Ordine Equestre del  Santo Sepolcro di Gerusalemme

 

LUOGOTENENZA PER L'ITALIA MERIDIONALE TIRRENICA


  CULTURA E SPIRITUALITA' : Introduzione al Vangelo secondo Matteo , del Cav. Sac. Felice Apicella

prima pagina  

 

 

 

INTRODUZIONE

AL VANGELO SECONDO MATTEO

 

relazione del

Cav. Sac. Felice Apicella

 

 

 

 

Luogotenenza Italia Meridionale Tirrenica

Sezione de' Principati

 

Incontro di formazione spirituale,

di preghiera, di ascolto della Parola e di meditazione

 

Cava de' Tirreni, Venerdi 29 Ottobre 2010

 

 

 

 

1.      Momento  di  preghiera

 

Nel nome del Padre…

 

SALMO  135, 1-26

 

Inno pasquale
Narrare le gesta del Signore significa lodarlo 

(Cassiano).


Lodate il Signore perché è buono: *
eterna è la sua misericordia. 
Lodate il Dio degli dèi: *
eterna è la sua misericordia.
Lodate il Signore dei signori: *
eterna è la sua misericordia
Egli solo ha compiuto meraviglie: *
eterna è la sua misericordia. 
Ha creato i cieli con sapienza: *
eterna è la sua misericordia. 
Ha stabilito la terra sulle acque: *
eterna è la sua misericordia. 
Ha fatto i grandi luminari: *
eterna è la sua misericordia
Il sole per regolare il giorno: *
eterna è la sua misericordia; 
la luna e le stelle per regolare la notte: *
eterna è la sua misericordia.
Percosse l’Egitto nei suoi primogeniti: *
eterna è la sua misericordia. 
Da loro liberò Israele: *
eterna è la sua misericordia; 
con mano potente e braccio teso: *
eterna è la sua misericordia
Divise il mar Rosso in due parti: *
eterna è la sua misericordia. 
In mezzo fece passare Israele: *
eterna è la sua misericordia
Travolse il faraone e il suo esercito nel mar Rosso: *
eterna è la sua misericordia. 
Guidò il suo popolo nel deserto: *
eterna è la sua misericordia. 
Percosse grandi sovrani: *
eterna è la sua misericordia.
Uccise re potenti: *
eterna è la sua misericordia. 
Seon, re degli Amorrei: *
eterna è la sua misericordia. 

Og, re di Basan: *
eterna è la sua misericordia. 
Diede in eredità il loro paese: *
eterna è la sua misericordia. 
In eredità a Israele suo servo: *
eterna è la sua misericordia. 
Nella nostra umiliazione si è ricordato di noi:

*eterna è la sua misericordia; 
ci ha liberati dai nostri nemici: *
eterna è la sua misericordia. 
Egli dà il cibo ad ogni vivente: *
eterna è la sua misericordia. 
Lodate il Dio del cielo: *
eterna è la sua misericordia.

 

 

Gloria al Padre…

 

Padre nostro…

 

ORAZIONE : Salga a te, Dio onnipotente, la nostra lode della sera e scenda su di noi la tua benedizione, perché oggi e sempre possiamo gustare il dono della tua salvezza. Per Cristo nostro Signore.

 

Tutti : Amen.

 

 

2.  Introduzione  al  Vangelo  secondo  matteo

 

 

Nella storia del cristianesimo, il Vangelo di Matteo (in ebraico Matthai, abbreviazione di Matthanaja, che significa “dono di Dio”), è stato senz’altro il Vangelo più popolare, più letto e commentato e, anche se quello di Marco è considerato il primo in origine cronologico (scritto intorno al 67 d.C.), l’opera di Matteo rimane una presenza capitale all’interno della Chiesa, che la propone spesso nella liturgia e nella catechesi.[1]

Nella composizione dei singoli vangeli, ogni evangelista ha una sua prospettiva, segue un suo progetto, disegna un suo ritratto della figura di Cristo, risponde alle esigenze della comunità cui indirizza il suo racconto. Per Matteo si pensa a destinatari di origine ebraica convertiti al cristianesimo, legati alle loro radici, ma spesso in tensione con gli ambienti da cui provenivano.

