Redentore (Gv 15,13) il Suo Sangue sparso per noi, la Sua morte e
resurrezione.
Il mantello capitolare, o abito da chiesa, rappresenta il vestito dei
salvati ed il mantello di giustizia (Is 61, 10), testimonianza della nostra
unione, ad opera della grazia, con Cristo, l’Agnello Immacolato. La
partecipazione dei membri dell’Ordine agli atti di culto pubblico nella
Chiesa, in quanto comunità speciale di fedeli nel quadro del popolo di Dio,
e l’abbraccio di pace con cui i nuovi membri vengono accolti e ricevuti
nell’Ordine, anche questi sono segni nobili ed evocativi di grande
importanza.
Comprensione dei simboli dell’Ordine
49. Vi sono simboli usati dall’Ordine nel corso della sua storia i quali,
con il passaggio del tempo e con i cambiamenti verificatisi nella cultura e
nelle abitudini sociali, hanno perso parte dell’importante simbolismo e del
significato del loro messaggio. Anzi, in molte culture moderne, alcuni di
questi simboli sono interpretati nel senso opposto del loro originale
significato.
Quello che dice il Concilio Vaticano sulla Liturgia della Chiesa può qui
molto bene applicarsi: «La liturgia consta di una parte immutabile, perché
di istituzione divina, e di parti suscettibili di cambiamento, che nel corso
dei tempi possono o addirittura devono variare qualora si siano introdotti
in esse elementi meno rispondenti alla intima natura della liturgia stessa,
oppure queste parti siano diventate non più idonee»(21).
50. Uno dei più importanti simboli usati nelle Cerimonie di Investitura è la
spada talora chiamata la spada di Goffredo. Originariamente questo simbolo
ricordava le origini dell’Ordine associate alla liberazione della Terra
Santa da parte dei crociati e alla protezione di cristiani e pellegrini.
Nella società moderna, che sempre meno apprezza simboli legati a strumenti
di guerra e che è motivata piuttosto dalla ricerca di pace e giustizia,
specialmente nella Terra Santa, è necessario sottolineare il simbolismo
spirituale della spada.
S. Paolo ci dice che dobbiamo armarci per la battaglia contro il male:
«prendete perciò l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno
malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove; state dunque
ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della
giustizia ed avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare il vangelo
della pace. Tenete sempre in mano lo scudo della fede con il quale potete
spegnere tutti i dardi infuocati del maligno; prendete anche quello della
salvezza e la spada dello spirito, cioè la parola di Dio» (Ef 6, 13-17).
La spada è anche un simbolo adatto di quell’importante ideale dell’antica
cavalleria che è anche oggi parte della missione del cavaliere e del Santo
Sepolcro: difendere i deboli e gli indifesi; esso evoca un altro importante
aspetto della spiritualità e della vita del moderno Cavaliere o Dama e cioè
la lotta coraggiosa per la giustizia e per la pace.
51. Un altro elemento delle cerimonie dell’Ordine che – per evidenti motivi
– ha perso molto del suo significato originale è la presentazione degli
speroni. Converrebbe quindi che, volendola mantenere, a questo momento della
cerimonia venisse dato un significato più ampio e spirituale. Indica,
infatti, la sollecitudine che bisogna avere nelle cose di Dio, spronando se
stessi e gli altri al bene e alla carità, come dice S. Paolo «calzando ai
piedi lo zelo per propagare il vangelo della pace» (Ef 6, 15).
Riesame delle cerimonie e dei simboli dell’Ordine
52. Nelle cerimonie dell’Ordine, specialmente al momento dell’investitura,
dovrebbe essere dato maggiore spazio all’emblema dell’Ordine (le 5 Croci di
Gerusalemme). La consegna della Croce dovrebbe essere il primo atto
simbolico delle cerimonie di investitura e precedere l’imposizione della
spada; la Croce è un simbolo più evocativo e più ricco di significato. La
spada e gli speroni sono i simboli dell’Ordine equestre. Come il Cavaliere
di altri tempi che, avendo deciso di partecipare alla crociata per liberare
la Terra Santa, era investito con la croce come simbolo del suo impegno,
colui che è ammesso nell’Ordine riceve la croce come simbolo del fatto che
egli diventa, in seno alla Chiesa, portatore di speciali responsabilità nei
confronti della Terra Santa.
53. Ugualmente importante è la presentazione dei Vangeli che sono il vero
codice di un Cavaliere di Cristo. Essa è anche un ricordo del permanente
impegno evangelico assunto da colui che entra nell’Ordine, ma non bisogna
dimenticare che già la Croce è il Vangelo, come dice S.Paolo (1a Cor 22-25).
54. Occorre anche prestare attenzione all’ultimo atto della preparazione per
l’ammissione nell’Ordine il quale potrebbe essere anche chiamato “veglia di
preghiera” piuttosto che una “vigilia d’armi” o altro termine analogo usato
nel passato.
Essa normalmente dovrà essere celebrata la sera prima della cerimonia di
Investitura. Dovrà consistere in una liturgia della Parola, con appropriate
preghiere, letture ed omelia. Durante la Veglia saranno benedetti i mantelli
e le insegne degli investendi. In ogni caso sarebbe auspicabile una migliore
armonizzazione fra le Luogotenenze delle cerimonie della “veglia”. Il
carattere della Veglia dovrebbe anche simbolizzare la preparazione immediata
del candidato per un impegno di vita nel servizio dell’Ordine.
55. Per quanto riguarda i testi liturgici delle cerimonie e delle
celebrazioni dell’Ordine, essi dovranno essere arricchiti con insegnamenti
biblici e dottrinali sotto forma di esortazioni e di preghiere, che, oltre
al messaggio spirituale che esse contengono, possano costituire un piccolo
manuale nel quale i Cavalieri e le Dame trovino argomenti di riflessione,
incoraggiamenti e nuovi stimoli per svolgere la missione alla quale essi si
sono impegnati davanti a tutta la Chiesa.
56. Il simbolismo del diverso colore del mantello dei Cavalieri e di duello
delle Dame non è ben compreso da alcuni membri ed è spesso contestato da
parte di potenziali candidati all’Ordine.
57. Una Commissione “ad hoc” potrebbe studiare il modo di formalizzare le idee e i suggerimenti sopraindicati e, dopo consultazione con le Luogotenenze ed i rispettivi Gran Priori, presentare proposte concrete al Gran Magistero.
IV. FORMAZIONE PERMANENTE DEI MEMBRI
Responsabilità dei Luogotenenti e dei Gran Priori
58. I Luogotenenti e i Gran Priori – ciascuno nell’ambito delle rispettive
funzioni – dovranno curare la formazione permanente dei Cavalieri e delle
Dame.
Argomenti significativi per la formazione permanente
59. In un quadro che riguarda sia l’impegno di apostolato, sia la formazione
permanente dei Membri dell’Ordine per una maggiore consapevolezza della loro
presenza nella vita della Chiesa, le Luogotenenze stesse come pure le
Sezioni e le Delegazioni, in ogni caso con l’assistenza di ecclesiastici,
dovranno farsi promotrici di iniziative atte ad intensificare tale
formazione per mezzo di incontri, conferenze sull’approfondimento della vita
cristiana, sulla conoscenza delle Sacre Scritture, sul mistero della
Resurrezione del Signore, sugli insegnamenti del Magistero della Chiesa,
soprattutto le encicliche papali ed altri documenti recenti nonché la
spiritualità e la storia dell’Ordine.
Le Luogotenenze inoltre dovranno promuovere attività di natura etica,
culturale e religiosa atte ad alimentare il dibattito ed illuminare
l’opinione pubblica su problemi etici e sociali, quali quelli indicati nella
Sez. II del Cap. II.
Schemi per le materie di approfondimento e di discussione dovranno essere
preparati da esperti qualificati e distribuiti alle Luogotenenze. Gli
“Annales dell’Ordine” ed i Bollettini delle Luogotenenze potranno anche
essere utilizzati come mezzi di formazione permanente.
1.5. Le luogotenenze al servizio dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di
Gerusalemme
L’IMPORTANZA DEL RUOLO DELLE LUOGOTENENZE
60. L’attività delle Luogotenenze è essenziale nel quadro generale della
vita dell’Ordine del Santo Sepolcro e del perseguimento degli ideali e delle
finalità che esso si propone
I. LE LUOGOTENENZE ED IL GRAN MAGISTERO
61. La vita dell’Ordine si realizza nella Luogotenenza. La Luogotenenza è il
luogo dove i futuri membri sono reclutati e formati, dove la spiritualità
dell’Ordine è sostenuta, dove l’Ordine si rinnova nella fraternità e nella
carità che lega assieme i membri della Luogotenenza stessa, dove la
testimonianza dei membri dell’Ordine appare in tutta la sua luce nella
società nella quale essi vivono. Le Luogotenenze godono necessariamente di
un alto livello di autonomia tenendo conto specialmente delle diverse realtà
sociali ed economiche in cui esse operano. Principio questo riconosciuto
dallo stesso Statuto dell’Ordine(22).
Le Luogotenenze, beninteso, sono e rimangono una parte subordinata di una
più larga realtà che è l’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme.
L’Ordine, esteso in tutto il mondo, costituisce un corpo solo guidato da una
autorità centrale, il Gran Maestro, nominato dal Santo Padre ed assistito
dal Gran Magistero. È dovere e responsabilità del Gran Magistero adottare
provvedimenti ed emanare direttive applicabili a tutte le Luogotenenze allo
scopo di assicurare l’unità di intenti e di azione dell’Ordine. Nello stesso
tempo è dovere e responsabilità delle Luogotenenze cooperare e reagire
positivamente a questi provvedimenti e direttive intesi a garantire l’unità
dell’Ordine.
II. RESPONSABILITÀ DELLE LUOGOTENENZE
62. A ciascun Luogotenente, assistito dal Gran Priore e dai Membri del
Consiglio di Luogotenenza, dai Delegati e Priori locali, incombe una serie
di responsabilità per la vita della Luogotenenza, oltre quelle che
riguardano la selezione dei nuovi membri (Cap. III, Sez. I e II), la
formazione continua (§§ 58-59) e quelle legate all’attività caritativa verso
la Terra Santa.
Ogni Luogotenente è responsabile per:
a) la crescita morale della Luogotenenza ad esso affidata; questa
responsabilità ha carattere primario ed è premessa indispensabile ad ogni
altra attività di ordine caritativo, organizzativo o assistenziale;
b) la promozione di una migliore conoscenza dell’Ordine nella società in cui
la Luogotenenza opera;
c) l’instaurazione o, nella maggior parte dei casi, il rafforzamento dei
rapporti fra la Luogotenenza e il Vescovo locale, assicurando la
partecipazione dei Cavalieri e delle Dame alle iniziative di apostolato e
caritativo nell’ambito diocesano. In ogni caso, offrendo al Vescovo locale
la loro disponibilità al servizio della Chiesa;
d) la crescita della Luogotenenza anche sotto l’aspetto quantitativo,
riesaminando criticamente i propri metodi di reclutamento ed i criteri di
selezione.
Assicurare una adeguata direzione della Luogotenenza
63. Il Luogotenente dovrà preparare i propri Confratelli ad assumere impegni
specifici per il funzionamento della Luogotenenza ed assicurare un regolare
avvicendamento dei Cavalieri e delle Dame in seno al Consiglio e nelle
cariche previste dagli art. 42 e 44 dello Statuto. Avvicinandosi il termine
del suo mandato, egli dovrà anche essere in grado, di intesa con il Gran
Priore, di suggerire al Gran Maestro il nome di eventuali Candidati capaci e
disposti a sostituirlo.
Sostenere la partecipazione attiva dei membri
64. Il Luogotenente dovrà promuovere la regolare revisione delle liste dei
Cavalieri e delle Dame della Luogotenenza onde accertare le reali intenzioni
di coloro che diano l’impressione, con il passare degli anni, di aver perso
l’interesse per gli ideali e le attività dell’Ordine.
Questa revisione, che dovrà essere condotta secondo procedure raccomandate
dal Gran Magistero, ed in ogni caso ispirate a criteri di discrezione e di
cristiana carità, potrà concludersi, secondo i casi, con una formale
esclusione dalle liste dell’Ordine (secondo le procedura dell’art. 51 dello
Statuto) o, più semplicemente, interrompendo ogni comunicazione con essi.