Si spiega, così, la ricchezza delle citazioni, delle allusioni e dei rimandi all’Antico Testamento nel Vangelo di Matteo. In questa linea si può interpretare il rilievo dato ai primi cinque libri biblici - conosciuti come Pentateuco o Torah - che costituiscono la legge per eccellenza. Gli insegnamenti di Gesù sono raccolti in cinque grandi discorsi: il primo ha come sfondo un monte -  ed è perciò chiamato il Discorso della montagna (capitoli 5-7) - e può essere interpretato in riferimento al Sinai: Cristo non è venuto ad abolire la legge di Mosè ma a portarla a pienezza.

IL REGNO DI DIO è il tema centrale della predicazione e dell’azione di Gesù. Nel secondo discorso, detto “missionario” (capitolo 10), il regno è annunziato, accolto e rifiutato. Nel terzo, il discorso in “parabole” (capitolo 13), il regno è descritto nella sua crescita lenta ma inarrestabile nella storia. Nel quarto discorso (capitolo 18) è la Chiesa - un argomento caro a Matteo - che diventa il segno del Regno durante il cammino della storia, nell’attesa che esso giunga a pienezza nella salvezza finale (quinto discorso, “escatologico”, capitolo 24).

Questa struttura fondamentale (i 5 discorsi) è preceduta da due blocchi importanti: il vangelo dell’infanzia (cc. 1-2) e la presentazione di Gesù in pubblico: battesimo e tentazioni (cc. 3-4).

Questa è l’opera di Matteo: un grandioso abbozzo della storia di Cristo, della Chiesa e del Regno.

 

 

La tradizione unanime della Chiesa antica attribuisce il primo vangelo a Matteo, chiamato anche Levi, l’apostolo che Gesù chiamò al suo seguito, distogliendolo dalla professione di pubblicano, cioè di esattore delle imposte (9, 9-13). [2] La stessa tradizione, attestata fin dal II secolo, afferma che Matteo scrisse il primo vangelo, forse tra gli anni 40 e 50, in Palestina, per i cristiani convertiti dal giudaismo, in aramaico, la lingua comune in Palestina ai tempi di Gesù, ma di esso non abbiamo traccia. A noi, invece è giunto il testo greco di Matteo, scritto probabilmente nel decennio che va dal 70 all’80 d.C.

Se il Vangelo fu scritto dopo il 70 d.C., ci sono ottime ragioni per pensare che sia stato scritto fuori della Palestina. Numerosi studiosi indicano Antiochia di Siria, una città dove i giudeo-cristiani (cristiani convertiti provenienti dal giudaesimo) e gli etnico-cristiani (i neo-convertiti al cristianesimo) si incontravano e convivevano, e dove le questioni delle relazioni tra la legge e il Vangelo erano con ogni probabilità molto scottanti. Il materiale peculiare a Matteo è meglio spiegato se considerato come attinto direttamente a tradizioni palestinesi, il che sarebbe stato possibile nella Siria.

 

 

Oltre al materiale di Marco e Q (Quelle = Fonte), Matteo ne contiene dell’altro suo proprio. Dato che Mc e Q sono fonti scritte, numerosi critici pensano a un terzo documento per il materiale peculiare a Matteo. Non c’è alcuna ragione valida che impedisca di pensare che questo materiale sia consistito in brani sparsi di tradizione orale messi per la prima volta in iscritto da Matteo.

 

 

E’ convinzione oggi comune che i ricordi di Gesù, cioè le sue parole e i suoi gesti, non siano stati tramandati meccanicamente, ma raccolti, ordinati, elaborati in base alle esigenze della fede delle diverse comunità cristiane: esigenze pastorali, di culto e altro.

Tutto questo avvenne prima che i diversi evangelisti fissassero i ricordi nei loro scritti, orientandoli e scegliendoli in modo da mettere in luce - a loro volta -  il proprio particolare punto di vista: un conto è la prospettiva teologica di Matteo, un conto quella di Marco, un conto quella di Luca. Possiamo dire che i ricordi che risalgono a Gesù, furono tramandati obbedendo a una duplice finalità: alla memoria di Gesù, a cui restano sempre fedeli, e alla propria contemporaneità, a cui si rivolgono. Storia e fede, dunque, ricordo e teologia, i due aspetti sono indissolubilmente uniti.

Perciò nel Vangelo noi sentiamo la voce di Gesù, la voce della Tradizione (la predicazione orale degli Apostoli) che l’evangelista ha messo per iscritto, attualizzando a sua volta il messaggio, e, infine, la voce della Chiesa che lo ha predicato.

Ma  per una lettura attenta dei Vangeli, bisogna tenere presente alcune regole:

 - Per leggere un brano evangelico è indispensabile ricostruire il sottofondo veterotestamentario, esplicito e implicito, a cui esso fa riferimento. Tale ricostruzione serve per cogliere, da una parte, la continuità di Gesù e, dall’altra, la sua insopprimibile novità. Questo è particolarmente importante per il Vangelo di Matteo.

 - Occorre inoltre - ed è la seconda regola -  studiare il singolo brano alla luce di tutto il contesto evangelico e, dove è possibile, fare il confronto con i testi paralleli degli altri evangelisti. Il confronto è indispensabile per una lettura che voglia essere in grado di avvertire gli interessi particolari di un evangelista, le sue sottolineature, le sue preoccupazioni, il suo disegno teologico e il modo con cui svolge il discorso, la sua originalità nel predicare il mistero di Gesù.

 - In terzo luogo, occorre collocare il brano nella vita di Gesù e nella vita della successiva comunità. Abbiamo detto, infatti, che le parole di Gesù vissero nella Chiesa, continuamente predicate, rilette e approfondite in base ai bisogni e ai problemi pastorali delle diverse comunità.

 - Infine, occorre leggere il testo alla luce della nostra vita attuale, così da ripetere, a partire dai nostri problemi e delle nostre situazioni, quello che le comunità di allora hanno fatto a partire dai loro problemi e dalle loro situazioni.

 

 

Matteo è molto interessato alla dottrina di Gesù. I discorsi sono più numerosi e più ampi degli altri Vangeli. La stessa disposizione della materia sembra seguire un ordine didattico, che fa perno a cinque grandi discorsi: quello della montagna, quello missionario, il discorso in parabole, quello ecclesiale e quello escatologico. In questo il Vangelo di Matteo si diversifica molto da quello di Marco, il quale riferisce pochi discorsi e preferisce i fatti.

Ma nonostante questo innegabile interesse per la dottrina di Gesù, Matteo non vuole assolutamente ridurre il Vangelo a una dottrina. Egli è ben consapevole che il Vangelo è innanzitutto una persona e una storia. Ecco perché, dietro la struttura letteraria che fa perno sui cinque discorsi, è visibile la storia di Gesù, identica al racconto di Marco: dalla Galilea alla Giudea, dal battesimo nel Giordano alla passione/risurrezione. Matteo unisce sapientemente racconto e catechesi, storia e dottrina: la dottrina nasce dalla storia di Gesù, la illustra e la commenta.

Dire che la catechesi di Matteo spiega una storia, significa affermare che il suo Vangelo è in primo luogo cristologico. L’unico protagonista è Gesù, e il primo intento dell’evangelista è di mostrarci il significato salvifico della sua persona e della sua parola. Gesù è il Maestro, il nuovo Mosè superiore all’antico, il profeta portatore della parola di Dio ultima e definitiva. In tal modo il giudaesimo è invitato a superarsi perché la parola ultima non è quella di Mosè, né la tradizione dei padri, ma la parola di Gesù.

Ma il Vangelo di Matteo è anche sensibile alla Chiesa e Matteo è l’unico evangelista che mette in bocca a Gesù la parola “ecclesia” (16,18 e 18,17). Ma soprattutto è ecclesiale perché i temi che tratta sono scelti in base alle esigenze della comunità.

Un primo importante problema è la continuità con l’Antico Testamento. Continuità che sembrava messa in questione dal rifiuto che il popolo giudaico ha opposto a Gesù. Matteo si preoccupa continuamente di mostrare che la storia di Gesù e della sua comunità è in armonia con le Scritture, ecco perché l’evangelista cita con frequenza l’Antico Testamento.

Siamo in una comunità giudeo-cristiana degli anni 80, circondata da un giudaesimo che, avendo perso la propria consistenza politica dopo la catastrofe dell’anno 70, si stringe intorno alla Legge e a una rinnovata fedeltà ai principi e alla prassi giudaica. L’evangelista si preoccupa di indicare l’originalità cristiana e le caratteristiche della giustizia evangelica. Ecco perché Matteo sviluppa il suo Vangelo attraverso un continuo dibattito/confronto con la dottrina degli scribi e dei farisei.

Né mancano, infine, i problemi interni alla stessa comunità cristiana. Molte sono le situazioni che necessitano di chiarezza: come concepire la missione in mezzo ai pagani e come condurla? Come risolvere, alla luce delle esigenze di Gesù, alcuni casi della vita, quali il matrimonio, le ricchezze, l’autorità? Che posizione prendere di fronte alle divisioni che affiorano nella stessa comunità, di fronte ai peccati che continuano a riprodursi e agli scandali? Sono alcuni interrogativi molto concreti che Matteo non passa in alcun modo sotto silenzio. Anche per questo il suo Vangelo ci risulta particolarmente vivo e attuale.