Organizzazione dei pellegrinaggi in Terra Santa
65. Il Luogotenente, sia personalmente sia attraverso un coordinatore di
pellegrinaggi da lui nominato, dovrà assicurare la corretta pianificazione,
promozione, organizzazione e svolgimento di pellegrinaggi della Luogotenenza
in Terra Santa.
Il pellegrinaggio oltre le visite al Santo Sepolcro ed altri Luoghi Santi ed
al Patriarcato, dovrebbe prevedere il tempo necessario per contatti con la
Chiesa locale, per es. una visita ad una parrocchia, una partecipazione ad
una Messa domenicale seguita da un incontro con il parroco ed i
parrocchiani, una visita all’Università di Bethlemme con incontri con i
docenti e gli studenti. Piccoli gruppi di pellegrini potrebbero visitare
case di famiglie cristiane in una parrocchia o in una zona determinata. È
opportuno che l’assistenza ed il consiglio del Patriarcato venga a tal fine
richiesto.
Il Luogotenente dovrebbe servirsi di un’agenzia di viaggi e di guide consapevoli che il viaggio in Terra Santa è un pellegrinaggio e non un evento turistico e che siano in grado di assicurare i contatti con la Chiesa locale come più sopra suggerito.
III. VISITE ALLA SEDE DELL’ORDINE
66. Ogni 4 anni sarebbe bene che, avendone l’opportunità, ciascun
Luogotenente facesse una visita alla sede dell’Ordine per presentare al Gran
Maestro un rapporto completo sullo stato della sua Luogotenenza e sullo
svolgimento dei compiti che gli sono affidati.
Incontri regionali
67. Sono auspicabili incontri regionali fra Luogotenenti. Il Gran Magistero
dovrà esserne informato in anticipo ed invitato a farvisi rappresentare.
1.6. Il Gran Magistero al servizio dell’Ordine Equestre del Santo
Sepolcro di Gerusalemme
I. GUIDA E COORDINAMENTO DELLE ATTIVITÀ DELL’ORDINE
Il ruolo centrale del Gran Magistero
68. Nell’assistere i Luogotenenti a far fronte alle responsabilità di natura
spirituale, materiale, caritativa ed amministrativa, il Gran Magistero
svolge un ruolo di guida e di coordinamento.
A tal fine «il Gran Magistero in conformità alle direttive impartite dal
Cardinale Gran Maestro, .... predispone e programma l’attività dell’Ordine
in Terra Santa» e «orienta e coordina le attività delle organizzazioni
nazionali (Luogotenenze)»(23).
L’attività del Gran Magistero, in applicazione del citato articolo dello
Statuto, è continuamente oggetto di affinamenti e ritocchi; essa si svolge
nelle sue due sessioni annuali attraverso un costante dialogo con le
Luogotenenze, come pure, nel quadro delle riunioni informali a livello
regionale e attraverso la corrispondenza ed i contatti di lavoro.
Il Gran Magistero tiene informate le Luogotenenze sulle sue decisioni più importanti di interesse generale, sullo stato di avanzamento dei progetti adottati o finanziati dall’Ordine e sugli aspetti finanziari della sua amministrazione.
Equità contributiva fra i membri
69. Il Gran Magistero prende le disposizioni necessarie affinché venga
assicurata l’equità contributiva fra i membri dell’Ordine, tenendo conto
delle diverse situazioni sociali, politiche ed economiche dei paesi in cui
operano le singole Luogotenenze.
Consistenza comparativa degli effettivi delle Luogotenenze
70. Il Gran Magistero dovrà vegliare con grande attenzione al problema della
consistenza degli effettivi dei Cavalieri o delle Dame. Esistono difatti fra
le varie Luogotenenze operanti in paesi di misura, di cultura e di sviluppo
comparabili, notevoli differenze per quanto attiene alla proporzione fra
membri dell’Ordine e l’insieme della popolazione cattolica.
Il Gran Magistero dovrà approfondire le cause di questo fenomeno (dovuto
forse ad una diversa interpretazione dei criteri di ammissione, ad una
minore visibilità della presenza dell’Ordine nel territorio, o al fatto che
alcune Luogotenenze sono state istituite di recente) e adottare nuove
procedure e criteri, onde evitare che esso si perpetui.
Restano ferme, come è evidente, le direttive fissate dallo Statuto per
l’ammissione di nuovi membri e le raccomandazioni formulate dalla Consulta
in questa materia.
La creazione di nuove Luogotenenze o Delegazioni Magistrali
71. II Gran Magistero deve continuare ad esplorare la possibilità che
l’Ordine sia introdotto nei Paesi in cui esso non è ancora presente.
Suddivisione territoriale delle Luogotenenze
72. Il Gran Magistero ha la responsabilità di esaminare, in consultazione
con le Luogotenenze interessate, le articolazioni territoriali delle
Luogotenenze stesse e l’efficacia della loro effettiva presenza in tutte le
parti del paese che rientrano nella propria giurisdizione. A questo scopo il
Gran Magistero, in taluni casi, si dovrà pronunziare sulla opportunità che,
nel Paese in questione, vengano create altre Luogotenenze suddividendo
quelle già esistenti.
Durata dell’incarico di Luogotenente
73. Il Gran Magistero dovrà stabilire una prassi secondo cui l’incarico di
Luogotenente e degli altri Responsabili delle Luogotenenze sia normalmente
limitato a due mandati (8 anni); ciò allo scopo di permettere un più rapido
avvicendamento e l’apporto di energie nuove ai vertici delle Luogotenenze.
II. COORDINAMENTO DELLE ATTIVITÀ CARITATIVE DELL’ORDINE
Bilanci di previsione
74. Ogni Luogotenenza dovrà presentare al Gran Magistero, entro la fine di
gennaio di ogni anno, un bilancio di previsione dell’ammontare delle
donazioni che essa ritiene di poter mettere a disposizione dell’Ordine
nell’anno in corso.
Tale documento, munito delle date in cui gli invii saranno presumibilmente
effettuati, consentirà al Gran Magistero di valutare più accuratamente la
natura e la consistenza economica dei propri interventi in Terra Santa.