 

 

 

3. IL DISCORSO DELLA MONTAGNA (5, 1-7,29)

 

Le beatitudini sono il cuore del messaggio di Gesù, per capirle bisogna lasciar parlare il testo. Innanzitutto Gesù sale sulla montagna e pronuncia il discorso circondato dai dodici e dalle folle: si tratta di una folla venuta da ogni dove, persino dalla decapoli e da oltre il Giordano. Il discorso, quindi, non è rivolto solo ai dodici o al popolo giudaico, ma a tutti.

Certo le beatitudini rimandano a Gesù. Ma quale significato egli vi attribuì? Pensiamo di riassumere il suo pensiero in tre affermazioni.

- Le beatitudini sono una proclamazione messianica, un annuncio che il Regno di Dio è arrivato. I profeti hanno descritto il tempo messianico come il tempo dei poveri, degli affamati, dei perseguitati, degli inutili. Gesù proclama che questo tempo è arrivato. Per i profeti le beatitudini erano al futuro, una speranza. Per Gesù sono al presente: oggi i poveri sono beati.

- C’è un secondo aspetto: con le beatitudini Gesù non solo proclama che il tempo messianico è arrivato, ma proclama che il Regno è arrivato per tutti, che di fronte all’amore di Dio non ci sono i vicini e i lontani, non ci sono emarginati: anzi, coloro che noi abbiamo emarginato sono i primi.

- Infine va detto che Gesù non solo proclamò le beatitudini, ma le ha vissute. Ecco perché la proclamazione delle beatitudini, è preceduta da un’annotazione generale che riassume l’attività di Gesù (4, 23-24): lo circondavano ammalati di ogni genere, sofferenti, indemoniati, epilettici. Ha cercato i poveri e li ha amati, preferiti. Egli fu povero, sofferente, affamato: eppure amato da Dio.

Sta qui il paradosso delle beatitudini: la vita di Cristo dimostra che i poveri sono beati, perché essi sono al centro del regno e perché – contrariamente alle valutazioni comuni – sono essi, i poveri, i crocifissi, che costituiscono la storia della salvezza.

Esaminiamo ore le singole beatitudini.

 

        Beati i poveri. La differenza tra il “povero” di Luca e il “povero nello spirito” di Matteo non cambia nella sostanza. Matteo non intende certamente riferirsi a coloro che, benché ricchi, sono spiritualmente staccati dalle loro ricchezze. Molto probabilmente la frase echeggia Is 61,1 (v. Lc 4,18). Entrambi le beatitudini (di Mt e Lc) designano la classe povera che costituiva la grande maggioranza della popolazione del mondo ellenistico. Il “povero in spirito” di Matteo pone l’accento più che sulla mancanza letterale di ricchezze, sulla bassa condizione dei poveri: la loro povertà non permetteva l’arroganza tipica delle persone ricche, ma imponeva loro un rispetto servile. Sono questi  “poveri nello spirito” che ora sono “beati”.

        Beati gli afflitti. Riecheggia in questa beatitudine la situazione descritta in Is 61,1. La beatitudine si riferisce a coloro che non hanno alcuna gioia in questo mondo, e in questo senso essa sarebbe molto vicina e simile alla prima e terza beatitudine. Si intendono qui molto probabilmente coloro che piangono per i mali d’Israele dovuti ai suoi peccati. La loro consolazione consisterà nell’esperienza della salvezza messianica.

        Beati i miti. Questi fanno parte della stessa classe dei “poveri in spirito”, che non sono in grado di essere aggressivi. L’ideale della mitezza è descritto in termini concreti in 5, 39-42: “Se uno ti percuote la guancia destra…”. I miti possederanno la terra escatologica d’Israele, recuperata mediante le opere salvifiche di Dio. La frase riecheggia le promesse della terra fatte ai patriarchi dell’A.T. 

        Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia. La “giustizia” di cui bisogna aver fame e sete è un termine assai pregnante. In Mt essa designa la condizione di buoni rapporti con Dio, ottenuti con la sottomissione alla sua volontà. Nel giudaismo farisaico si pensava che questa condizione venisse garantita mediante l’osservanza minuziosa della legge secondo i modelli farisaici. Gesù afferma con insistenza che i suoi discepoli devono sforzarsi di attuare qualcosa di più perfetto: “Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e farisei …” (Mt 5,20).

        Beati i misericordiosi. La misericordia è una caratteristica di Dio; Dio è fedele nonostante le infedeltà degli uomini. L’ ideale della misericordia o compassione ricorre spesso in tutti i vangeli. La beatitudine è illustrata dalla parabola del servitore spietato (Mt 18, 23-35). Le due opere di misericordia maggiormente sottolineate in Mt sono l’elemosina e il perdono. La ricompensa della misericordia è di ricevere misericordia.

        Beati i puri di cuore. La purezza di cuore è contrapposta alla purezza levitica esteriore ottenuta mediante l’abluzione rituale: è questo un punto di numerose diatribe tra Gesù e i farisei. Ciò che si intende per “purezza di cuore” è spiegato in Mt 5, 13-20 (“Voi siete il sale della terra… La luce del mondo… Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone…). La ricompensa della purezza di cuore è di vedere Dio. Ciò non significa ciò che in teologia è chiamato la “visione beatifica”, ma l’ammissione alla presenza di Dio (v. Mt 18,10: “Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio”).

        Beati gli operatori di pace. Questa parola ebraica “i pacificatori” significa “coloro che compongono i dissidi”. La riconciliazione è un compito spesse volte raccomandato nei vangeli: Mt 5,23-26 “Se presenti la tua offerta all’altare… và prima a riconciliarti”. La ricompensa è di essere chiamati figli di Dio. E’ questo un titolo attribuito a Israele nell’A.T.; coloro che compongono dissidi sono israeliti autentici.

        Beati i perseguitati per la giustizia. La persecuzione subita per amore della giustizia è la persecuzione che viene accettata allo scopo di mantenere i buoni rapporti con Dio mediante la sottomissione alla sua volontà (v. commento a 5,6). In questo ampliamento (5,11-12) della beatitudine Gesù viene identificato con la giustizia. Egli sostituisce la legge quale unico mezzo sicuro per mantenersi in buoni rapporti con Dio. Tale rapporto causerà certamente la persecuzione (descritta in termini dell’esperienza della Chiesa primitiva), ma la ricompensa supererà ogni ricompensa precedente. La Chiesa succede ai profeti che furono perseguitati dal loro stesso popolo. La persecuzione a cui si allude qui è molto probabile l’offensiva scatenata dai giudei contro la comunità cristiana.

 

In conclusione è difficile per noi valutare il carattere paradossale delle beatitudini. Esse iniziano una rivoluzione morale che non ha ancora raggiunto la sua pienezza. Esse capovolgono tutti i valori convenzionali del mondo giudaico e romano-ellenistico e dichiarano beati coloro che non partecipano di quei valori. Vengono qui ripudiati non soltanto i valori esterni della ricchezza e della condizione sociale ma anche quei valori personali che sono ottenuti e difesi mediante l’auto-affermazione e la lotta. Le affermazioni generali delle beatitudini sono ampliati con esempi concreti del discorso.

 

 

Segue, infine, la Preghiera dei Cavalieri e delle Dame del Santo Sepolcro di Gerusalemme.


 

 

 

 


[1]         Cfr. G. DANIELI, Matteo, Queriniana, Brescia 1980.

[2]        La prima attribuzione a Matteo di un’opera letteraria è l’affermazione di Papia, vescovo di Gerapoli nella Frigia, 130 d.C., citata da Eusebio nel IV secolo d.C. (cfr. EUSEBIO, Historia Ecclesiastica, III, 39,19). Papia non definisce lo scritto di Matteo un vangelo, ma dice che Matteo ordinò i detti (greco loghia) in lingua ebraica e ciascuno li tradusse (o interpretò) come ne era capace. I “detti” sono generalmente intesi come i detti di Gesù; e quest’opera avrebbe avuto una certa rassomiglianza con la fonte “Q” (Quelle = Fonte). Ireneo e Origene, invece, parlano di un vangelo non di “loghia”, e non c’è alcun dubbio che essi intendessero il vangelo così come noi lo conosciamo. A questo riguardo, cfr. anche R. FABRIS, Matteo. Traduzione e commento, Roma 1982.

 

 

 

 

 


 

Fonte :  testo cortesemente inviato alla redazione dal Relatore dell'incontro spirituale il Confratello Cav. Sac. Felice Apicella  OESSG.

Fonte foto Vangelo:  www.donmariocampisi.it/pagine/resta%20con%20noi%20signore.htm  

 

 

 

 

 


 

 

 

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