Rapporti annuali
75. Lo Statuto dell’Ordine prevede che le Luogotenenze e le Delegazioni
Magistrali presentino al Cardinale Gran Maestro ed al Gran Magistero una
relazione annuale che includa un dettagliato rapporto della loro gestione
finanziaria ed amministrativa (24).
Si raccomanda una formulazione standardizzata del rapporto annuale, da cui
risulti l’ammontare delle somme raccolte per conto dell’Ordine e la loro
destinazione: spese di amministrazione e segretariato, e risorse inviate al
Gran Magistero secondo le varie rubriche (Spese Istituzionali, Progetti,
Messe, Spese mediche e altre).
Le Luogotenenze promotrici di iniziative e progetti non sottoposti all’esame
del Gran Magistero, dovranno, in particolare, riferire sull’oggetto
dell’intervento, sulle finalità del progetto e dell’Istituzione assistita,
sul contesto socio-economico dell’intervento e sulla natura della fonte
delle risorse utilizzate.
Disposizioni per l’impegno ottimale delle risorse inviate in Terra Santa
76. Le segnalazioni provenienti dai membri del Gran Magistero e dalle
Luogotenenze hanno messo in rilievo l’importanza che viene attribuita ad una
efficace utilizzazione delle risorse economiche che vengono trasferite ogni
anno in Terra Santa.
Le Luogotenenze in particolare si preoccupano:
da una parte della possibilità di sprechi e di inefficienza nella gestione
dei progetti. Dall’altra, della necessità di essere in grado di convincere i
propri aderenti che i loro sacrifici, grandi o piccoli che siano,
raggiungono lo scopo per cui essi vengono compiuti e chiedere ad essi di
essere sempre più generosi.
77. Il Gran Magistero dovrebbe potenziare la Commissione per la Terra Santa,
dando ad essa l’incarico di seguire con particolare cura la realizzazione
(in tutti gli aspetti tecnici, finanziari e logistici), dei progetti
approvati dal Gran Magistero.
A tal fine il Gran Magistero dovrebbe meglio definire i termini di mandato
della Commissione, riesaminarne, se necessario, la composizione ed
includervi personale specializzato dotato di adeguata esperienza in materia.
Dovrebbe inoltre stanziare i fondi necessari destinati a coprire le spese di
viaggio e di soggiorno in Terra Santa del personale specializzato in
questione.
Raccolta ed organizzazione delle informazioni
78. Il Gran Magistero, in consultazione con la Commissione per la Terra
Santa e con il Patriarca Latino di Gerusalemme, dovrebbe raccogliere
maggiori informazioni sulla struttura del bilancio patriarcale, dando più
grande visibilità al mantenimento del clero ed effettuando la separazione
contabile delle somme destinate al finanziamento delle scuole, in modo che
il contributo dell’Ordine venga maggiormente destinato alla concessione di
borse di studio a favore di studenti bisognosi.
È emersa pertanto la necessità di creare una Commissione per le scuole.
Questo organismo dovrebbe studiare tutti gli aspetti dei problemi e fornire
avvisi sia al Gran Magistero che al Patriarcato.
Riesame e riorganizzazione delle attività caritative dell’Ordine
79. Una preoccupazione espressa in maniera ricorrente dalle Luogotenenze, e
discussa in seno al Gran Magistero, pone la domanda se per suscitare una
sempre maggiore generosità da parte dei Cavalieri e delle Dame non sarebbe
possibile ed opportuno contenere le risorse annualmente destinate alle
cosiddette “Spese Istituzionali” del Patriarcato, diversificando i settori
di intervento dell’Ordine.
Ci si chiede anche se, allo scopo di rallentare il fenomeno dell’emigrazione
della popolazione cristiana, non converrebbe diminuire gli investimenti
immobiliari, favorendo iniziative “sociali” quali aiuti per la formazione
professionale, prestiti per alloggi a giovani coppie o per l’inizio di
attività commerciali e lavorative.
Poiché la questione merita un esame approfondito che tenga anche conto dei recenti sviluppi della situazione socio politica in Terra Santa, il Gran Magistero dovrebbe costituire uno “Standing Committee” che si riunisca almeno due volte l’anno e che riferisca al Gran Magistero stesso nella sua sessione primaverile.
Progetti ed iniziative noti sottoposti al Gran Magistero
80. Alcune Luogotenenze promuovono iniziative diverse da quelle oggetto di
decisioni del Gran Magistero. Esse vengono finanziate con risorse attinte
anche a fonti esterne (organizzazioni non governative, benefattori non
membri dell’Ordine) e vengono destinate, nella maggior parte dei casi a
opere e istituzioni religiose non dipendenti dal Patriarcato.
Tuttavia tali iniziative, di per sé comprensibili, si svolgono talora senza
alcuna consultazione con il Gran Magistero e senza nessuna valutazione
globale della priorità e della efficacia degli interventi compiuti. Il che
si traduce in una inevitabile dispersione delle iniziative ed in un ridotto
tasso di efficienza delle stesse.
81. Per evitare gli effetti negativi che derivano da tale situazione e per
assistere le Luogotenenze, la Commissione per la Terra Santa – che ha
continui contatti con le quotidiane realtà della presenza cristiana in Terra
Santa e ne conosce i problemi e le necessità – dovrebbe presentare
regolarmente al Gran Magistero una lista documentata di “piccoli progetti”
di cui essa stessa dovrebbe garantire la validità ed indicare l’urgenza.
Tali progetti sarebbero quindi proposti alle Luogotenenze per interventi
diretti in Terra Santa nei casi in cui non fosse possibile od opportuno
passare attraverso il tramite decisionale del Gran Magistero.
In ogni caso questi “progetti raccomandati” dovrebbero restare di piccole
dimensioni e rappresentare una percentuale minore dei contributi annuali
raccolti dalle Luogotenenze.
III. ALLARGAMENTO DELLA ATTIVITÀ CARITATIVA IN TERRA SANTA
Collaborazione con altre Organizzazioni
82. Oltre all’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, numerose
sono le Istituzioni, Enti, Agenzie, Fondazioni che assistono in maniera
regolare ed in molti casi sostanziale le Istituzioni Cattoliche in Terra
Santa. Tuttavia, lo scambio di informazioni fra i predetti Enti ed
Istituzioni è assai limitato, per quanto riguarda la scelta delle
Istituzioni, delle iniziative da sostenere e dei progetti da finanziare.
Sebbene le varie Agenzie hanno bisogno di
mantenere la loro libertà d’azione, altrettanto necessario è un
coordinamento, o almeno, una consultazione su più larga scala.
83. Allo scopo di consentire un più ampio scambio di informazioni e di
esperienze, di migliorare la consultazione e la cooperazione, di evitare la
duplicazione degli sforzi, il Gran Magistero dovrebbe raccomandare alla
Congregazione per le Chiese Orientali che venga costituito un Comitato ad
hoc per la Terra Santa in seno alla ROACO, la riunione semiannuale delle
Agenzie che forniscono aiuti alle Chiese Orientali. Questo Comitato si
potrebbe riunire prima o dopo ciascuna sessione della ROACO e i suoi membri
includerebbero le Organizzazioni e le Agenzie che sono specialmente attive
in Terra Santa.
Una partecipazione attiva dell’Ordine al Comitato avrebbe, fra l’altro, il
vantaggio di avviare i contatti con le Comunità cattoliche di rito diverso
da quello latino presenti in Terra Santa, aprendo così la via ad una
auspicabile espansione ad esse delle attività caritative dell’Ordine.
IV. ESPANSIONE DELLE ATTIVITÀ CARITATIVE DELL’ORDINE
84. Ancorché lo Statuto dell’Ordine affermi che esso ha lo scopo «...di
sostenere ed aiutare le opere e le istituzioni cultuali, caritative,
culturali e sociali della Chiesa cattolica in Terra Santa, particolarmente
quelle nel Patriarcato Latino di Gerusalemme...»(25), attualmente il Gran
Magistero concentra le sue attività e le sue risorse quasi esclusivamente su
iniziative in appoggio del clero e dei fedeli del Patriarcato Latino.
Molte Luogotenenze dell’Ordine, tuttavia, seguono già la pratica di
assistere le Istituzioni Cattoliche che non rientrano nella giurisdizione
del Patriarcato Latino prendendo iniziative per finanziare progetti e
programmi da esse promosse.
85. Lo Statuto include anche fra gli scopi dell’Ordine... «quello di zelare
la conservazione e la propagazione della fede in quelle terre (la Terra
Santa), interessandovi i cattolici sparsi in tutto il mondo... nonché tutti
i fratelli cristiani...»(26).
Questa disposizione dà appoggio all’idea che l’Ordine operi in uno spirito
ecumenico e partecipi a progetti a favore di Chiese non cattoliche in Terra
Santa disposte a cooperare con esso, come parte della sua missione destinata
a sostenere la presenza cristiana in Terra Santa. Questa idea trova
riscontro nell’esortazione indirizzata ai membri dell’Ordine da Stia Santità
il Papa Giovanni Paolo Il nella udienza concessa al termine della Consulta
il 17 ottobre 1998. 86. L’estensione dell’attività caritativa dell’Ordine a
chiese cattoliche diverse da quella latina ed anche ad altre chiese e
comunità cristiane presuppone che l’Ordine mantenga inalterati i suoi
attuali impegni ed il suo appoggio al Patriarcato Latino di Gerusalemme.
L’estensione delle attività caritative dell’Ordine dovrebbe svolgersi
gradualmente e prudentemente; essa potrebbe prendere la forma di appoggio a
specifici progetti piuttosto che di un invito a presentare richieste di
finanziamenti.
Non dovrebbe far sorgere aspettative impossibili a mantenere o dar
l’impressione che l’Ordine miri a stabilire rapporti preferenziali con gli
uni piuttosto che con gli altri.
Ogni azione a favore delle comunità cristiane non cattoliche deve essere
coordinata dal Gran Magistero, d’intesa con il Pontificio Consiglio per la
Promozione dell’Unità dei Cristiani e con le altre autorità ecclesiastiche
competenti, affinché non avvenga che l’Ordine, senza volerlo, interferisca
nei contatti ecumenici in corso.
Collaborazione ecumenica nelle attività caritative dell’Ordine
87. Le singole Luogotenenze potrebbero sollecitare la collaborazione di
altre Chiese attive nel territorio di loro giurisdizione, per appoggiare
iniziative ecumeniche in Terra Santa.
Contatti e rapporti con altre Chiese e comunità cristiane dovrebbero farsi
in pieno accordo e coordinamento con il Vescovo locale o il suo delegato per
le questioni ecumeniche. Detti contatti e rapporti dovrebbero stabilirsi in
primo luogo con quelle chiese cristiane che hanno una larga presenza nel
territorio della Luogotenenza.
88. I Luogotenenti dovrebbero incoraggiare i membri dell’Ordine ad essere
attivi in iniziative ecumeniche nell’ambito delle rispettive diocesi
prendendo parte a corsi, conferenze ed incontri di preghiere. Ciò al duplice
scopo di promuovere fra le Dame e i Cavalieri una migliore consapevolezza
delle altre chiese e confessioni cristiane e di creare relazioni amichevoli
con i rappresentanti di altre chiese cristiane suscettibili di cooperare in
future iniziative.
89. Il Gran Magistero dovrebbe affidare ad una Commissione permanente
l’incarico di studiare possibili attività dell’Ordine nel campo
dell’ecumenismo.
1.7. Guardando alla gloria della resurrezione
Il punto di riferimento spirituale dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro
di Gerusalemme è il Santo Sepolcro, il luogo cioè dove il mistero della
Resurrezione del signore Gesù è particolarmente celebrato, quella
Resurrezione che è la pietra centrale della fede dei cattolici e di tutti i
cristiani.
La speranza e la preghiera del Signore: «che tutti siano uno» deve guidare
la carità e l’opera dell’Ordine nella Terra Santa e dovunque nel mondo. Lo
sviluppo di rapporti ecumenici con altre Chiese e Comunità cristiane deve
essere una priorità di azione.
Al di sopra di tutto ciò l’attività dell’Ordine e di ciascuno dei suoi
membri deve ispirarsi all’amore, «perché in questo modo tutti sapranno che
siete miei discepoli, se vi amerete gli uni gli altri» (Gv 13-35).
Discorso del Santo Padre Giovanni Paolo II ai partecipanti al Giubileo
dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme
2 marzo 2000
1. Con grande gioia vi accolgo, cari Cavalieri, Dame ed Ecclesiastici che
rappresentate il benemerito Ordine Equestre del Santo Sepolcro di
Gerusalemme. Voi siete convenuti a Roma dai Cinque Continenti per celebrare
il vostro Giubileo. A tutti va il mio saluto cordiale!
Ringrazio con fraterno affetto il Signor Cardinale Carlo Furno, che si è
fatto interprete dei comuni sentimenti. Nelle sue parole ho colto il vostro
desiderio di rispondere adeguatamente allo specifico servizio alla Terra
Santa, che è proprio dell’Ordine. Si tratta di un’importante missione:
grazie al vostro generoso impegno spirituale e caritativo in favore dei
Luoghi Santi e del Patriarcato Latino di Gerusalemme s’è potuto fare molto
per la valorizzazione del prezioso patrimonio di testimonianze storiche che
si conservano in Terra Santa. Ad esse guarda con rinnovato interesse
l’odierna società, tecnologicamente evoluta, ma bisognosa come non mai di
valori e di richiami spirituali.
2. Il vostro Ordine Equestre, nato alcuni secoli fa quale “Guardia d’onore”
per la custodia del Santo Sepolcro di Nostro Signore, ha goduto d’una
singolare attenzione da parte dei Romani Pontefici. Fu il Papa Pio IX, di
venerata memoria, che nel 1847 lo ricostituì, per favorire il ricomporsi di
una Comunità di fede cattolica in Terra Santa. Questo grande Papa restituì
al vostro Ordine la sua funzione primitiva, ma con una significativa
differenza: la custodia della Tomba di Cristo non sarebbe più stata affidata
alla forza delle armi, ma al valore di una costante testimonianza di fede e
di solidarietà verso i cristiani residenti nei Luoghi Santi.
È questo ancor oggi il vostro compito, carissimi Cavalieri e Dame del Santo
Sepolcro di Gerusalemme. La celebrazione del Giubileo vi aiuti a crescere
nella pratica assidua della fede, nell’esemplare condotta morale e nella
generosa collaborazione alle attività ecclesiali a livello sia parrocchiale
che diocesano. L’Anno Santo, che è tempo di personale e comunitaria
conversione, veda ciascuno di voi intento a sviluppare ed approfondire le
tre virtù caratteristiche dell’Ordine:
«zelo alla rinuncia in mezzo a questa società dell’abbondanza, generoso
impegno per i deboli e i non protetti e lotta coraggiosa per la giustizia e
la pace» (Direttive per il rinnovamento dell’Ordine Equestre del Santo
Sepolcro di Gerusalemme in vista del Terzo Millennio, n. 18).
3. Un vincolo antico e glorioso lega il vostro Sodalizio cavalleresco al
luogo del Sepolcro di Cristo, dove viene celebrata in maniera tutta
particolare la gloria della Risurrezione. È proprio questo il fulcro
centrale della vostra spiritualità. Per rinnovare tale millenario vincolo e
rendere sempre più viva ed eloquente questa vostra testimonianza evangelica,
voi avete provveduto ad elaborare nuove direttive per la vostra attività,
nel quadro dello Statuto del vostro Ordine. Siete infatti consapevoli che,
all’avvio di un nuovo millennio, si impone un’aggiornata interpretazione
della regola di vita del vostro singolare servizio. Anche per voi, come del
resto per ogni cristiano, decisiva è la riscoperta del Battesimo, fondamento
di tutta l’esistenza cristiana. E questo esige un accurato approfondimento
catechetico e biblico, una seria revisione di vita ed un generoso slancio
apostolico.
Sarete così aperti al mondo di oggi senza venir meno allo spirito
dell’Ordine, il cui auspicato rinnovamento dipende soprattutto dalla
personale conversione di ciascuno. Come reclamano le vostre insegne: «Oportet
gloriari in Cruce Domini Nostri Jesu Christi»: è necessario gloriarsi della
Croce del Nostro Signore Gesù Cristo. Sia Cristo il centro della vostra
esistenza, di ogni vostro progetto e programma, sia personale sia
associativo.
4. Carissimi Fratelli e Sorelle, tra qualche settimana, a Dio piacendo, avrò
anch’io la grazia di rendere visita al Santo Sepolcro. Potrò così sostare in
preghiera nel luogo in cui Cristo ha offerto la sua vita e l’ha poi ripresa
nella Risurrezione, facendoci dono del suo Spirito.
Carissimi Cavalieri, Dame ed Ecclesiastici dell’Ordine, per questo
pellegrinaggio conto anche sulla vostra preghiera, per la quale vi esprimo
fin d’ora la mia riconoscenza. Vi affido tutti alla materna protezione della
Vergine Regina della Palestina. Sia Lei ad assistervi nello speciale compito
«di assistere la Chiesa in Terra Santa e di rafforzare nei membri la pratica
della vita cristiana» (Direttive, cit., n. 3).
La Santa Famiglia protegga voi e le vostre
famiglie. Rifulga nel cuore di ognuno di voi la consolante certezza che
Cristo è morto per noi ed è veramente risorto. Egli è vivo: ieri, oggi e
sempre.
Con tali sentimenti, volentieri imparto a ciascuno di voi una speciale
Benedizione apostolica.
NOTE :
Capitolo Primo
1 F. CARDINI, La nascita dei templari. San Bernardo di Chiaravalle e la cavalleria mistica, Rimini 1999.
2 A. LUTTRELL, Templari e Ospitalieri in Italia, Milano, 1987, p. 19.
3 Ibid., p. 21.
4 BERNARDO DI CLAIRVAUX, Liber ad milites templi. De laude novae militiate PL 182, 921- 940: Per i cavalieri del Tempio. Elogio della nuova cavalleria, con introduzione, testo latino e traduzione italiana di C.D. FONSECA, in San Bernardo, Opere. I. Trattati, Milano 1984, 425-483.
5 BERNARDO DI CLAIRVAUX, Per i Cavalieri dei Tempio. Elogio della nuova milizia (tr. it. di F. Cardini, in F. CARDINI, La nascita dei templari. San Bernardo di Chiaravalle e la cavalleria mistica, Rimini 1999, pp. 122-124).
6 BRUNO FORTE, Sulle orme dei Cavalieri del Tempio, Il cammino e i luoghi dello spirito, O.N.P. 13 maggio 2004 Napoli.
Capitolo Secondo
1 G. DAL NEGRO, Ordo Equestris Sancti
sepulcri Hierosolymitani, Lucio Ceci Editore, Napoli 1991, p. 6.
2 Cf. G. GIACOMINI, Storia dei Cavalieri del S. Sepolcro, Ed. A. Fava, Jesi
1971.
3 Arch. Segreto Vaticano, Reg. ad principes, XIII, p. 279 in G. DAL NEGRO, Ordo Equestris Sancti sepulcri Hierosolymitani, Lucio Ceci Editore, Napoli 1991, p. 7.
4 G. DAL NEGRO, Ordo Equestris Sancti sepulcri Hierosolymitani, Lucio Ceci Editore, Napoli 1991, pp. 8-9.
5 Cf. M. VISENTIN, Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, Tipolitografia Stiligraf, Cologna Veneta (Verona) 1991, pp. 42-48.
6 G. DAL NEGRO, Ordo Equestris Sancti sepulcri Hierosolymitani, Lucio Ceci Editore, Napoli 1991, p. 15.
Capitolo Terzo
1 Acta Apostolicae Sedis, vol. 40, anno 1907.
2 G. DAL NEGRO, Ordo Equestris Sancti sepulcri Hierosolymitani, Lucio Ceci editore, Napoli 1991, p. 19.
Capitolo Quarto
1 Cf B. FORTE, Gesù di Nazaret, storia di Dio, Dio della storia. Saggio di una cristologia come storia, San Paolo, Cinesello Balsamo (Mi), 1997, pp. 88-102.
2 R. BROWN, La concezione verginale e la resurrezione corporea di Gesù, Brescia 1977, p. 10.
3 Cf A. PITTA, Il paradosso della croce. Saggi di teologia paolina, Piemme, Casale Monferrato (Al), 1998, pp. 328-337.
4 G. GHILBERTI, La sepoltura di Gesù. I Vangeli e la Sindone, Roma 19822. I D., Lo avvolse in un candido lenzuolo (Mt 27,29), in La Sindone. Indagini scientifiche (a cura di S. Rodante), Atti del IV Congresso Internazionale sulla Sindone, Siracusa 1987, Ed. Paoline, Cinesello Balsamo 1988, pp. 370-380; P.L. BAIMA BOLLONE, Sindone, la prova, Mondatori, 1998, pp. 9-40.
5 F. ROSSI DE GASPERIS, Cominciando da Gerusalemme, la sorgente della fede e dell’esistenza cristiana. Piemme, Casale Monferrato (Al), 1997, pp. 231-531.
6 Direttive per il rinnovamento dell’ordine equestre del santo sepolcro di Gerusalemme in vista del terzo millennio, Roma 3 maggio 1999, Cap. III, pp. 46-51.
7 M. KEHL, E cosa viene dopo la fine?, Queriniana, Brescia 2001, pp. 112-113.
8 Primo Sinodo Chiesa Ordinariato Militare in Italia, Assisi 25.10.1996, 189, 193, 194, 195, 196, 197, 199.
9 Presso Cesare, Livio, Tacito, il termine
sacramentum si trova usato per indicare: giuramento militare, arruolamento,
servizio militare. Con gli stessi significati è usato da Cicerone in diverse
sue opere: De officiis, I, II; Pro domo sua, 29; Pro Milone, 27.
10 Cfr. MOHRMAN C.H., Sacramentum dans les plus anciens texteschrétiens,
«The Harvard Theological Review», 47 (1954), pp. 141-152; cfr. RUFFINI E.,
LODI E., Mysterion e Sacramentum, Bologna 1987. Tertulliano è il primo
autore cristiano latino che usa il termine sacramentum per indicare le
celebrazioni cristiane, ibid., p.110.
11 Cfr. FONTAINE J., Le culte des martyrs militaires et son expressio
poétique au IV siécle, «Augustinianum» (1980), p.162.
12 Cfr. S. GREGORIO NISSENO, Secondo discorso in onore dei Santi Quaranta
Martiri, Migne, PG. XLVI; 757.
Capitolo Quinto
1 Statuto dell’O.E.S.S.G., Tit. I - Art. 1.
2 Codice di Diritto Canonico, 204, § l.
3 Concilio Vaticano II, Apostolicam actuositatem, 19.
4 Papa Giovanni Paolo lI, Christifidetes laici, 30.
5 Statuto dell’O.E.S.S.G., Art. 2.
6 Concilio Vaticano II, Lumen gentium, Capitolo IV - I Laici, 32
7 Ibid., Capitolo IV - I Laici, 32.
8 Ibid., Capitolo IV, I Laici, 31.
9 Concilio Vaticano II, Gaudium et Spes, Capitolo II, 32
10 Statuto dell’O.E.S.S.G., Premessa
11 Ibid., Premessa
12 Concilio Vaticano II, Lumen gentium, Capitolo 1 V, I Laici, 38.
13 Papa GIOVANNI PAOLO II, Tertio Millennio
Adveniente, IV - b) Seconda fase, 41.
14 Ibid., IV - b) Seconda fase, 42.
15 Papa PAOLO VI, Evangeli nuntiandi, 41.
16 Papa GIOVANNI PAOLO II, Tertio Millennio
Advoeniente, IV - b) Seconda fase, 43.
17 Ibid., IV - b) Seconda fase, 48.
18 Ibid., IV - b) Seconda fase, 54.
19 Ibid., IV - b) Seconda fase, 41.
20 Concilio Vaticano II, Sacrosanctum concilium, Capitolo 1, 111 - La riforma della sacra liturgia (C) 33.
21 Ibid., Capitolo I, 111 - La riforma della sacra liturgia, 21.
22 Statuto dell’O.E.S.S.G., Titolo V - Articolo 37, 4.
23 Ibid., Titolo 111 - Articolo 21, 2, b e c
24 Ibid., Titolo V - Articolo 37, 5.
25 Ibid., Articolo 2, 2.
26 Ibid., Articolo 2, 3.
BIBLIOGRAFIA
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4) BAIMA BOLLONE P.L., Sindone, la prova, Mondatori, 1998, pp. 9-40.
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17) FORTE B., Gesù di Nazaret, storia di Dio, Dio della storia. Saggio di
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18) FORTE B., Sulle orme dei Cavalieri del Tempio, Il cammino e i luoghi
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21) GHILBERTI G., Lo avvolse in un candido lenzuolo (Mt 27, 29), (a cura di
S. Rodante), in La Sindone. Indagini scientifiche. Atti del IV Congresso
Internazionale sulla Sindone, Siracusa 1987, Ed. Paoline, Cinesello Balsamo
1988, pp. 370-380.
22) GIACOMINI G., Storia dei Cavalieri del Santo Sepolcro, Ed. A. Fava, Iesi
1971
23) S. GREGORIO NISSENO, Secondo discorso in onore dei Santi Quaranta
Martiri, Migne, PG. XLVI; 757.24) GRUPPO DI SPECIALISTI, I Cavalieri del
Santo Sepolcro, Roma 1959.
25) KEHL M., E cosa viene dopo la fine?, Queriniana, Brescia 2001, pp.
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37) ROSSI DE GASPERIS F., Cominciando da Gerusalemme, la sorgente della fede
e dell’esistenza cristiana. Piemme, Casale Monferrato (Al) 1997, pp.
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38) ROZIERE E., Cartulaire de l’Église du S. Sépulcre de Jerusalem, Paris
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41) SOLDATINI P., Il Sacro Militare Ordine del Santo Sepolcro di
Gerusalemme, Pisa 1878.
42) Statuto dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, Roma 8
luglio 1977.
43) TACCHELLA L., L’Ordine Equestre del Santo Sepolcro, origine monastica,
Verona 1975.
44) VISENTIN M., Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme,
Tipolitografia Stiligraf di Cologna Veneta (Verona) 1991.
INDICE
Preghiera del Cavaliere
Presentazione
Considerazione previa
Introduzione
Capitolo Primo: Gli inizi
1. La nascita del cavaliere crociato
1.1. San Bernardo di Chiaravalle e l’ideale di cavalleria cristiana
Capitolo Secondo: I Cavalieri del S. Sepolcro
1. Origine storica
1.1. Dalle origini alla caduta di San Giovanni d’Acri
1.2. Costituzione dei priorati d’Europa
1.2.1. In Italia
1.2.2. In Spagna
1.2.3. In Francia
1.2.4. Nell’Europa orientale
1.2.5. In Germania
1.2.6. In Inghilterra
1.3. Considerazioni conclusive
Capitolo Terzo: Nuovo periodo
1. Epoca contemporanea
1.1. Pio IX
1.2. Leone XIII
1.3. Pio X
1.4. Benedetto XV
1.5. Pio XI
1.6. Pio XII
1.7. Giovanni XXIII e Paolo VI
1.8. Attualità dell’Ordine
Capitolo Quarto: Valore storico-teologico del Santo Sepolcro di Gerusalemme
1. Non è solo una tomba
1.1. Santo Sepolcro
1.1.1. Racconti delle apparizioni
1.1.1.1. Iniziativa del Risorto
1.1.1.2. Riconoscimento
1.1.1.3. Missione
1.1.2. Racconti del Sepolcro vuoto
1.2. Gerusalemme
1.3. La panoplia
Capitolo Quinto: Nel terzo millennio
1. Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme in vista del terzo
millennio
1.1. Lavori della Commissione
1.2. Origine storica e giuridica
I. Identità dell’Ordine
1.3. La missione e la spiritualità dell’Ordine
I. La vocazione comune cristiana
II. La responsabilità sociale dei membri dell’Ordine oggi
III. La missione specifica dei membri dell’Ordine
IV. La spiritualità dell’Ordine
1.4. Appartenenza all’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme »
I. Selezione dei candidati
II. Formazione dei candidati
III. Cerimonie di investitura dell’Ordine
IV. Formazione permanente dei membri
1.5. Le luogotenenze al servizio dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di
Gerusalemme
I. Le luogotenenze ed il Gran Magistero
II. Responsabilità delle luogotenenze
III. Visite alla sede dell’Ordine
1.6. Il Gran Magistero al servizio dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro
di Gerusalemme
I. Guida e coordinamento delle attività dell’Ordine
II. Coordinamento delle attività caritative dell’Ordine
III. Allargamento della attività caritativa in Terra Santa
IV. Espansione delle attività caritative dell’Ordine
1.7. Guardando alla gloria della resurrezione
Discorso del Santo Padre Giovanni Paolo II al Giubileo 2000
Bibliografia
Motto dell’Ordine (II di copertina)
Indice
Fonte : scritto del Comm. Dr. Francesco Russo , finito di stampare nel mese di ottobre 2006 nello Stabilimento della Poligrafica F.lli Ariello s.a.s. - Napoli.
Scheda biografica
FRANCESCO RUSSO, nato a Napoli il 18 novembre 1961, dopo aver conseguito
il diploma di licenza liceale classica presso l’Istituto Bianchi dei padri
Barnabiti, si è laureato in Medicina e Chirurgia e quindi specializzato in
Oculistica ed in Medicina Legale presso l’Università degli Studi di Napoli
“Federico II”. Ha conseguito il bacciellerato in Teologia presso la Pontificia
Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale sezione S. Tommaso d’Aquino.
Fa parte dell’Ordine Equestre dei Cavalieri del Santo Sepolcro di Gerusalemme,
Luogotenenza per l’Italia Meridionale Tirrenica - Sezione Parthenope -
Delegazione di Pozzuoli; attualmente è insignito del grado di Commendatore.
Svolge l’attività di medico legale presso l’Azienda Sanitaria Locale Napoli 1.
|
OESSG
Luogotenenza per Italia Meridionale Tirrenica
E-mail: info@oessg-lgimt.it
Web: www.oessg-lgimt.it